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Renzi vuole rimandare il referendum sulle riforme?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-06-23

L’obiettivo è guadagnare qualche settimana in più per la campagna elettorale. Il partito va incontro a tre mesi di mobilitazione per sostenere il sì. Intanto NCD annuncia che si smarcherà dall’esecutivo dopo il voto

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Il Metodo Cameron? L’entourage di Matteo Renzi fa sapere che è scartato. Nonostante le notizie che parevano più che altro gentili inviti, l’ipotesi di non dimettersi anche in caso di sconfitta al referendum sulle riforme pare tramontata già prima di nascere. Se non altro per la sua assoluta impraticabilità politica, dopo che il premier ha promesso a reti unificate che quello di ottobre sarà un referendum su di lui. Ma le brillanti menti di Palazzo Chigi, che hanno già dimostrato alte capacità strategiche con l’alleanza con Verdini e la defenestrazione del sindaco di Roma dal notaio, si sono messi in testa un’altra idea meravigliosa: rimandare il referendum di ottobre il più in là possibile per avere più tempo per fare campagna elettorale.

Renzi vuole rimandare il referendum sulle riforme?

A parlare dell’ideona è oggi Fabio Martini sulla Stampa: «Renzi deve ancora decidere sulle parole d’ordine definitive, alcune da cancellare, altre da aggiornare. Ma in attesa di mettere a fuoco la propaganda, il presidente del Consiglio sta accarezzando un’idea: quella di posticipare la data del referendum. Nelle settimane scorse Renzi aveva buttato lì una data, il 2 ottobre. Poi, qualche giorno fa, con nonchalance, ha fatto fugaci accenni ad altre date, «il 9 o il 16 ottobre». Ma dopo la sconfitta elettorale nei due turni amministrativi, Renzi si è fatto due conti e sta valutando l’ipotesi di un posticipo più corposo. Se si votasse ai primi di ottobre, escludendo il mese di agosto, per la campagna referendaria resterebbero a disposizione una settantina di giorni». Ecco perché il presidente del Consiglio ha cominciato ad accarezzare l’idea di far slittare il referendum fino al 23 o al 30 ottobre: «Un modo per poter disporre di tre, quattro settimane in più: dopo il cambio di «umore» nel Paese palesato nelle amministrative, poter disporre di quasi un mese in più, potrebbe essere utile per dispiegare meglio la campagna a favore del «sì». Certo, un fastidioso «rumore di fondo» aveva sinora spinto il governo a puntare sul 2 ottobre: la convocazione per il 4 della seduta della Corte Costituzionale chiamata ad esprimersi sull’ammissibilità e poi, eventualmente, sul merito del ricorso relativo alla nuova legge elettorale. Dalla Consulta, come sempre, non trapelano indiscrezioni, ma a quanto pare, per ragioni che attengono al contenuto del ricorso, potrebbe valutarsi un aggiornamento del ruolino di marcia, che portasse la Corte Costituzionale a decidere dopo la celebrazione del referendum».

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Il referendum sulle riforme nei sondaggi IPSOS – Corriere della Sera


Cosa cambierebbe con tre settimane in più di campagna elettorale? Il problema politico che hanno evidenziato le elezioni amministrative in realtà rimarrebbe intatto. La scelta di rendere prioritaria una riforma della Costituzione che non sembra scaldare i cuori nemmeno di chi l’ha votata in Parlamento obbliga adesso Renzi a cercare di convincere l’elettorato a votarla senza poterlo blandire con effetti speciali. Se il clamoroso successo del PD alle Europee era stato in parte sicuramente aiutato dall’annuncio degli 80 euro, adesso il premier ha esaurito gli effetti speciali.

Il problema politico con NCD

In più un altro problema politico si staglia all’orizzonte. Ed è quello che riguarda il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, il quale ha già fatto sapere che con il referendum si conclude la natura istituzionale del governo e dunque si porrà il problema della permanenza dei suoi parlamentari nella maggioranza che sostiene il governo. L’UDC, che componeva una compagine importante nei numeri, se n’è già andata. All’interno di NCD Lupi e Schifani da tempo sostengono la linea del ritorno con Forza Italia. Dopo il referendum la via delle elezioni potrebbe essere più rapida. Anche in caso di vittoria del sì.

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