Salvini ha capito poco o nulla della decisione del tribunale sull’identificazione “madre-padre” per le coppie omogenitoriali

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2022-11-17

Il leader della Lega, firmatario di quel decreto, non sembra aver letto le motivazioni dell’ordinanza. Mentre Palazzo Chigi sostiene che la decisione sarà “esaminata” dal governo

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Quel decreto licenziato dal governo italiano del 2019, su spinta dell’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, aveva sollevato critiche e perplessità fin dall’inizio. La decisione di imporre anche alle coppie omogenitoriali di “identificarsi” secondo gli appellativi (e i ruoli) di “padre” e “madre” di un minore nei documenti aveva già fatto emergere clamorose incongruenze che vennero immediatamente sottolineata dal Garante della Privacy. Ma, come spesso capita, il leader della Lega fece “spallucce”. Ma ora è arrivata la decisione del Tribunale di Roma che ha accolto il ricorso di due mamme, sottolineando come una donna non possa identificarsi su documenti ufficiali come “padre”. Insomma, si riapre il tema della denominazione “genitore”.

Salvini non ha capito nulla della sentenza su “padre-madre” nei documenti

Matteo Salvini, però, sembra non aver centrato il punto delle contestazioni mosse dai giudici della XVIII Sezione del Tribunale civile di Roma e prova a gettare fumo negli occhi offrendo ai suoi elettori una narrazione distopica rispetto alle controversie palesate da chi ha deciso di bocciare – di fatto – il suo decreto:

“Usare sulla carta d’identità le parole padre e madre (le parole più belle del mondo) secondo il Tribunale Civile di Roma sarebbe una violazione delle norme comunitarie e internazionali, da qui la decisione di sostituirle con la più neutra parola ‘genitore’. Illegali o discriminanti le parole mamma e papà? Non ho parole, ma davvero”.

In realtà, le parole le ha. Ma sono quasi tutte sbagliate. Il Tribunale Civile della capitale, infatti, non ha mai detto che le parole “mamma” e “papà” (in realtà di parla di “madre” e “padre” in termini giudici) siano illegali o discriminanti. I giudici, infatti, fanno riferimento solamente alle coppie omogenitoriali, ovvero quei genitori dello stesso sesso che devono rappresentare (a tutela del minore) la potestà su un figlio. Infatti, all’interno della decisione dei giudici c’è un passaggio fondamentale che il leader della Lega ha deciso di non sottolineare nella sua comunicazione social:

“Discutendosi, nella fattispecie, del rilascio della Carte d’Identità Elettronica valida per l’espatrio, la falsa rappresentazione del ruolo parentale di una delle due genitrici, in evidente contrasto con la sua identità sessuale e di genere, comporta conseguenze (almeno potenziali) rilevanti sia sul piano del rispetto dei diritti garantiti dalla Costituzione, sia sul piano della necessaria applicazione del diritto primario e derivato dell’Unione europea”.

Ma c’è anche altro, perché il concetto distopico inserito nel decreto Salvini è messo in evidenza anche in un altro passaggio dell’ordinanza del Tribunale Civile della capitale:

“La carta d’identità è un documento con valore certificativo, destinato a provare l’identità personale del titolare, che deve rappresentare in modo esatto quanto risulta dagli atti dello stato civile di cui certifica il contenuto. Ora, un documento che, sulla base di un atto di nascita dal quale risulta che una minore è figlia di una determinata donna ed è stata adottata da un’altra donna, indichi una delle due donne come “padre”, contiene una rappresentazione alterata, e perciò falsa, della realtà ed integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico (artt. 479 e 480 cod. penale)”.

Quindi, una donna “identificata” come “padre è un falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico. Una donna non può avere il ruolo parentale di un “padre”. Una donna, infatti, è una madre. I figli di una coppia omogenitoriale hanno due padri o due madri. È scritto nero su bianco all’interno dell’ordinanza, a chiare lettere. Chiarissime. Per questo motivo, il Tribunale Civile di Roma ha richiamato il governo – indicando nel Comune di Roma l’attuatore di quella dinamica, in quanto la coppia che ha presentato ricorso ha fatto richiesta di C.I.E. per l’espatrio per la loro figlia proprio nella capitale – a un utilizzo dialettico adatto alle circostanze. Di fatto, dunque, è il decreto firmato e fortemente voluto (durante il governo Conte-1) da Matteo Salvini a esser scritto male.

Il caso e la replica di Palazzo Chigi

Insomma, Matteo Salvini prova a negare la realtà dimostrando di aver capito poco della decisione dei giudici di Roma. Il caso specifico – che ora apre una voragine normativa, come già messo in evidenza nel 2019 dal Garante per la protezione dei dati personali – parte dal ricorso di una coppia di madri “costrette” a identificarsi sulla Carta d’Identità Elettronica della figlia minore (valida per l’espatrio) in modo piuttosto controverso: una donna è madre, l’altra è padre. E ora questa decisione finirà anche sul tavolo del governo. Perché la sentenza non ha valore universale. La decisione dei giudici romani non interferisce in toto sul decreto, ma sul caso specifico oggetto del ricorso. E a breve i giudici dovranno pronunciarsi anche su un ricorso analogo. Quel decreto Salvini, infatti, non è mai stato dichiarato incostituzionale. Ma ora che è arrivata una sentenza avversa, l’esecutivo e il Viminale non possono più voltare le spalle alle contestazioni mosse.

(Foto/IPP/Gioia Botteghi)

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