Opinioni

Quella volta di Syd Barrett e Roger Waters alla BBC

di Vincenzo Russo

Pubblicato il 2018-02-17

Non c’è a memoria alcun punk che non apprezzi Barrett. L’autore lo ha scritto sul serio. La sera in cui Barrett e Waters sono ospiti di Hans Keller l’underground inglese è davanti la tv. La trasmissione è “Look of the week”. La rete, la Bbc. E’ un monumento la tv inglese. Un esempio per tutti. […]

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Non c’è a memoria alcun punk che non apprezzi Barrett. L’autore lo ha scritto sul serio. La sera in cui Barrett e Waters sono ospiti di Hans Keller l’underground inglese è davanti la tv. La trasmissione è “Look of the week”. La rete, la Bbc. E’ un monumento la tv inglese. Un esempio per tutti. Una parete di padre troppo alta da scalare, direbbe Venditti. Nulla le sfugge. Tutto lei documenta. Giudica. Accetta, respinge, o quel che è peggio accetta a un patto. Che tu stia al mondo nell’etere inglese perché lo ha voluto lei. Alle sue condizioni. Keller, un musicista austriaco che beati i ’60 può fumare in tv per darsi le idee, li sottopone, Barrett e Waters ma più che altro Waters e Barrett, al suo giudizio di loro. La trasmissione dopo una breve esibizione musicale non è una sfilza di domande. Anche sceme.

La tv italiana vorrebbe ironizzare e gossippare. Quella inglese vuole conoscere quale profondo e posato giudizio sul proprio giudizio han maturato questi coevi esponenti del sottosuolo. Keller ha deciso: troppo rumore. “Terribly loud”. La sera in cui Barrett e Waters sono ospiti di Hans Keller l’underground inglese è stranamente davanti la tv. Di solito son impegnati a creare. Chi un fumetto. Chi una vita. Charles Manson nella Londra di quella serata televisiva starebbe a strimpellare la chitarra in qualche localino e nessuno avrebbe da ridire sul prezzo del biglietto. Sarebbero soldi per la causa. L’arte. La liberazione. Probabilmente ci starebbe Paul Mc Cartney a guardarlo quasi vergognandosene. Di se stesso povero ricco, mica di lui. L’underground inglese è riuscito nel miracolo che non riuscirà neanche al punk. E ai commentatori di Juventibus. Ribaltare i ruoli cioè tra autori e pubblico livellando tutto. Non ci sono distanze. Non c’è separazione. C’è un classismo alla rovescia. Sei tu Lennon o Townshend che vieni ad applaudire me o i miei amici in lotta con il tempo che distruggerà poi la nostra felicità.

Barrett è il ritratto di tutta questa gioia. La sintetizza esteticamente ed artisticamente. Ha inventato un genere che prima non esisteva un po’ per curiosità un po’ per sbaglio. Ha fatto come Cristoforo Colombo secondo Andreotti. Ha trovato il continente nuovo cercando quello vecchio e non sapendo dove si trovi. Barrett è il sultano del sotto regno inglese. Londra è ai piedi del ventenne di Cambridge, letteralmente. Il popolo di Barrett vive sotto terra. Come i topi che lui infila nelle canzoni. Fino ad un anno prima era uno dei tanti del blues revival inglese. Li chiamano discepoli. Han preso a cuore una sottomarca poco celebrata della musica yankee. La cosiddetta musica del diavolo. Ne son diventati promoter. Oggi si stenta a crederlo che ci sia qualcuno che suona un tipo di musica per farla apprezzare a chi non la conosce. Eppure è andata proprio così. I ragazzi inglesi del dopo guerra, Lennon escluso che va pazzo solo e soltanto per Elvis e Mc Cartney che va pazzo solo e soltanto per Amabola ed Harrison che va matto solo per Patty Boyd e Ringo Starr che per non sbagliare ride e mangia pasta e fagioli, questi qui fan cose da posta del cuore per i loro idoli d’oltremanica.

