Sala Consilina, i neocatecumenali e la storia del rito del calice che ha diffuso il Coronavirus

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-03-17

In tutto il Vallo di Diano sono sedici le persone risultate positive: altre tre a Caggiano, tra cui il parroco, una a Polla e una ad Atena Lucana. Ma i neocatecumenali si difendono: nessun rito del calice

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Ieri abbiamo raccontato di Ariano Irpino e degli altri comuni in quarantena per il Coronavirus SARS-COV-2 nel salernitano. In uno di questi comuni, ovvero Sala Consilina, secondo i giornali e secondo il governatore della Campania Vincenzo De Luca un rito del calice attribuito ai neocatecumenali aveva portato al contagio di alcune decine di persone. Oggi il Corriere del Mezzogiorno racconta cosa è accaduto nel comune del Salernitano con il maggior numero di contagiati da Covid-19.

Sala Consilina, i neocatecumenali e la storia del rito del calice che ha diffuso il Coronavirus

Ben undici, di cui dieci avevano preso parte agli  incontri neocatecumenali delle settimane scorse, vero e proprio focolaio del virus, e uno aveva avuto  rapporti di lavoro con un esponente delgruppo di preghiera.

In tutto il Vallo di Diano sono sedici le persone risultate positive: altre tre a Caggiano, tra cui il parroco, una a Polla e una ad Atena Lucana. Una situazione d’emergenza che fa registrare un centinaio di «contatti stretti» da sottoporre a monitoraggio e che ha fatto subito pensare a quanto accaduto nella provincia lombarda. Non a caso domenica pomeriggio il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, viste anche le sollecitazioni che arrivavano dai territori «contaminati», ha disposto la quarantena per tutti e quattro i comuni a sud di Salerno fino al 31 marzo.

Da Sala Consilina, Caggiano, Polla e Atena Lucana nessuno può uscire e al contempo c’è il divieto assoluto di accesso a meno che non si tratti di operatori socio-sanitari. Sospese anche le attività degli uffici pubblici, fatta salva l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità.

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Secondo quanto hanno raccontato i giornali qualche decina di persone ha partecipato a inizio marzo a un rito religioso nel Vallo di Diano culminato con una liturgia eucaristica che consisteva nel mangiare un’ostia ma anche bere tutti dallo stesso calice. Ed è stato proprio questo uso comune del calice a diventare elemento di contagio. Queste persone, a loro volta, avrebbe contagiato nei giorni a seguire altri concittadini dei comuni del Vallo di Diano. Al momento sono 16 i casi positivi in questa zona. Così distribuiti: 11 a Sala Consilina, 3 a Caggiano, 1 a Polla, 1 a Atena Lucana. Ma i contatti registrati da sottoporre a controllo preventivo sono 45 a Sala Consilina, 20 a Caggiano, 10 a Polla, 8 ad Atena Lucana, 5 a Teggiano, 5 a Montesano, 3 a Buonabitacolo, 3 ad Auletta, 2 a Sant’Arsenio e 3 a Padula.

Ma i neocatecumenali si difendono sul rito del calice

Ma la comunità dei neocatecumenali del Vallo di Diano non ci sta a passare come un gruppo di untori  per il rito della bevuta collettiva al calice ottagonale. Ora uno dei partecipanti spiega al Corriere del Mezzogiorno che quel rito non fu celebrato proprio per evitare i contagi che comunque sono avvenuti. Aurelio Iacolare, tecnico riparatore di antenne tv, residente a Bellizzi, dove è in quarantena fino al 27 marzo,  uno dei neocatecumeni che ha preso parte ai due raduni nel Vallo di Diano che sono risultati focolaio di COVID-19, spiega:

«Eravamo in venti. Tredici di Sala Consilina, due di Eboli, due sacerdoti, don Michele Totaro e don Vincenzo Gallo, e io assieme ad altre due persone che venivamo da Bellizzi. Nel pomeriggio di domenica si sono aggiunti altri cinque fedeli per l’eucarestia».

Con lei c’era Raffaele Citro, il 76enne di Bellizzi poi deceduto con il coronavirus, in compagnia della moglie, anch’ella contagiata.
«Sì, il povero Raffaele. Nulla lasciava presagire la sua fine, stavamo tutti bene, nessuno aveva sintomi che potessero far preoccupare. Neppure un colpo di tosse».

Si è detto che in quell’occasione avete bevuto tutti il vino dallo stesso calice, un rituale che affratella i membri della comunità ma che diventa anche un pericoloso veicolo di contagio.
«Niente di più falso, è una menzogna. Lo ha chiarito anche il vescovo di Teggiano-Policastro, monsignor Antonio De Luca. Già da due settimane prima non bevevamo dallo stesso calice né ci scambiavamo il segno della pace o prendevamo l’ostia sulla mano. Stavamo molto attenti, insieme sì ma ad una certa distanza».

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Iacolare parla anche di un addetto del tribunale di Lagonegro, residente a Sala Consilina, che proveniva proprio da Milano e che ha partecipato al rito ma aggiunge che la fonte del contagio potrebbe essere un’altra persona: «L’amico Raffaele è risultato positivo, così come la moglie che sta facendo la quarantena. So che Raffaele il 13 febbraio scorso era stato per dei controlli al Campolongo Hospital dove pure si sono verificati altri casi di contagio». Intanto il governatore De Luca ha dato mandato all’Asl di denunciare penalmente il “predicatore” irresponsabile dei neocatecumeni. Per quanto riguarda Ariano Irpino, Silvana D’Agostino, il commissario straordinario di Ariano Irpino, il comune della provincia di Avellino in quarantena, ha detto ieri all’AdnKronos: “Tutto sembrerebbe essere partito secondo quanto emerso finora da una festa di carnevale in un locale avvenuta nelle scorse settimane a cui hanno preso parte molte persone. E a seguito della festa nei giorni successivi uno dei partecipanti è risultato positivo facendo scattare immediatamente tutte le misure necessarie a ricostruire i contatti che nel tempo trascorso si erano moltiplicati. L’indagine epidemiologica è tuttora in corso”.

Leggi anche: Ariano Irpino, la festa di Carnevale e il rito del calice nei paesi del Salernitano che ha portato il Coronavirus

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