Fact checking
I prossimi che chiederanno l'uscita dall'Unione Europea e dall'euro dopo il referendum sulla Brexit
Giovanni Drogo 24/06/2016
In Francia e Olanda Le Pen e Wilders hanno già chiesto il referendum per uscire dalla UE. Ma sulla lista ci sono anche Austria, Danimarca, Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia. E l’Italia? Tranquilli, noi abbiamo Salvini e Grillo
La decisione dei cittadini britannici di portare il proprio paese in maniera definitiva fuori dall’Unione Europea sta avendo le prevedibili ripercussioni finanziarie e politiche. I mercati internazionali non hanno preso bene la notizia che il Paese che ospita il cuore finanziario del Continente non farà parte della UE. Notizia che avrà senza dubbio delle ripercussioni importanti non solo sulla vita dei sudditi di Sua Maestà ma anche su quella degli altri 400 milioni di cittadini europei. Ma nonostante tutto ci sono politici europei che festeggiano per il risultato del referendum.
Marine, Geert e gli altri
Ma anche questo era ampiamente prevedibile. Perché – è inutile negarlo – i politici inglesi come Farage e Johnson non sono gli unici ai quali non piace per nulla l’Unione Europea. La realtà delle cose è che anche coloro che nei rispettivi paesi si presentano come europeisti a livello europeo quando c’è da prendere una decisione lo fanno pensano principalmente al proprio tornaconto politico. Ovvero si va ai vari Consigli d’Europa con un unico obiettivo: non fare brutta figura con il pubblico a casa. Il che si traduce spesso e volentieri nella volontà di “portare a casa” un risultato utile nell’immediato, e quando qualcosa non va bene si corre subito a spiegare che “è l’Europa che ce lo chiede” o che si sta solo applicando una direttiva comunitaria (sottintendendo: “abbiamo le mani legate”). Questo significa che al Parlamento europeo ci sono ben pochi europeisti veri mentre tutti – nessuno escluso – di coloro che siedono a Strasburgo e a Bruxelles invece sono impegnati a “cambiare l’Europa da dentro”. Il problema è che tutte queste spinte al cambiamento vanno in direzioni opposte (generalmente puntano tutte verso il paese d’origine del deputato) con il risultato che politicamente parlando l’Unione rimane al palo. In questo contesto hanno buon gioco coloro che mirano a distruggere quello che di buono ha fatto e sta facendo la UE soffiando sul malcontento popolare. Malcontento che però non è unicamente il prodotto della loro propaganda anti-europeista ma che è il frutto avvelenato della modalità con la quale tutti i soggetti politici si rapportano alla casa comune europea.
Tra i primi ad uscire allo scoperto c’è stata Marine Le Pen che ha già chiesto un Referendum in Francia per far decidere ai cittadini della permanenza del Paese all’interno dell’Unione, cosa che faceva già parte del suo programma per le Presidenziali. Secondo alcuni sondaggi il 53% dei francesi appoggerebbe la richiesta di indire una consultazione popolare ma solo il 33% voterebbe per un’uscita della Francia dalla UE. Come per la Brexit la Le Pen non è l’unica a guidare il fronte anti-europeista, all’estremo opposto dello schieramento politico francese Jean-Luc Melénchon guida da sinistra la lotta contro le politiche di austerità imposte dalla Commissione, pur dichiarandosi a favore del No ad un eventuale referendum sull’uscita della Francia dall’Unione Melénchon ha detto chiaramente che la lezione della Brexit è che l’Europa o la si cambia o la si abbandona.
Altro fronte caldo è l’Olanda che già nel 2005 disse no alla Costituzione europea e dove il leader del partito populista PVV Geert Wilders parla di giornata storica e chiede – ovviamente – un referendum per la Nexit. Ad aprile 2016 gli olandesi hanno bocciato anche l’accordo UE-Ucraina e già all’epoca Wilders parlò dell’inizio della fine dell’Unione Europea. Secondo recenti sondaggi il 48% degli olandesi voterebbe per l’uscita dall’Unione mentre il 45% sarebbe per restare. L’Olanda non sarà il paese più euroscettico ma la tenuta del progetto europeo nei Paesi Bassi è in bilico.
Grandi manovre sono in atto anche in Repubblica Ceca, uno dei paesi con il più alto tasso di euroscetticismo in assoluto. Sempre ad est in Polonia (il che è divertente visto che “gli idraulici polacchi” sono stati uno dei grandi spauracchi agitati in faccia agli inglesi meno di un decennio fa) il partito di governo non vede di buon occhio Bruxelles ma i soliti sondaggi ci dicono che il paese potrebbe restare dentro. Diverso è il caso dell’Ungheria dove il leader nazionalista Viktor Orban può giocare a suo favore la carta dell’invasione dei rifugiati, per contrastare la quale ha costruito una barriera di filo spinato lungo tutto il confine meridionale del Paese. In generale il successo che stanno raccogliendo i partiti nazionalisti in Austria (dove però il 53% della popolazione sceglierebbe di rimanere nella UE) e in Danimarca contribuiscono a rendere più probabile che certi paesi vengano spinti a voler uscire dalla UE. Il caso della Danimarca è quello più simile alla situazione inglese visto che i danesi godono di alcune condizioni “speciali”.
E l’Italia?
Nonostante tutto l’agitarsi di Matteo Salvini l’Italia non compare sulle carte dei paesi che potrebbero uscire dall’euro. Segno forse che a livello internazionale le dichiarazioni di Salvini contro l’Europa non contano nulla. Forse nessuno, fuori dall’Italia, ha letto la serie di post e video pubblicati su Facebook dove il Capitano della Lega gongolava per il bel risultato ottenuto dal popolo britannico e dava la colpa a massoni e banchieri che – feriti dall’esito del referendum – ora si stanno vendicando sui sudditi di Sua Maestà facendo crollare le borse e affossando la sterlina. C’è poco da essere contenti perché a perderci, economicamente, sono anche i cittadini italiani. Ma a Salvini che gli frega, l’unica volta che la Lega Nord ha avuto a che fare con una banca gliel’ha salvata lo Stato. Forse in realtà Matteo Salvini non è considerato un politico in grado di spostare davvero voti consistenti contro la UE? Forse è più interessante seguire Marine Le Pen sapendo che poi Salvini farà la stessa identica cosa? Possibile. Allora lo mettiamo nel mucchio di quelli che oggi – precisi come un orologio svizzero – hanno scritto il compitino anti Europa. E facciamo loro un bel pat-pat sul capino, come a dire “bravi, anche questa volta siete riusciti a fare quello che ci si aspettava da voi, ma ora torniamo a parlare con le persone serie”.
Quello che invece non succederà è che che il giorno dopo la Brexit le istituzioni europee abbiano il coraggio di fare un passo deciso verso una più concreta unificazione politica della UE. Non serve però prendersela con Tusk (che chiede di non cedere agli isterismi) e Juncker perché la responsabilità della situazione è di tutti i governi nazionali. In ogni caso, ricordate: Luigi Di Maio vuole il doppio euro.