C’è Brian Jones che va ai concerti di musica altra e distribuisce volantini ascolta il blues. C’è Clapton che rifiuta il successo commerciale con gli Yardbirds perché lui può suonare solo blues altrimenti come facciamo conoscere Robert Johnson. Poco ci manca facciano banchetti per strada e li avranno fatti senz’altro. Un anno prima di farsi mettere il voto da Keller, anche Barrett sta a strimpellare quella che è la versione più yè yè del blues di suo musica di scopate e funerali. Il gruppo di villani proveniente nella grande metropoli suona il rithm and blues che han sdoganato gli Stones. Anche vocalmente Syd è emulo di Jagger. Si sono conosciuti a un concerto in un locale. Quando gli Stones erano ancora in mano a Jones e non imitavano Arancia Meccanica per diventare cattivi famosi. Jagger intrattiene il pittore di paese per farsi la sua fidanzata. La ragazza ci starebbe pure solo che Mick col passare della sembrava inutile conversazione col suo fidanzato non la guarda più. Egli è visibilmente attratto, risucchiato nel gorgo di parole, concetti, scherzi del futuro genio. Come fosse la cosa più naturale del mondo lo osserva come un dipinto. Ne rimane incantato. Non è più lui la star. Si siede. In un locale da schifo chissà in quale piovoso del reame inglese in mezzo alla musica rude dei negri più stronzi è cominciata la Rivoluzione.

“Too loud”. Keller insiste. Cosa ne pensate voi altri non fumanti del mio giudizio su di voi. Il primo che risponde è quello che più somiglia a Keller. Roger Waters con la rivoluzione non c’entra una mazza. E’ portato a fare cinismi spinti sui suoi fans. Sugli adepti di quella pseudo religione inventata dal suo amico genio. Meglio se siano fatti, pensa. Meglio se sia considerata cultura questa roba. Così non si accorgono che è roba primitiva da età della pietra. La musica per Waters ha la forma di un goniometro e diagrammi. Risultante di interazioni congegnate a tavolino preferibilmente da lui, lo Iago del ’67. Il Macbeth che serve il re prodigio e la sua masnada di euro scemi. In attesa di dominarli come va fatto. Pubblico di merda che ridi da mane a sera dietro questo menestrello più piccolo di me, presto te ne accorgi. Vi ridurrò tutti schiavi delle grandi produzioni. Dei dischi scritti con la laurea. Della strumentazione più più più che ci sia. E bonanotte alla democrazia. Al rumore, ha ragione Keller. Vi dirò io come siete fatti. Non possibilità o collezionisti di mutande come vi ha insegnato lui. Ma orfani chiusi in un muro di cattive poesie, militi del mio esercito, e se non lo fate vi dirò che siete pazzi. Come sto per fare di lui e di tutti voi gentaglia. Vi prenderò a pugni se non mi vorrete. Vi ridurrò tutti tristi come me.

La svastica che Syd Vicious ostenterà fuori la stanza d’albergo di Syd Barrett dieci anni dopo la serata da Keller è il primo vaffa all’unico Waters che il nuovo underground possa accettare. Il Waters morto. Le aggressioni dei reduci della seconda guerra mondiale ai punk sono all’ordine del giorno. E’ come se i Corporal Clegg, i manichini che pure han prestato la vita a sua delizia Regina, si fossero ridestati a nuova guerra. Roger Waters pensa che suo padre si unirebbe a loro. Al nuovo matto popolo di Syd. Loro sono contro la vittoria inglese. Sono contro la svolta romantica degli anni ’60. Protestano la loro condizione che non ha futuro come riprova. Quelli che han vinto, su Hitler come Waters padre, su Barrett come Waters figlio, dichiarino fallimento. Il padre di Barrett fosse vivo a metà degli anni ’70 starebbe sulla bicicletta. Pare fosse un matto che se ne stava tutto il giorno sul sellino. Anche per pranzare. Questa storia la potrebbe raccontare Waters che di aneddoti ha riempito il gran vuoto lasciato dal piccolo padre di tutti i perché. Aneddoti e dischi. Tutto ciò che apprezza la gente di tutto ciò le propini l’ex gruppo di Syd è il ricordo di Syd. Sembra la cosa di Paul is dead. La gente cominciò a cercare indizi della morte di Mc Cartney in tutti i dischi, libri, solchi, nastri, ricordi, spie si potesse comprare sul mercato. Uguale per Syd is dead. La gente di merda che non sarà mai di Waters compera Waters cercando Syd in tutti i suoi sbagli. Chi si commuove col gregoriano di A saucerful of secrets è a Syd che pensa. Syd che fa, dov’è su The dark side, a che ora è la fine di Syd su The Wall. Triste epilogo per l’architetto Waters, ex idolo della gang di Syd. Alto, comunista, con la motocicletta. Assertivo, deciso, musicista. Per un’ora d’amore non so ancora oggi dove arriverebbe.

