Lockdown Italia – Cronache da un Paese in Quarantena: 36. Finale

di Lorenzo Favella

Pubblicato il 2020-05-04

La riapertura. Una gita in collina. Un giro in bici per le strade di Roma. Un libro da consegnare. Un balletto al Pigneto. Il destino che sempre unisce due gemelli. Lunedì, 4 maggio 2020. Oggi, è il giorno della riapertura. Parziale, certo, ma il Lockdown come l’abbiamo conosciuto, a partire dall’8 marzo, finisce qui. Mi …

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La riapertura. Una gita in collina. Un giro in bici per le strade di Roma. Un libro da consegnare. Un balletto al Pigneto. Il destino che sempre unisce due gemelli.

Lunedì, 4 maggio 2020.

Oggi, è il giorno della riapertura. Parziale, certo, ma il Lockdown come l’abbiamo conosciuto, a partire dall’8 marzo, finisce qui.

Mi sveglio alle 6 del mattino. Faccio una doccia, mi faccio la messa in piega da sola, stirandomi i capelli, ma ho un pallore cadaverico in viso ed assomiglio a Morticia della famiglia Addams.

Alberto ha detto che mi passerà a prendere in mattinata, per andare a fare un giro. Non mi ha spiegato dove, ma sono già in ansia. Non so cosa mettermi. Provo alcune delle combinazioni che Stefania ha inventato. Sono indecisa. Passo le foto a Luciano per sapere cosa ne pensa.

“Mi piace quella dove sembri Janis Joplin, nella copertina dei suoi Greatest Hits.”
“Con la giacca bordeaux?”
“Sì, e gli occhialoni scuri e tondi.”

Non è male, come scelta. Mi guardo allo specchio e penso che sì, se ci metto una camicia bianca è pure meglio. O forse nera. Non so.

Decido di testare altre combinazioni. Intanto, Luciano mi manda a sua volta fotografie di Roma. Deve portare le scartoffie dalla sua commercialista e sta attraversando tutta la città, in sella alla sua amata bicicletta. Per la prima volta, dopo due mesi, può andarsene in giro come cazzo gli pare.

Squilla il campanello e sono ancora in mutande. Mia madre ne approfitta e si affaccia alla finestra per parlare con Alberto.
“Dov’è che andate?”
“A farci un giro su in collina.”
“E’ permesso?”
“Sì. Ho letto l’ordinanza della regione. Bisogna restare in provincia, ma se uno ha una seconda casa, può andare e tornare in giornata. Giusto per controllare che tutto sia in ordine. Angela?”
“Sempre in ritardo, come al solito. Stai attento con mia figlia, è una bella birichina!”

Manco avessi quindici anni. Devo sbrigarmi, se non voglio che mia madre finisca per dipingermi come una squilibrata. Opto per la versione Janis Joplin con la camicia bianca e scendo giù di corsa. Senza mascherina. A questo ci ha pensato Alberto, che subito mi porge una FFP3, prima di entrare in macchina.
“E’ proprio necessario?”
“Così tua madre è più tranquilla.”
Non è un caso che si metta ad applaudire, sempre affacciata alla finestra. “Fa’ come ti dice. E’ un medico. Sa cos’è giusto!”
Vorrei incenerirla, ma salgo sul Suv di Alberto e non discuto. E poi, dietro quella mascherina, scopro che ci sto bene e nascondo tutto l’imbarazzo e l’ansia che mi ha colto, in questa prima uscita a due.

***

Roma è ancora vuota, sostanzialmente. Il traffico di un tempo è un ricordo lontano, che all’epoca avevo rinunciato a pedalare in città. Preferivo andare a Termini, caricare la bici su un regionale per Orte, Orvieto o Chiusi, e partire da lì, per fare i miei giri.

Ora, invece, la Capitale splende di una bellezza unica. Passo davanti a San Giovanni e procedo verso il Colosseo, come fa l’ottantuno. Lascio perdere il Circo Massimo e mi lancio lungo i Fori Imperiali. Piazza Venezia e poi su, lungo via del Corso, fino a Piazza del Popolo.

