Economia
Robin Tax: la Consulta fa un buco nei conti di Renzi
Alessandro D'Amato 11/02/2015
La Corte giudica incostituzionale la Robin Tax, pagata da imprese del settore elettrico, del gas e petrolifere e scaricata come sempre da esse sugli utenti. Niente effetti retroattivi, ma un miliardo in meno di entrate nel bilancio dello Stato. Da riempire
La domanda la fa il senatore di SEL Luciano Uras, capogruppo in commissione bilancio: «Vogliamo sapere quali saranno gli effetti sul Bilancio dell’esercizio in corso dopo che la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della cosiddetta Robin Tax, la tassa riguardante le aziende operanti nel settore petrolifero-energetico», chiede in un’interpellanza al ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan. «Tale decisione – prosegue Uras – per quanto appaia limitata nelle conseguenze negative sul Bilancio dello Stato, per la esclusione di effetti retroattivi, potrebbe comunque determinare la necessità di individuare in ragione del minor gettito fonti alternative per assicurare le dovute coperture alla spesa prevista o, in alternativa, una riduzione di spesa per oltre un miliardo per l’esercizio in corso».
LA CORTE COSTITUZIONALE BOCCIA LA ROBIN TAX
La Corte Costituzionale ha infatti giudicato incostituzionale la Robin Tax, ovvero l’addizionale Ires (l’Imposta sul reddito delle società) che tocca le aziende petrolifere ed energetiche (ma anche, nella sua ultima formulazione, quelle delle energie rinnovabili) istituita con l’articolo 81 del decreto legge 112 del 2008 dal governo Berlusconi, con Giulio Tremonti ministro. A sollevare questione di legittimità su questa norma era stata la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia a seguito del ricorso proposto da una rete di punti vendita di carburanti, Scat Punti vendita spa, contro l’Agenzia Entrate di Reggio Emilia. La Corte, si legge nel dispositivo, ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico), e successive modificazioni, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica». I commi citati prevedono che «in dipendenza dell’andamento dell’economia e dell’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico, l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società» sia «applicata con una addizionale di 5,5 punti percentuali per i soggetti che abbiano conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di ricavi superiore a 25 milioni di euro e che operano nei settori di seguito indicati: a) ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi; b) raffinazione petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale; c) produzione o commercializzazione di energia elettrica. Alle compagnie energetiche interessate inoltre «è fatto divieto di traslare l’onere della maggiorazione d’imposta sui prezzi al consumo».
IL MOTIVO DELLA BOCCIATURA
La bocciatura della Robin Tax viene motivata dalla Corte Costituzione con un vizio di irragionevolezza. Secondo i giudici, i presupposti addotti dal legislatore, ovvero la crisi economica e il contemporaneo deflagrare del prezzo del greggio, appaiono idonei a giustificare un prelievo differenziato che colpisce gli eventuali sovra-profitti congiunturali, del settore energetico e petrolifero. Lo scopo del legislatore era “senz’altro legittimo”, ma i mezzi approntati non sono stati giudicati idonei a conseguirlo.
Il vizio di irragionevolezza è evidenziato dalla configurazione del tributo in esame come maggiorazione di aliquota che si applica all’intero reddito di impresa, anziché ai soli ‘sovra-profitti’; dall’assenza di una delimitazione del suo ambito di applicazione in prospettiva temporale o di meccanismi atti a verificare il perdurare della congiuntura economica che ne giustifica l’applicazione; dall’impossibilita’ di prevedere meccanismi di accertamento idonei a garantire che gli oneri derivanti dall’incremento di imposta non si traducano in aumenti del prezzo al consumo”.
Per tutti questi motivi, la maggiorazione dell’Ires applicabile al settore petrolifero e dell’energia, così come configurata, «viola gli articoli 3 e 53 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità, per incongruità dei mezzi approntati dal legislatore rispetto allo scopo, in sé e per sé legittimo, perseguito». La sentenza, però, non sarà retroattiva, e quindi lo Stato non dovrà restituire quanto preso illegittimamente dalle tasche delle aziende, e questo non può che costituire un sospiro di sollievo per i conti dello Stato. Ma varrà per il futuro, e questo impegna il governo a trovare il modo di coprire il buco di un miliardo.
PERCHÉ NON SI RESTITUISCE LA TOBIN TAX
Come mai i proventi delle tasse non vengono restituiti, come nei casi precedenti? Perché, spiega la Corte, «l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari determinerebbe uno squilibrio del bilancio dello Stato» tale da implicare «una manovra finanziaria aggiuntiva». E soprattutto, spiega Mario Seminerio su Phastidio, per un motivo molto più interessante:
La successiva motivazione della Consulta è più interessante e per certi aspetti rivelatrice:
E «in un periodo di perdurante crisi economica» ci sarebbe «una irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli operatori economici che possono avere invece beneficiato di una congiuntura favorevole»
Che può significare, una simile frase? Noi avremmo una spiegazione piuttosto maliziosa. Considerato che, secondo le relazioni dell’Autorità per l’Energia, esiste un pesante sospetto (che è quasi realtà) che in numerose circostanze il tributo sia stato traslato a valle, cioè sui consumatori, appare evidente che il recupero retroattivo dell’addizionale causerebbe quello che la Consulta scrive nella sentenza, cioè sarebbe un piccolo cadeau alle imprese che hanno fatto pagare il consumatore. Vi quadra? A noi abbastanza.
Sia come sia, Uras pronostica che ai conti del governo mancherà un miliardo. «Per questi motivi – conclude Uras – vogliamo sapere quali saranno le iniziative che il Governo intenderà adottare sia sul fronte delle entrate che su quello della spesa per dare copertura all’eventuale minor gettito determinato dalla soppressione dell’addizionale Ires». Attendiamo di saperlo, tutti.