Economia
Reverse Charge: un altro buco nei conti di Renzi?
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2015-05-06
In arrivo la bocciatura della UE per il meccanismo dell’IVA alla Grande Distribuzione. Il governo pensa di usare il tesoretto per il blocco della clausola di salvaguardia sulle accise. Nel frattempo, sulle pensioni è in arrivo un nuovo intervento
Ok allo split payment, no al reverse charge dell’IVA per la Grande Distribuzione. Il Sole 24 Ore annuncia che è in arrivo la sentenza della UE sui due meccanismi fiscali proposti dal governo Renzi nella Legge di Stabilità 2015, come già si prospettava a marzo. Ma senza l’ok al reverse charge scatterebbe in automatico dal prossimo primo luglio l’aumento delle accise per 700 milioni. E il governo a questo punto si deve affrettare a coprire il buco.
REVERSE CHARGE: UN ALTRO BUCO NEI CONTI DI RENZI?
Il reverse charge è il meccanismo con cui l’acquirente «autofattura» l’Iva dovuta, e la versa direttamente allo Stato invece di «girarla» al fornitore, come avviene oggi. Con questa novità, non sarebbe più possibile emettere facilmente fatture per operazioni inesistenti per intascare l’Iva, come oggi avviene con le cosiddette «frodi carosello» e le «omesse dichiarazioni», secondo il governo, e il meccanismo è stato inserito nella Legge di Stabilità approvata nel frattempo da Bruxelles. Con la bocciatura del meccanismo in automatico scatta l’aumento delle accise per circa 700 milioni, che il governo vorrebbe scongiurare attraverso l’utilizzo del tesoretto, ovvero il margine di maggior deficit che emerge dalla differenza tra deficit tendenziale e deficit programmatico: 1,6 miliardi che comunque nel frattempo erano stati destinati anche a coprire la perequazione per le pensioni, per la quale si immagina un altro meccanismo. Anche perché l’impatto economico a completo regime della sentenza della Corte è molto più ampio, e dovrebbe attestarsi intorno ai 9-10 miliardi. Confindustria nei mesi scorsi aveva presentato ufficialmente alla Commissione europea una denuncia contro il meccanismo del reverse charge per il versamento dell’Iva relativa alle forniture nei confronti di supermercati, ipermercati e discount alimentari. Con la denuncia preventiva presentata oggi gli industriali segnalavano all’Ue «le forti preoccupazioni delle imprese per le conseguenze che la misura potrebbe provocare sul sistema produttivo».
Potrebbero infatti esserci «effetti devastanti sulla liquidità delle imprese e sui loro piani di investimento futuri». «Le imprese italiane – si legge in una nota – sono molto preoccupate perché se la misura venisse autorizzata produrrebbe pesanti conseguenze finanziarie per tutti i fornitori della Grande Distribuzione Organizzata, considerata la mole di crediti Iva che matureranno. Il sistema produttivo è già notevolmente esposto dagli altri meccanismi di reverse charge e di split payment introdotti con la Legge di Stabilità: per cui è necessario incrementare la soglia di compensazione dei crediti Iva fino a 1 milione di euro e assicurare fondi adeguati per i rimborsi».
L’Italia, prosegue Confindustria, «è nota per i tempi lunghi con cui effettua i rimborsi dei crediti Iva – tanto da essere oggetto di una apposita procedura di infrazione – e il meccanismo di inversione contabile rischia di acuire i ritardi nell’erogazione dei rimborsi, a scapito dell’effettiva neutralità del funzionamento dell’imposta sul valore aggiunto, con effetti devastanti sulla liquidità delle imprese e sui loro piani di investimento futuri. Il contrasto a ogni tipo di evasione fiscale – concludono gli industriali – deve essere perseguito con fermezza: l’evasione mina alla radice la corretta competizione tra imprese, con effetti deleteri sia per il bilancio del nostro Stato sia, con riferimento all’Iva, per quello comunitario. Tuttavia, l’introduzione di fattispecie di reverse charge ulteriori rispetto alle ipotesi elencate dalla direttiva Iva deve essere valutata con estrema cautela e può essere consentita – come prevede la normativa comunitaria – solo in presenza di rischi di frode ampiamente documentati. Non e’ questo il caso delle forniture alla Grande Distribuzione Organizzata».
LA SPESA SULLE PENSIONI
Nel frattempo i tecnici del Governo sono al lavoro sulla bomba previdenza dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco delle pensioni oltre le tre volte il minimo deciso dal Salva Italia. Abolita la norma che prevede il blocco della perequazione per il 2012 e il 2013 dovrebbe, infatti, ”rivivere” la norma precedente ovvero quella del Governo Berlusconi che prevedeva l’indicizzazione piena per le pensioni fino a tre volte il minimo, il 90% per la quota di pensione tra 3 e 5 volte il minimo e il 75% di indicizzazione per le pensioni oltre le cinque volte. Il meccanismo è sulle fasce di reddito quindi se una persona ha una pensione di 4.000 euro prenderebbe il 100% di indicizzazione sui primi 1.405 euro, il 90% tra i 1.405 e i 2.340 euro e il 75% sull’importo che supera questa cifra. Una soluzione che rischia però di essere troppo costosa per il Governo (fino a 1.405 euro tutti avrebbero il rimborso) che con tutta probabilità studierà interventi meno dispendiosi. E’ possibile che si lavori a un decalage ma sui redditi complessivi come prevede la norma del Governo Letta piuttosto che sulle fasce. L’indicizzazione nella norma in vigore attualmente resta al 100% per i redditi oltre tre volte il minimo per poi scendere al 95% tra le tre e le quattro volte, al 75% tra le quattro e le cinque e al 50% tra le 5 e le 6 volte il minimo. Se il Governo dovesse fissare l’asticella per i rimborsi a cinque volte, senza prevedere decalage per gli altri, dovrebbero essere circa 4,3 milioni i pensionati (sui circa sei che non hanno avuto diritto alla perequazione) che potranno avere il recupero dell’inflazione (il numero si evince dal casellario generale dei pensionati pubblicato sul sito Inps). Tra i 1.500 e i 2.500 euro di reddito lordo mensile infatti ci sono 4,3 milioni di pensionati (su 16,4 complessivi) per un importo complessivo annuo in questa fascia di 99 miliardi di spesa (sul quale va calcolato la spesa complessiva per il recupero dell’inflazione). Questo significherebbe solo per il 2012 una spesa di tre miliardi (l’inflazione era al 3%) che andrebbe però depurata dal carico fiscale che tornerebbe nelle casse dello Stato e caricata degli interessi. La spesa per il 2013 potrebbe essere di 4,2 miliardi perchè al trascinamento del 2012 si aggiunge il recupero di inflazione per l’1,2%. Dando la perequazione per fasce di reddito la spesa aumenta (ma la decisione anche se il rimborso oltre una certo livello non fosse pieno rispetterebbe meglio la posizione della Consulta). Bisognerà quindi trovare una soluzione economicamente sostenibile tra le norme Sacconi Tremonti (che rivivono dopo la sentenza di illegittimità costituzionale delle norme del Salva Italia) e quelle del Governo Letta che prevedevano un decalage per il recupero dell’inflazione non per fasce ma sul reddito complessivo.