Gioia infinita. Quel che sorprende. Sembra per tutta la vita. E’ ciò che Syd Barrett gira nelle strade e le vite. Le strade, non è una costruzione retorica. Barrett è come Lennon. Ovunque passi crea attenzione. Cammina senza appoggiare la pianta del piede. Saltella cioè ma c’è chi giura che un giorno volava proprio. Sui tram che prende con la comitiva dopo un po’ lo guardano tutti perché sembra l’unico che abbia capito come si vive. Ha il sorriso sfrenato e libero del vincitore della Lotteria. Un carisma che non ha nulla a che vedere con ciò che dice o come lo dice. Sembra dotato di un magnete. Hai voglia a trovargli difetti. È come una di quelle semidive greche. Chi lo guarda non resta bloccato ma prende il largo. O almeno. Si fa quattro risate. Humour formidabile. Persino strambo persino per gli inglesi. Al funerale non vuol fare il morto, vuol fare uno scherzo. Ride nei momenti meno borghesi. Situazionista sino al midollo. Barrett è come me, capace a 19 anni di portare un amico a casa fingendo coi suoi che sia matto e lasciandolo solo col coltello del dolce in cucina per vedere dal vivo l’effetto che fa. Situazionismo. Creativo la vita. Non è un politico. Non fa seri proclami anti establishment. Non elabora goniometricamente assalti sociali su masse, hit parade e povertà. Fa seriamente le cose che lo divertono. Il resto perché si. Cosa sia esattamente uno scherzo lo lascia come domanda ai suoi scocciatori. Fa come il padre sopra un sellino. Forse è lui Arnold Layne. Quando glielo chiederanno da vecchio riderà in pubblico dopo una vita. Perché no. Se deve andare non aspetta nessuno.

Sono solo. Voglio morire. Non è il mio suicidio in diretta come un po’ si aspettano i miei lettori di una vita. E’ il modo intelligente e spietato con cui Lennon che del blues non gliene può fregà liquida quegli adoratori del diavolo da tè delle 5. La canzone si chiama “Yer blues”. La suona dal vivo al Circo degli Stones. E’ la sintesi a presa rapida delle tematiche blues. Lennon pare dire, non fatela troppo lunga con queste pallosità. Queste estenuanti ripetizioni non sono altro alla fine che questo: solitudine, morte and girl you know the reason why. Femmine. Quelle che circondano Barrett sono le nuove femmine degli anni ’60. La sua fidanzata ufficiale porta la permanente. La fa fare anche a lui che già la voleva e che a Waters dirà, un omaggio a Dylan, e che Waters dirà, è una copia di Hendrix. La sua fidanzata ufficiale gli trucca gli occhi e Barrett che è Arnold Layne e che già lo voleva non dirà nulla a Waters che a sua volta dirà, è un mezzo criminal. Quando Malcom Mc Laren, futuro manager delle New York Dolls e delle Sex Pistols, David Bowie e Marc Bolan, cioè lo stato maggiore del ricchiutismo barretiano, lo vedono all’Ufo con gli occhi bistrati e l’accento inglese marcato gli si apre il futuro da alta classifica. Un futuro di capricci, trucchi, bandiere. La ricetta è scritta al n.1 dei dischi. See Syd play. Lennon no. Ignora i Floyd. Fosse per lui nel ’67 farebbe il Barrett post ’67: stravaccato sul letto a guardarsi all’in piedi. Non guarda la Bbc, la tv di stato è roba da ribelli. Lui è un ribelle addomesticato come Elvis solo che sta a dieta. La psichedelia è un’altra delle sfide di Paul. Lui con i giochi di parole e i giornali, perché è tipo da giornali e non da televisione, l’ha vinta di già. E non va a Top of the pops. E non vende porta a porta i dischi di Muddy. Niente blues siamo inglesi.

Lezione number uan. Non si può dipingere lo stesso quadro per due volte di seguito. Come volersi bagnare due volte nella stessa acqua. Sembra alta filosofia. E’alto buon senso. Perciò non suonate mai la stessa canzone come, dicono, andrebbe suonata.

