Perché a Luigi Di Maio “non risulta” che sia stato pagato un riscatto per Silvia Romano

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-05-13

Perché in questi casi il riscatto viene pagato dai servizi segreti, che in effetti hanno seguito tutta l’operazione in accordo con la presidenza del Consiglio dei ministri. I servizi segreti pagano i riscatti con fondi propri

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A Luigi Di Maio, ministro degli Esteri del governo Conte, “non risulta” che sia stato pagato un riscatto per Silvia Romano. Ed è impossibile, in effetti, che gli risulti. «A me non risultano riscatti per la liberazione di Silvia Romano. Altrimenti dovrei dirlo e denunciare», ha detto a Fuori dal Coro. Il capo della Farnesina ha anche aggiunto, facendo seguito alle dichiarazioni del portavoce di al Shabaab che ne confermava il pagamento: «Perché la parola di un terrorista che viene intervistato vale più di quella dello Stato italiano?».

Perché a Luigi Di Maio “non risulta” che sia stato pagato un riscatto per Silvia Romano

Ma perché a Di Maio non risulta che sia stato pagato un riscatto? Perché in questi casi il riscatto viene pagato dai servizi segreti, che in effetti hanno seguito tutta l’operazione in accordo con la presidenza del Consiglio dei ministri. I servizi segreti pagano i riscatti con fondi “propri”, che non compaiono nei bilanci ufficiali, e dei quali quindi non c’è traccia. Ma che si paghi per riavere i propri cittadini è una norma in moltissimi paesi: “Judith Tebbut, cittadina britannica sequestrata in Kenya col marito e ostaggio in Somalia per 6 mesi. Prima e dopo. Prezzo pagato per il riscatto dal governo: 1,2 milioni di euro nel 2012. Altro da aggiungere?”, ha scritto ieri su Twitter il giornalista Andrea Purgatori.

Che sia stato pagato un riscatto è quindi evidente, così come basta dare un’occhiata al tweet di Giuseppe Conte cancellato e poi ripubblicato per sapere chi si è occupato dell’operazione: in un primo momento il presidente del Consiglio ringraziava “i servizi di intelligence”, poi ha aggiunto un aggettivo importante nel secondo tweet: “esterna”. Ovvero l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE). Gli inquirenti hanno già fatto indagini, ascoltando i vertici della onlus Africa Milele per verificare le modalità del viaggio e della permanenza della volontaria a Chakama. E ora, dopo il racconto fatto da lei stessa ai magistrati e alcune dichiarazioni rese dalla responsabile della ong, verranno effettuati ulteriori accertamenti. Silvia Romano, infatti, era stata mandata in Kenya dopo un’esperienza come volontaria, un colloquio e un corso online. Conosceva l’inglese e le diedero un incarico di responsabilità. «Era arrivata il 5 novembre ed è stata rapita il 20 – ha dichiarato Lilian Sora, fondatrice della onlus -: non avevamo fatto in tempo ad attivare l’assicurazione».

Tutti i riscatti pagati dall’Italia per i propri cittadini rapiti

Ieri l’AdnKronos ha riepilogato che la cifra dei riscatti ufficialmente mai pagati, ma di cui, in un modo o nell’altro, più fonti parlano liberamente, stando a indiscrezioni stampa e non solo avrebbe raggiunto, nel corso degli anni, circa 80 milioni di euro. Tanti soldi per liberare gli ostaggi italiani che, dal 2004 a oggi, sono stati rapiti in Iraq, Siria, Libia, Afghanistan, Somalia e non solo. Somme che non lasciano traccia, che mai sono state (e mai lo saranno) confermate e verificate, ma il cui pagamento si dà per scontato, tanto da avere, in più occasioni, provocato polemiche in casa e la sollevazione di qualche nostro alleato, Stati Uniti per primi, contrari a finanziare i terroristi fosse anche per riportare a casa una vita umana. Più volte si sono tentati calcoli e ipotizzate cifre a sei zeri. Ci provò il settimanale Panorama nel 2012, altre testate fecero altrettanto negli anni a seguire ed ogni qualvolta un cittadino italiano rapito da organizzazioni islamiche tornava a casa dopo mesi o anni di prigionia. E così, ad esempio, il governo italiano avrebbe pagato 4 milioni (stessa cifra rivelata in questi giorni dal Giornale per Silvia Romano) per riportare a casa le “due Simone”, Simona Torretta e Simona Pari, le cooperanti sequestrate il 7 settembre 2004 in Iraq e liberate il 29 dello stesso mese. A rivelarlo fu il Sunday Times citando fonti della stessa intelligence italiana.

giuseppe conte

Per la liberazione della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, invece, rapita in Iraq il 4 febbraio del 2005 e liberata un mese dopo, lo Stato italiano secondo quanto si lesse all’epoca avrebbe tirato fuori una cifra fra i 5 e i 6 milioni di euro. Polemiche nacquero intorno all’ipotesi del riscatto pagato per la liberazione del fotoreporter Gabriele Torsello, rapito 12 ottobre del 2006 in Afghanistan e rilasciato dopo 23 giorni. In quel caso, nonostante le smentite dello stesso Torsello, fu il fondatore di Emergency, Gino Strada, che si prodigò per ottenere il rilascio, a confermare ai magistrati che indagavano sulla vicenda il pagamento di due milioni di dollari. L’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga, in un’intervista televisiva rilasciata il 2 aprile del 2007, riferì che i due milioni “sono stati pagati” ma forse già restituiti all’Italia dalla Gran Bretagna. I soldi, disse Cossiga, ”sono stati presi probabilmente dai fondi riservati dei servizi di informazione e sicurezza, ma non mi meraviglierebbe che ci fossero stati restituiti” dal “governo di Sua Maestà britannica”, visto che, e qui Cossiga si fece ironico, Torsello “è un ragazzo che vive da lungo tempo in Gran Bretagna e loro si affezionano a chi vive da loro”. Nella stessa intervista l’ex Capo dello Stato aggiunse: “Il governo non dovrebbe mai trattare”.

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