La mia commercialista ha lo studio a piazzale Clodio. Mi ha chiesto a che ora sarei arrivato, che vuole evitare assembramenti in ufficio. Le ho detto di non preoccuparsi, che tanto non c’è bisogno di entrare. Lo studio è a piano terra, posso passarle la cartellina direttamente dalla finestra che dà sul cortile.

“Come va? Tutto a posto?”
“E’ una tragedia, Luciano. Qui non lavora più nessuno.”
“Dillo a me.”

L’agente americana non mi ha più fatto sapere niente, del progetto che le ho mandato. I set sono chiusi, chissà quando riapriranno, e la mia commercialista ha tutti i suoi clienti che lavorano nel mondo dello spettacolo.

“Ti vedo in forma, comunque.”
“Insomma, ho messo su un po’ di pancia. Mo’ la devo togliere andando in bici.”
“Bravo! Io sono ingrassata di dieci chili. Quando guardo la bilancia, me viene male…”
“Ma dai su, che sei sempre bella come il sole!”

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Una risata e via, che riprendo la strada. Ho una missione da compiere. L’ho promesso a Graciela, che ieri sera mi ha mandato una immagine che non so dove abbia pescato, su internet: il suo amore, fotografato di spalle, in sedia a rotelle, alle prese con qualche volontario della notte. L’ha riconosciuto per via dello zaino che lei gli aveva regalato.

“Sapresti dirmi che strada è, questa della foto?” mi ha chiesto.

Al principio, ho pensato a via Arenula, poi, guardando meglio su Google Maps, ho capito che era corso Vittorio, nei pressi della Basilica di Sant’Andrea della Valle. Se la volta precedente era stato visto a Trastevere, probabile che sia rimasto a bazzicare in quella zona del centro.

Chissà, magari lo becco, sto tipo in sedia a rotelle. Mi sono portato dietro un copia del libro. Invece di una dedica, ho scritto sulla prima pagina che è un regalo di Graciela, mettendoci pure il suo numero di telefono, che con whatsapp si può chiamare il Brasile senza spendere un euro. Sempre che ce l’abbia, un telefono. Al limite, se lo incontro, gli faccio usare il mio.

***

Mi si è seccata la lingua. Non riesco a dire nulla. Nascosta dietro a quella mascherina, mi sento davvero come una quindicenne al primo appuntamento. Due mesi di quarantena mi hanno cambiato profondamente e me ne rendo conto solo ora.

“Mettiamo su un po’ di musica?” chiede Alberto, per rompere il ghiaccio. Prende in mano un CD. Radio Ethiopia, di Patty Smith. Che tenero… E’ proprio di quello che abbiamo parlato, quando gli ho fatto il terzo grado sotto casa, la seconda volta che ci siamo visti.

Parte il riff di chitarra e pochi secondi dopo siamo tutti e due a sbraitare a squarciagola. “Ask the Angels who they’re calling! Go ask the Angels if they’re calling to thee.”

Alberto non ricorda le parole. Io sì. E la canto tutta, fino alla fine. E anche quelle dopo. E lui mi guarda, ogni tanto, senza perdere di vista la strada, con quei suoi occhi maledettamente verdi, che mi sciolgono.

Guida ragazzo, guida. Portami dove vuoi. Che intanto io canto.

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***

Ci ho abitato cinque anni, a Trastevere. Ormai, non ci andavo più tanto spesso, era sempre troppo imballato di turisti, la sera, ma conosco ogni angolo, ogni vicolo.

Attraverso l’isola Tiberina, dal lato meno turistico, poi rientro percorrendo ponte Garibaldi. Prendo via della Lungaretta, fino a piazza Santa Maria, poi mi infilo per i vicoli che portano a piazza Trilussa e ponte Sisto. Attraverso nuovamente il Tevere e procedo verso Campo dei Fiori. Raggiungo corso Vittorio, passo davanti a Sant’Andrea della Valle e quindi svolto a Torre Argentina, lungo via Arenula.

