Economia
Reversibilità e ISEE: cosa manca e cosa serve
Alessandro D'Amato 16/02/2016
Enrico Marro sul Corriere: l’ISEE può servire a redistribuire in maniera più equa le prestazioni
Enrico Marro sul Corriere della Sera torna oggi sulla questione delle pensioni di reversibilità e chiude la questione segnalando che sulla sostenibilità delle prestazioni prima o poi bisognerà tornare:
Le pensioni di reversibilità rappresentano un pezzo fondamentale dello Stato sociale per circa 4,3 milioni di «superstiti»: in buona parte vedove, che percepiscono per tutta la loro restante vita, in base al reddito, dal 30 al 60% di quella che era la pensione del marito deceduto. Per questa voce si spendono circa 41 miliardi di euro l’anno (che fanno 733 euro in media a testa per tredici mensilità). È vero, in un caso su tre l’assegno di reversibilità costituisce l’unica forma di reddito (il 67,5% dei percettori la cumula invece con altre pensioni), o comunque la principale, che si somma alla casa di abitazione lasciata in eredità dal coniuge. Ma è anche vero che, essendo legata all’imponibile Irpef del percettore, la reversibilità può andare anche a chi abbia pochi guadagni ma molta ricchezza (dai depositi in banca alle case).
Per Marro l’ISEE può essere usato come criterio se serve a redistribuire in maniera più equa le prestazioni:
La riforma dell’assistenza contenuta nella delega suggerisce in generale di legare le prestazioni all’Isee, cioè all’indicatore della ricchezza familiare (redditi e patrimonio mobiliare e immobiliare) che certamente è più completo del reddito Irpef. Alla fine, pare di capire, non si farà nulla. La materia presenta troppi rischi. Da quello di creare nuovi poveri, che andrebbero comunque assistiti, a quello di costituire un precedente che autorizzerebbe strette anche su altre prestazioni ora non legate all’Isee. Per non dire dei rischi elettorali. Ogni volta che si parla di pensioni la tentazione di cedere alle strumentalizzazioni prevale sulle analisi più ponderate. Oggi molti tirano un sospiro di sollievo. Ma questo non significa che in futuro non si dovrà tornare sulla sostenibilità di prestazioni pensate per un’Italia che non c’è più: quella delle donne che, di regola, non lavoravano e non avevano di che mantenersi. L’Isee, se usato con criterio, può servire a redistribuire in maniera più equa le prestazioni. Senza scatenare una guerra tra vecchi e nuovi poveri.