Se perde il referendum Renzi non si dimette più?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-06-22

Per Repubblica c’è il Modello Cameron: il premier, responsabilmente, dovrebbe promettere di rimanere in sella anche in caso di sconfitta e nonostante gli annunci contrari. Così il Rottamatore si trasformò in un uomo per tutte le mezze stagioni?

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Quando era evidentemente sicuro di vincerlo, il premier Matteo Renzi aveva annunciato che in caso di sconfitta al referendum sulle riforme si sarebbe dimesso. Oggi che tanto sicuro non lo è più, spuntano casualmente gli inviti a ripensarci. A “raccontarceli” è Repubblica, che in un retroscena pieno di gustosi virgolettati com’è suo costume e a firma di Tommaso Ciriaco e Goffredo De Marchis ci raccontano che starebbe prevalendo nientepopodimenoché il Modello Cameron. Il premier britannico ha infatti detto che non ha intenzione di dimettersi nemmeno se perdesse il referendum sulla Brexit che avrà luogo domani. E se Cameron si rende disponibile a bere l’amaro calice di restare sulla poltrona, sacrificando sé stesso oltre ogni dire in caso di sconfitta, perché Renzi non dovrebbe fare altrettanto – sempre in nome del sacrificio, cosa andate pensando voi malelingue?

Se perde il referendum Renzi non si dimette più?

Tanto spirito di sacrificio meriterebbe in effetti una medaglia al valore, ma – fanno sapere gli estensori dell’articolo – Renzi non sarebbe mica del tutto convinto di questo dietrofront che ad alcuni – chissà perché! – potrebbe dare il senso di una enorme paraculata.

Modello Cameron. È la formula che circola in queste ore a Palazzo Chigi. Ci si riferisce alle parole pronunciate dal premier britannico a proposito del referendum sulla Brexit: «Anche se perdo non mi dimetto». Quelle parole andrebbero trasferite in Italia, legandole al voto di ottobre sulla riforma costituzionale. Anche Matteo Renzi dovrebbe dire qualcosa del genere: «Se vince il No, non mi dimetto». Smentendo tutte le dichiarazioni di questi mesi: la promessa di un ritiro a vita privata in caso di sconfitta (seguito pure dalla ministra Boschi), di abbandono della vita politica, di rapido ritorno a Pontassieve. Diventerebbe un clamoroso dietrofront ma si ragiona se non sia l’unica exit strategy dopo la dura sconfitta alle amministrative.
Del resto, se il capo del governo italiano sostiene che bisogna «spersonalizzare» il referendum costituzionale, questa appare l’unica strada per farlo. Intorno all’ipotesi si muove un fronte trasversale. Che va dalla minoranza di Pier Luigi Bersani, ai ministri Andrea Orlando, Dario Franceschini, Maurizio Martina e passa per dirigenti vicinissimi al segretario come Lorenzo Guerini. Modello Cameron. Magari sfumandolo, però si trova sempre una soluzione per correggere il tiro. Non più la legge di riforma come Armageddon della politica, ma passaggio importantissimo per il futuro del Paese dopo il quale, in caso di insuccesso, «andrebbero tratte le conseguenze». Ecco, questo è un piano B che può funzionare. Lasciando perdere i proclami su rumorosi addii.

E quindi da una parte ci sono i Responsabili che vorrebbero tenere in piedi il premier, e tra questi non è difficile scorgere quei molti che non vedrebbero l’ora di avere un premier azzoppato a Palazzo Chigi magari per riprendersi quello che sentono come loro.

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Vignetta da: PD – La serie

Un uomo per tutte le mezze stagioni?

Repubblica dipinge però un premier molto dubbioso sulla soluzione “responsabile”; e vista l’argomentazione da Asilo Infantile che usa, potete scommetterci che stavolta i virgolettati sono proprio suoi:

Renzi riflette, ha qualche dubbio. «Io spersonalizzo, ma se gli altri personalizzano che facciamo? Siamo punto e daccapo», ha argomentato parlando con i suoi collaboratori. Però ragiona sulla possibilità e ha promesso una risposta venerdi, nella direzione del Pd. Ieri ha lasciato un indizio: «Credo che un politico abbia ogni giorno numerosi dati e debba fare ogni giorno i conti con il consenso. Devi sempre mediare e capire. Un politico deve cogliere il momento buono», ha detto il premier in un incontro con Alec Ross, il guru della politica 2.0. Certo, per accettare la via d’uscita Renzi dovrebbe ammettere con se stesso che nel voto delle comunali esiste una buona componente contro di lui e che questo meccanismo potrebbe scattare anche al referendum. Ma se vuole «cogliere il momento», allora la consapevolezza di un problema Renzi è destinata a farsi largo.

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Intanto anche Ferruccio De Bortoli su Twitter gli chiede un passo alla Cameron. Ma forse questa pantomima arriva fuori tempo massimo. Perché con un’opposizione che ha il vento mediatico in poppa un passo indietro di questo genere porterebbe a effetti rovinosi. Renzi può anche far recitare un’altra sceneggiata alla direzione PD, come ai bei tempi in cui si doveva fottere Letta, con i maggiorenti in ginocchio che gli chiedono per favore di rimanere in poltrona. Ma dovrebbe essere consapevole che l’opzione “meglio tirare a campare che tirare le cuoia” valeva per la prima Repubblica ma sarebbe rovinosa per l’immagine che si è faticosamente costruito negli anni in corsa e che sta andando velocemente in frantumi per l’inadeguatezza della sua azione politica e per i troppi ascari che ha cooptato al potere dopo aver rottamato qualche vecchietto. L’alternativa è venire percepito come un uomo per tutte le mezze stagioni. E consegnare definitivamente il paese ai 5 Stelle.

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