Come hanno preso Stampa e Repubblica il prestito da 6,3 miliardi a Fiat Chrysler

di dipocheparole

Pubblicato il 2020-05-17

È un bel direttore! (cit). Da qualche giorno si parla molto del prestito con garanzia SACE da 6,3 miliardi chiesto da Fiat Chrysler e da restituire in tre anni. Posto che non si tratta di soldi dello Stato (che fornisce la garanzia pubblica) ma «di Intesa Sanpaolo per il perfezionamento di una linea di credito a …

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È un bel direttore! (cit). Da qualche giorno si parla molto del prestito con garanzia SACE da 6,3 miliardi chiesto da Fiat Chrysler e da restituire in tre anni. Posto che non si tratta di soldi dello Stato (che fornisce la garanzia pubblica) ma «di Intesa Sanpaolo per il perfezionamento di una linea di credito a tre anni, destinata esclusivamente alle attività italiane del Gruppo FCA e al sostegno della filiera dell’automotive in Italia, composta da circa 10.000 piccole e medie imprese». E’ bello notare che alle critiche di molti facciano oggi da contraltare Repubblica e Stampa, perfettamente allineate nel cantare le lodi della decisione del loro editore. Repubblica fa notare nel titolo che gli Agnelli non l’han certo fatto per sé, ma “per il lavoro in Italia” e nota gli elogi dei sindacati.

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La Stampa va oltre e ricorda che si tratta di una “misura a sostegno di tutto il settore auto”, di “un’operazione innovativa per la ripartenza del sistema industriale nazionale” e riporta Conte che ricorda che non si tratta di un privilegio perché “danno lavoro in Italia”. Infine, non poteva mancare il “plauso dei sindacati: è un modello per tutte le altre filiere”.

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E le polemiche? Gli articoli le riportano corredate delle repliche, tra le quali spicca quella di FCA che dice che il trasferimento della sede fiscale a Londra l’operazione era “fiscalmente neutrale”: hanno deciso così perché gli piaceva il té.

Sul web e sulle agenzie di stampa si è assistito a un florilegio di dichiarazioni, soprattutto di esponenti del Pd e della sinistra di Leu, sul fatto che Fca ha da alcuni anni trasferito la sede legale ad Amsterdam e quella fiscale a Londra. «Senza imbarcarci in discussioni su che cosa è un paradiso fiscale – twitta il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando – credo si possa dire con chiarezza una cosa: un’impresa che chiede ingenti finanziamenti allo Stato italiano riporta la sede in Italia». Dello stesso tenore il leader di Azione, Carlo Calenda, Stefano Fassina e Nicola Fratoianni di Leu, Ettore Licheri dei 5s. Secca la replica di Conte. «Non stiamo parlando di privilegi. Fca sta a monte di una catena dove ci sono fabbriche italiane, c’è lavoro italiano e si produce in Italia. C’è un problema di competizione di ordinamenti. Inghilterra o Olanda, dobbiamo chiederci: perché vanno lì? Noi dobbiamo rendere più attraente il nostro ordinamento giuridico. Stiamo introducendo modifiche societarie nel dl Semplificazioni per scongiurare la maggiore competitività di altri Paesi dell’Ue, che per me è inaccettabile. Non intendiamo più concedere questi vantaggi ai nostri competitor».

Del resto Fca occupa in Italia 53.417 addetti in 16 stabilimenti e 26 poli di ricerca e sviluppo. La filiera automotive conta oltre 400 mila lavoratori, rappresenta più del 7% degli occupati del settore manifatturiero, ha un fatturato di quasi 106 miliardi, l’11% della manifattura e il 6,2% del Pil. Quando nel 2014 è stato deciso il trasferimento della sede fiscale a Londra, Fca ha precisato che l’operazione era «fiscalmente neutrale». Su quanto prodotto e venduto in Italia ha continuato a pagare le imposte nel Paese. Nel 2016 Fca, Cnh e Ferrari hanno versato complessivamente imposte in Italia per 1,9 miliardi.

Non è un bel direttore? Proprio un santo, dai.

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