E’ una giostra di bellezza che mi restituisce il sorriso, dopo tanto tempo. Ma del tipo in carrozzina, non c’è traccia. Pescare l’ago nel pagliaio, non capita tutti i giorni.

***

La casa è isolata, in cima a una collina. Scendiamo dal Suv, che ho sempre detestato ma ho scoperto essere assai comodo, e Alberto mi invita a seguirlo, lungo un sentiero.

Da uno sperone di roccia, si domina la vallata sottostante, dove campeggia la Pietra di Bismantova. Il panorama è obiettivamente sensazionale.
“E mo’ che facciamo? Ci buttiamo di sotto?” dico a mo’ di battuta, ma mi esce male.
“Non credo sia il caso” risponde lui, togliendosi la mascherina. “Ho fatto un tampone ieri. Sono negativo.”
“Perché l’hai fatto?”
“Avevo qualche linea di febbre. Sarà stato lo stress.”

Mi guarda con quegli occhi che d’un tratto appaiono tristi, imploranti.
“Puoi anche toglierla, la mascherina, ora.”

Siamo a due metri di distanza. Forse più. Obbedisco come una bambina, ma tengo le distanze. Il vento mi agita i capelli. Sarebbe il momento perfetto per abbracciarsi e baciarsi, ma ricordo che mia zia, quella che è finita nella struttura riservata ai Covid-19, mi ha detto che ci vogliono due tamponi negativi per essere certi di non essere più contagiosi. E nel gelo che mi assale, non mi riconosco più.

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Vignetta da: Twitter

***

Rientro al Pigneto e prendo per l’isola pedonale, con l’idea di fare un po’ di spesa da Sciubba. Incrocio Sara, che abita a due passi.
“Te sei fatto un giro in bici, eh?”
“Avoja! Mo’ tutti i giorni…”
Mi alzo il foulard sulla faccia e mi avvicino a lei per darle il libro.
“Oh, se una notte, quando sei in giro ad aiutare i senza fissa dimora, becchi il tipo in sedia a rotelle, dagli questo.”
“Ah, ma allora sei proprio de coccio!” alza gli occhi al cielo. “Hai capito o no, che non posso immischiarmi in ste faccende. Chi cazzo è, sta brasiliana?”
“Una che sta in Brasile.”
“Ma potrebbe pure sta’ a Centocelle, che ne sai!”
“Mo’ che vai a pensare, su.”
“Io non penso niente. L’hai capito o no, che lavoro faccio? Ci sono delle regole che devo rispettare.”
“Ho capito, ho capito…”
“Senti a me” dice cambiando discorso. “Perché non mi inviti a cena, una di queste sere, sul terrazzino tuo.”
“Non sono capace a cucinare.”
“Ce penso io a farte un carbonara come se deve, a incapace” e mi schiocca un bacio sulla guancia, per poi allontanarsi con un passo di danza.

Aspetta aspetta… Tiro fuori il cellulare.
“Sara! Fallo di nuovo!”
“Cooosa?”
“Il balletto.”
Allarga le braccia, come a dire “Ma tu sei proprio scemo.”
Poi, esegue di nuovo quel certo step.
Registro un breve video e lo invio ad Angela.

***

Ripreso il sentiero, siamo ormai rientrati verso la casa in cima alla collina, quando sento un bip-bip sul cellulare. E’ un video di Luciano. Guardo, e c’è sta tipa che balla.

“Chi è?”
“Si chiama Sara. Vuole venire a cenare a casa mia. Che faccio?”

Alberto, a sua volta, mi invita ad entrare nella sua casa di campagna.
“Che fai, Janis Joplin? Resti fuori?”

Ci penso su un attimo, poi mando un rapido messaggio a Luciano.
“Certo che ad essere gemelli è una condanna. Le cose succedono sempre uguali, anche a chilometri di distanza.”
“Perché? Cosa sta succedendo a te?”

Evito di rispondere. Spengo il cellulare, rompo gli indugi, ed entro in casa di Alberto.

E sarà quel che sarà.

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