Saverio Tommasi racconta l’aggressione subita ieri a Milano dai “No Green Pass” | INTERVISTA

di Massimiliano Cassano

Pubblicato il 2021-11-07

Il giornalista di Fanpage Saverio Tommasi ha provato a documentare la piazza “no green pass” di Milano. A Next ha raccontato l’aggressione subita, l’ennesima da quando segue le manifestazioni dall’inizio della pandemia

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Ancora violenze contro i giornalisti nelle manifestazioni “no green pass”. Il sedicesimo sabato di proteste di piazza degli scettici del certificato verde a Milano è iniziato con un’aggressione, l’ennesima, nei confronti del giornalista di Fanpage Saverio Tommasi, che con un operatore stava cercando di documentare gli umori del corteo partito da Piazza Fontana. “Ma nessuno vuole parlare – spiega Tommasi a Next – perché non amano i giornalisti. Ci sono degli addetti che girano tra la gente col megafono ricordando a tutti di non rispondere alle domande. Ero con i lavoratori della Gls e uno mi stava parlando, subito si sono avvicinati altri a dirgli di stare zitto. Non rilasciare dichiarazioni è un diritto, anche se io non lo comprendo, visto che sei in piazza per dire la tua. Umanamente mi dispiace. Diversa cosa sono le aggressioni, sono volato in terra una volta”.

Ecco, ci spieghi cosa è successo di preciso?

Insulti continui, spinte, prevaricazioni. Quello che mi preoccupa è l’insistenza: non si tratta di una persona o due, non sono dieci esaltati. Abbiamo girato il corteo, provando ogni mezz’ora a entrare dentro, ma tutte le volte, ti giuro tutte, accadeva la stessa cosa quando provavamo a fermare qualcuno. Eppure noi chiedevamo semplicemente perché fossero in piazza, e quanto pensano di continuare a resistere.

Sei riuscito a farti un’idea di chi c’era in quella piazza?

Quella di Milano è una piazza variegata, c’era perfino l’ex brigatista Ferrari, una parte degli anarchici, c’erano quelli molto a destra. Le piazze “No Green Pass” variano da città a città: a Firenze non ho trovato il dominio dell’estrema destra, solo la seconda volta c’erano alcuni che si autodefinivano fascisti. Ma c’erano anche punk, persone estrema sinistra, studenti. A Roma, lo avete visto, c’è una grossa frangia di Forza Nuova. Ma soprattutto, ci sono tante persone che non si identificano con nessuno, sono solo arrabbiate col sistema. Io ho visto ieri tanta disperazione. C’è gente che non è serena: molte facce erano facce di persone che singolarmente sono disperate, non cattive, solo che quando sono insieme si mettono a testuggine. Io vorrei raccontare quella disperazione.

Alla luce di tutto, pensi valga la pena tornare in una manifestazione per documentarla?

È una riflessione da fare, non c’è una risposta uguale nel tempo. Dallo scorso settembre non sono stato presente tutte le volte, ci vado quando sembra che qualcosa cambi. Penso che noi giornalisti non dobbiamo farci dettare l’agenda dalla volontà di chi c’è in piazza, ma dal fatto che ci sia o meno qualcosa di diverso da raccontare. Però ormai mi aspetto che mi accolgano così, è triste, rende l’idea di un clima esistente e diffuso.

In questo clima qualcuno ha provato a mostrarti solidarietà?

Te lo dico a numeri: due persone e mezza. Sono intervenute per dire basta, dicendo che queste aggressioni ai giornalisti sono fasciste.. Due e mezza su centinaia e centinaia.

Cosa ti senti di dire a quelle centinaia?

La cosa che più mi domando è perché qualcuno non creda all’intera comunità scientifica, e dia ascolto a qualche canale Telegram, blog, o medico buttato fuori dall’ordine. E lo dico in una forma di egoismo sorridente: vorrei ci si ammalasse meno, e si morisse meno. Con queste persone vorrei parlare delle questioni aperte, come quella delle case farmaceutiche, ma il dialogo è impedito.

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