Economia
Stagnazione: l’Italia è ferma
neXtQuotidiano 19/01/2020
Molti istituti di ricerca sono pronti a scommettere che la crescita del 2020 sarà la metà di quella immaginata nella primavera scorsa con l’ultimo Documento di economia e finanza (più 0,8%) e quattro volte meno di quella preconizzata a fine 2018 (più 1,6)
L’industria soffre, frena il Pil, meno consumi ed export in calo: l’Italia è tornata in stagnazione, come aveva inutilmente avvertito Bruxelles, con una insignificante spolverata di Pil: appena lo 0,2%. E soprattutto, spiega oggi Marco Ruffolo su Repubblica, il 2020 si preannuncia peggiore:
Molti istituti di ricerca sono infatti pronti a scommettere che la crescita del 2020 sarà la metà di quella immaginata nella primavera scorsa con l’ultimo Documento di economia e finanza (più 0,8%) e quattro volte meno di quella preconizzata a fine 2018 (più 1,6). La Commissione Ue, l’Ocse, Standard & Poor’s e la Confindustria non vanno al di là del +0,4%. Fmi, Bankitalia, Prometeia e Moody’s si spingono fino allo 0,5%.
Il governo invece accredita una crescita dello 0,6%. Stima confermata dagli economisti di Ref Ricerche, che in una analisi preparata per Repubblica appaiono meno pessimisti di altri loro colleghi sulle stime del commercio mondiale: ci sarà a loro giudizio un «leggero rafforzamento delle nostre esportazioni», che torneranno a dare il contributo maggiore al pur esiguo aumento del Pil. Aumento che in ogni caso resta solo un pallido surrogato del promesso exploit.
Il drastico ridimensionamento delle aspettative di crescita nasce non solo dai dati Istat di novembre, ma più recentemente dalle risposte che a dicembre (così come ogni mese) 400 direttori degli acquisti (sia nell’industria sia nei servizi) hanno dato in un sondaggio sulla situazione delle proprie aziende: produzione, ordini, scorte e prezzi, occupazione.
Dai loro giudizi si ricava un indice tra i più attendibili: il Pmi, Purchasing managers’index. Se supera 50 vuol dire che la maggior parte delle risposte registra un miglioramento; se resta sotto, c’è un peggioramento. A dicembre l’indice del settore manifatturiero è crollato a 46,2 (era quasi 48 ad agosto); quello dei servizi è invece salito a 51,1. Insomma, è decisamente l’industria a soffrire di più. Il terziario, invece, regge piuttosto bene e garantisce quella crescita dei posti di lavoro che l’Istat continua a certificare: 41 mila occupati in più a novembre, 285 mila in un anno. Ma si tratta di lavoro povero, poco produttivo, mal pagato e in molti casi limitato ad un part time imposto ai lavoratori. Si spiega così lo strano strabismo dell’economia italiana, che vede da una parte aumentare l’occupazione e dall’altra ristagnare il Pil.
Il risultato, come sostiene Bankitalia nell’ultimo Bollettino, è un quarto trimestre fermo, che tuttavia, secondo gli economisti di Via Nazionale, nasconde un ulteriore rischio: quello che la debolezza dei settori manifatturieri finisca per contagiare i servi zi. In questo caso la stagnazione si trasformerebbe in recessione.
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