«Referendum, se vince il no Italia fuori dall'euro»

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-11-21

Un po’ di terrorismo non guasta mai: «Dopo la Brexit e Donald Trump occorre prepararsi al ritorno di una crisi dell’eurozona. Se il primo ministro italiano Matteo Renzi dovesse perdere il referendum costituzionale del 4 dicembre mi aspetto una sequenza di eventi che metterebbe in dubbio la partecipazione dell’Italia all’eurozona», dice il Financial Times

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Il referendum italiano come chiave per il futuro politico dell’Eurozona. Di più: se vince il no l’Italia potrebbe accelerare il cammino verso l’uscita dall’euro. Wolfgang Münchau sul Financial Times dipinge uno scenario a tinte fosche per il dopo urne: populismi che trionfano in tutta Europa, guidati dalla vittoria di Donald Trump e dalla Brexit, e l’euro che si sfalda, con l’Italia in prima fila tra le nazioni che abbandoneranno la moneta unica. E soprattutto: visto il fronte che guida il no al referendum, uscite del genere invece di terrorizzare possono motivare ulteriormente gli elettori ad andare alle urne.

«Referendum, se vince il no l’Italia esce dall’euro»

Sostiene Münchau che le cause alla base della possibilità di abbandono dell’euro non hanno nulla a che fare con il referendum: più cogente è il fatto che le performance economiche dell’Italia dal momento dell’adozione della moneta unica sono peggiorate e la produttività totale dei fattori è diminuita del 5% nel Belpaese mentre in Francia e Germania è cresciuta del 10%. Poi c’è il fatto che l’UE ha ormai abbandonato l’idea di costituire una vera e propria unione economica e bancaria dopo la crisi del 2012, imponendo invece l’austerità. Questi due fattori combinati sono le cause principali dell’incremento del populismo in Europa: e in Italia, sostiene Münchau, ci sono tre partiti anti-euro: “MoVimento 5 Stelle, la Lega di Salvini e Forza Italia“. In realtà noi sappiamo che per ora il partito di Berlusconi ha rifiutato di seguire la Lega sul tema del no alla moneta unica, e questo tra l’altro pone in serio pericolo l’unità politica del centrodestra. Il referendum, quindi, secondo il FT potrebbe accelerare il cammino verso l’uscita dall’euro: anche perché Renzi ha già fatto sapere che si dimetterà in caso di sconfitta: per questo il 5 dicembre l’Europa potrebbe svegliarsi con una minaccia immediata di disintegrazione sulla testa. Anche perché l’altro anello debole della catena è la Francia, dove l’eventuale vittoria di Marine Le Pen alle presidenziali non è più considerata come un rischio remoto: la Le Pen ha promesso di tenere un referendum sul futuro della Francia in Europa: se quel referendum dovesse portare alla Frexit, l’UE finirebbe il giorno dopo insieme alla moneta unica.

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La classifica del PIL europeo: l’Italia è terzultima nella crescita, al di sotto della media del Vecchio Continente

Münchau poi sostiene che una uscita italiana o francese dall’euro porterebbe al più grande default della storia, con i titolari stranieri del debito in euro che sarebbero pagati in equivalenti lire o franchi. Come sappiamo, la storia è più complicata di così. Poi parla dei rischi di fallimenti bancari e dice che la Germania si accorgerebbe che realizzare un surplus delle partite correnti ha anche i suoli lati negativi. Infine il FT si chiede come tutto questo possa essere evitato: ovvero solo se la Merkel accettasse una road map verso una piena unione fiscale o politica, mentre l’UE dovrebbe rafforzare l’ESM che comunque non è progettato per gestire le difficoltà in paesi delle dimensioni di Italia o Francia. Se la cancelliera dovesse scegliere tra eurobond e uscita dell’Italia dall’euro, la sua risposta potrebbe essere diversa da quella solita. Ma molto dipenderà anche dalle elezioni tedesche del 2017. Lo scenario che Munchau si aspetta prevede l’uscita dall’eurozona di uno o più paesi, tra cui l’Italia ma non la Francia.

Il referendum e Credit Suisse

C’è da segnalare che invece Giovanni Zanni, Head of economic research per il Sud Europa della banca d’affari svizzera Credit Suisse, in un’intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera getta invece acqua sul fuoco del rischio sistemico segnalato dal Financial Times:

«È eccessivo parlare di choc dei mercati. Non credo siamo di fronte a un rischio sistemico. Certo è probabile che ci sarà un ulteriore allargamento, ma non esagerato, del nostro spread sul bund e anche le banche ne risentiranno. Però non sarà una situazione che non si possa gestire: siamo in una fase di ripresa economica seppure moderata e c’è l’ombrello Bce».
Come leggeranno i mercati il “Sì” e il “No” al referendum?
«La riforma della Costituzione punta ad avvicinare il sistema decisionale italiano a quelli europei. Se vincerà il Sì la reazione dovrebbe essere positiva. La vittoria del No sarebbe letta invece come un potenziale elemento di ritardo e di rallentamento sul processo di riforme messo in atto dal Paese. Questo però non è un rischio sistemico. Inoltre il quadro di policy e macroeconomico è diverso rispetto al 2011–12 quando eravamo in piena bufera. Le banche italiane sono più solide, sono state fatte ricapitalizzazioni, gli stress test sono stati superati da tutti gli istituti eccetto uno. La situazione è diversa».
Cosa intende per rischio sistemico?
«Con il No il sistema decisionale del Paese resta quello attuale, molto complicato come sappiamo ma alla fine con grandi sforzi l’Italia in qualche modo va avanti. Si ha un rischio sistemico se si mettono in discussione i principi base, come ad esempio l’appartenenza all’Ue o all’euro, com’è accaduto con la Brexit o con la crisi greca dello scorso anno, quando si è arrivati a ipotizzare l’uscita di Atene dall’eurozona. Perché si arrivi a un rischio sistemico in Italia si devono creare tutta una serie di condizioni che non si materializzano immediatamente con la vittoria del No al referendum».

Infine, c’è da ricordare che qualche tempo fa un editoriale di Tony Barber sempre sul FT si schierava per sostenere il no al referendum: le riforme “faranno poco per migliorare la qualità del governo, della legislazione e della politica”, si spiegava, perché “quello di cui l’Italia ha bisogno non sono più leggi da approvare più rapidamente ma meno leggi e migliori. Soprattutto leggi che poi vengano applicate e non bloccate dalla burocrazia”.

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