Economia
Spending Review, il piano di Cottarelli
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2015-04-01
Finalmente pubblicato il piano per la riduzione della spesa pubblica. Le analisi dei tecnici, da oggi pubblicate online, riguardano ogni settore, ogni comparto e ogni rivolo di spesa pubblica e scendono nel dettaglio dei costi e dei possibili tagli da attuare nel breve, nel medio e nel lungo periodo. Alcune proposte sono “estreme”.
Il piano di Cottarelli sulla spending review è finalmente stato reso pubblico dal governo. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel sito internet dedicato alla «Revisione della spesa», da ieri sera, ha messo on line i 19 rapporti in base ai quali, l’anno scorso, Cottarelli identificò fino ad un massimo di 7 miliardi di tagli possibili già nel 2014, che potevano salire a 18 nel 2015 e a 34 nel 2016, solo in minima parte poi attuati dal governo Renzi.
SPENDING REVIEW, IL PIANO DI COTTARELLI
Nelle slide si legge che «Con questi vincoli, risparmi lordi massimi di 7 mld su base annua nel 2014 (più bassi se misure adottate in corso d’anno), 18 mld nel 2015, 34 mld nel 2016. Quanto effettivamente realizzare di questi importi è una scelta politica legata agli obiettivi di bilancio e riduzione della tassazione. In ogni caso, è opportuno utilizzare nel quadro macrofiscale cifre più basse per evitare sorprese, soprattutto nel 2014».
Sulla spending review per quasi un anno era andato avanti un giallo fatto di tira e molla sulla sua pubblicazione. Dopo l’addio di Cottarelli, che è tornato al Fondo Monetario Internazionale, la riprogrammazione della spesa pubblica è stata affidata da Matteo Renzi a Yoram Gutgeld, consigliere economico del premier, e Roberto Perotti, economista de Lavoce.info. Nel capitolo “Efficientamento” si affrontano le riduzioni di spesa per beni e servizi, la pubblicizzazione telematica degli appalti pubblici, la riduzione dei costi per la riscossione fiscale e la gestione degli immobili di proprietà dello Stato, il taglio di consulenze ed auto blu, proposte per la riduzione dell’inquinamento luminoso e l’efficientamento energetico, e la riduzione degli stipendi dei dirigenti della pubblica amministrazione. Lo Stato spende oltre 1,2 miliardi di euro per pagare affitti delle proprie sedi sparse sul territorio che comunque sono in numero eccessivo. Emblematico il caso del comune di Prato, citato nel rapporto, nel cui territorio le amministrazioni statali hanno “ben 34 sedi per una consistenza complessiva di 216.000 mq” e di queste 28 sono in affitto per un costo complessivo annuo di circa 8,7 milioni di euro. Il gruppo di lavoro propone, tra l’altro, di affidare la gestione del pagamento degli affitti, e delle risorse corrispodenti, “ad un unico soggetto, che potrebbe essere individuato nell’Agenzia del Demanio”. Per “incentivare” le amministrazioni a rivedere la propria dislocazione territoriale il gruppo propone “che gli stanziamenti del capitolo vengano ridotti per un ammontare complessivo di 200 milioni a partire dal 2015 e di ulteriori 100 milioni a partire dal 2016”. Tra le altre proposte anche quella di obbligare gli enti locali che affittano loro immobili allo Stato ad impiegare il ricavato per la ristrutturazione delle scuole, tenendo queste spese fuori dal patto di stabilita’. I ricavi degli altri enti pubblici dovrebbero essere invece scalati da eventuali contributi a carico del bilancio dello Stato.
Poi c’è la riorganizzazione, che parte dalla riforma delle province, seguita dalla razionalizzazione delle forze di polizia, dalla soppressione di CNEL e altri enti pubblici, e dalla digitalizzazione della pubblica amministrazione. Il capitolo più interessante è quello della riduzione dei costi della politica:
Il Corriere della Sera racconta oggi:
Con l’accorpamento dei comuni più piccoli, quelli fino a 10mila abitanti (e altre misure come ad esempio l’eliminazione del Tfr per i sindaci) , si avrebbero risparmi potenzialmente elevati, circa 250 milioni di euro l’anno, mentre per le Regioni sono ipotizzati altri 360 miliardi di possibili risparmi. Anche se l’estensione del meccanismo dei fabbisogni standard adottato per i comuni, potrebbe generare risparmi fino a 520 milioni di euro l’anno. «Restano misteriosi e non accessibili molti dei flussi finanziari che rappresentano forme diverse di finanziamento del sistema della politica nel nostro paese» si legge a proposito del finanziamento pubblico dei partiti. La riforma del 2014, con la possibilità di devolvere il 2 per mille dell’Irpef ad un partito politico, risolve parte dei problemi, Ma non tutti. Rispetto alle misure già varate, ad esempio, il gruppo di Cottarelli identifica altri 65 milioni di euro di possibili risparmi.
I TRASFERIMENTI A FAMIGLIE ED IMPRESE
L’azione potrebbe concentrarsi sui farmaci (favorendo la concorrenza di principi attivi differenti con sovrapponibilità terapeutiche, lo sviluppo dei farmaci biosimilari, la revisione delle modalità distributive e la definizione di prezzi di riferimento per categorie omogenee) e sui dispositivi medici (con la costituzione di un Prontuario Nazionale attraverso la standardizzazione e la definizione di un codice unico nazionale, la definizione di prezzi di riferimento per categorie omogenee, l’espletamento di gare regionali per le categorie di dispositivi di utilizzo trasversale e lo sviluppo di Osservatori regionali su consumi e prezzi. La parola d’ordine è costi standard. Il capitolo più corposo è quello che riguarda la riduzione dei trasferimenti a famiglie ed imprese:
Scrive ancora Mario Sensini:
Secondo il rapporto del gruppo di lavoro pubblicato ieri,i trasferimenti pubblici alle imprese private che potrebbero essere riconsiderati ammontano a 3,8 miliardi nel 2015 e a circa 4 nel prossimo anno. A questi si aggiungono, ad esempio, i fondi pubblici trasferiti alle Ferrovie dello Stato. Solo qui, secondo gli esperti di Cottarelli, sarebbe possibile risparmiare fino a 3,5 miliardi di euro, adottando la stessa remunerazione del servizio pubblico che usano gli altri paesi europei, inferiore a quella italiana del 55%.
In dettaglio il rapporto indica che le misure proposte per i comuni darebbero risparmi di 255 milioni all’anno (275 milioni se venissero estese anche alle regioni a statuto speciale), di cui almeno 158 milioni ottenibili in tempi rapidi. Nel caso delle regioni i risparmi ammontano a 360 milioni di euro l’anno di cui almeno 110 nell’immediato. Si tratta – sottolinea il rapporto, di risparmi addizionali rispetto al decreto del governo Monti (che ha un impatto stimato di 160 milioni) che finora ha avuto una adozione solo parziale da parte delle regioni. Inoltre 65 milioni nel prossimo triennio dal finanziamento ai partiti.