Così la Regione Lombardia convoca i morti per il test del tampone

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-05-10

La storia della signora Alberta, che qualche giorno fa ha ricevuto una telefonata dall’ATS per sottoporre al test del tampone suo padre. Che però era morto un mese prima

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In molti si chiedono per quale scherzo del destino cinico et baro la Lombardia sia stata preda del Coronavirus SARS-COV-2 e di COVID-19. Un modo per capire come sia potuta succedere questa casualità è spiegato in un articolo pubblicato oggi dal Corriere della Sera, dove si racconta la storia della signora Alberta, che qualche giorno fa ha ricevuto una telefonata dall’ATS per sottoporre al test del tampone suo padre. Che però era morto un mese prima.

«Al momento ero imbarazzata io per l’impiegata,sapevo che non era colpa sua — dice ora —. Ma adesso provo rabbia e dolore: non si può lavorare in questo modo quando ci sono di mezzo le vite e i sentimenti della gente». La signora vive a Fiorano al Serio, tremila abitanti in cima a quella Val Seriana flagellata dal virus. Suo padre Silvano Fantoni, 77 anni, ex perito automobilistico, comincia a stare male ai primi di marzo. Un mese che in paese ha visto la morte di 37 persone contro le 3 di media negli anni scorsi.

I casi positivi finora sono ufficialmente 47, «ma quelli reali, conoscendo i malati, sono molti di più», dice il sindaco Andrea Bolandrina. Dopo due giorni di febbre e nausea, e visto che il pensionato aveva anche il Parkinson e altri problemi, si decide per il ricovero. Il 14 marzo entra all’ospedale di Piario, il 17 viene sotto posto al tampone che
lo trova positivo al virus e il 18 muore.

padre morto tampone test

«Da allora abbiamo vissuto nella paura che succedesse anche a noi —racconta Alberta Fantoni, 52 anni, due figli —. Anche perché una nostra vicina è stata dimessa dall’ospedale con la prescrizione di qualche tachipirina e poco dopo è morta. Speravamo che almeno ci facessero il tampone. Intanto mio marito ha continuato a lavorare al supermercato. Con tutte le precauzioni, ma senza che le autorità controllassero la sua salute».

Il 20 aprile arriva la telefonata dell’Ats: «Hanno parlato di tampone, ma poi ho capito che volevano farlo a mio padre. Ho dovuto rispondere che era morto da un mese». Di telefonate simili ne sono arrivate diverse nella stessa provincia. «Il 1° aprile papà ci lascia per il Covid — racconta un giovane di Bergamo —. Venti giorni dopo ci chiama l’Ats: vuole parlare con lui per il secondo tampone».

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