Lezione namber two. Stare fermi è morire. Perciò create suoni anche quando dovreste farvi i cazzi vostri. Non c’è una lezione 3. Se avete capito la prima, se avete già capito tutto non aspettate qualcuno vi dica cosa fare. Fosse pure il vostro migliore amico. Fosse pure il buon senso. Foste pure voi, con le vostre ambizioni pesanti. Girate. Andate. Sparite se il caso. Se vi si vuol troppo bene evitate. Perché mai dovrei firmare autografi. Perché diavolo mi vuoi bene, solo perché per te sono uno che non sa vendersi. La prima reazione a un abbraccio è io sto fermo. Perché diamine devo muovere la faccia sol per rassicurarti. Perché ridere quando è il tempo. Non voglio vivere perché interagiate con me. Dirò alle mie donne in base a quale diritto pensano di meritare di essere amate. Io non mi muovo dal letto. Non muovo le labbra. Ho il diritto di rimanere in silenzio. Di chiamarmi un vegetale. Di farmi un disegno da consumare al tegamino. Dirò ai miei amici che mi fa piacere mi salutino ogni 30 anni. Dirò alla mia vita che ora ho un altro nome e che per fortuna non sono più obbligato a far ridere altri.

Pare che il carisma di Syd Barrett fosse paragonabile a quello dei fantasmi. Un senso di benessere si diffondeva nei paraggi e hai voglia a chiedere perché. Non era la serenità dei disperati. Un po’ di più. Un saltellante stato di contentezza e distacco. Molto simile a un sorriso di accettazione di tutto. Una calma calda come aver passato l’esame dei morti. Che Barrett con la sola presenza rassicurasse e creasse dipendenza pare sia testimoniato dall’incremento delle Union Jack proprio durante il momento di contestazione delle Union Jack. A differenza degli americani che bruciavano la propria bandiera e ne violentavano con Hendrix l’inno e Dylan la quiete, gli inglesi con Barrett riscoprivano il diritto ad essere contro rivendicando il diritto ad essere inglesi. La bandiera sostituiva l’abbraccio di Syd, ad un prezzo abbastanza ragionevole. Ricordarsi che non ci si può avvolgere due volte nello stesso abbraccio. Nella stessa bandiera invece sì.

Pare che durante l’intervista di Keller Roger Waters non abbia pensato al padre e ad Anzio. Pare abbia pensato nell’ordine “sono il primo che parla e l’ho fregato, sono anche quello che mi fa le domande, sono pazzi questi romani, sono contento di avere questa voce nasale perché fa molto inglese, un giorno fitterò tutte le case ai poveri di Londra a prezzi stracciati e mi vorranno bene e ascolteranno ciò che ho da dire, sono solo, voglio morire, syd you know the reason why, tutti dietro sta merda che a Cambridge mi leccava il culo, mi vergogno di ‘sto frocio, quando mi faranno re, quando mi faranno un processo, quando abbasseranno il volume e mi troveranno finalmente e capiranno che devono buttarmi chè non valgo niente, i miei poemi da la capra e l’erbetta ne amo una fetta, devo inventarmi qualcosa, un omicidio è escluso, ‘sti strafattoni penseranno che resusciti nei bis, poi mi tocca fare il vedovo, meglio il responsabile e razionale uomo di scienza che fa diagnosi da psichiatra da buon architetto, vaffanculo, li frego tutti, vi odio tutti, io vi condanno ad ascoltarmi per sempre”.

Pare che quando Barrett alzava le braccia all’Ufo tirasse i fili di tutti. Per spezzarli purtroppo. E liberarli tutti. Lui per primo. Dal sempre uguale. Pare si sia sentito un Padreterno. Non nel senso della vanità. Nel senso di un creatore alla lettera. Aveva creato il suo di Paradiso dei miliardi di al di là su misura creati nei secoli dei secoli da gente che pensava morendo di andare invece a stare in compagnia. Lo aveva creato in vita rinunciando alla vita e facendo poi il morto per semplice coerenza.

Davvero Waters ha detto “meglio il ns. pubblico di fatti, per questo ci apprezzava”. Però l’ha attribuita a Wright.
Non c’è a memoria alcun punk che non apprezzi Barrett. L’ha scritto sul serio uno dei tanti autori delle tante bio-Syd.
Bbc non sta per Barrett being cool. La Bbc ha una sola storica funzione. Rassicura e crea dipendenza.
Keller alla fine della intervista dopo aver parlato con Syd si convertì lasciando il “too loud” per il “perché no”.
Dopo trent’e passa anni il lasciato è raccolto, perché no. A domanda della sorella che ha visto con lui un programma su lui della Bbc, due parole soltanto too loud.

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