The Italian Lockdown – Cronache da un Paese in Quarantena: 22. Largo all’avanguardia!

di Lorenzo Favella

Pubblicato il 2020-04-06

Skiantos. Aspirapolvere sui muri. Deliri, sbroccamenti e tortelli a gattoni. Madre esausta. Teorie sui Beatles. Un cuoricino che riporta il sereno. Domenica, 5 aprile 2020. “Me mi piace scoreggiare! Non mi devo vergognare! Non c’è niente da salvare!!!” urlo a squarciagola, senza accorgermene, con le cuffiette in testa. “Ah, belle robe che canti” fa capolino …

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Skiantos. Aspirapolvere sui muri. Deliri, sbroccamenti e tortelli a gattoni. Madre esausta. Teorie sui Beatles. Un cuoricino che riporta il sereno.

Domenica, 5 aprile 2020.

“Me mi piace scoreggiare! Non mi devo vergognare! Non c’è niente da salvare!!!” urlo a squarciagola, senza accorgermene, con le cuffiette in testa.

“Ah, belle robe che canti” fa capolino mia madre, che mai una volta in vita sua si deciderà a bussare, quando decide di entrare in camera mia.
L’aspirapolvere in mano non lascia spazio a sconti. Ha deciso di pulire, ancora una volta.
“Se poi ti facessi una doccia e ti lavassi i capelli, ecco che magari, se Alberto tornasse a passare di qui, faresti bella figura.”

Bella figura è una di quelle espressioni, così tipicamente italiane, per certi versi inafferrabile. Gli Inglesi ne hanno altre, bella figura proprio no. Non ho mai capito come tradurla, quando Jason usciva di casa con me, vestito di stracci, e cazzo quanto lo detestavo per quel suo modo “shabby chic” che poi si è visto cosa nascondeva, quando è stato il momento per votare sì o no per la Brexit.

Vado in cucina e mi faccio un caffè. Penso. A Nick Cave che dice è arrivato il momento di ripensare al ruolo dell’artista. E cosa cazzo ci sarebbe da ripensare, Caverna? Se hai voglia di postare video, come il Drago, come Micheal Stipe, come il chitarrista dei Queen, lo fai. Punto.
Se non hai voglia, lo capisco, anche io in garage ci ho provato e mi sono subito rotta le palle, e allora non lo fai. Punto e virgola. Vedi di non rompere con le tue pose da artista maledetto che è già da un po’ che rompi il cazzo e mi dispiace che ti è morto un figlio e scusami per questo sfogo.

Il Drago sta cominciando a sbroccare, con sta storia. Mi messaggia, dopo ogni video che fa. Gli ho detto un sacco di volte che va bene, quando è comico. Quando prende a suonare lo stendino, il tegame o la padella, ecco che funziona.
“Sì, ma guarda che… Se invece di mettere un video al giorno, ne facessi uno a settimana, ecco che a certi livelli potrei arrivarci anch’io.”
“Quali livelli?” chiedo.
“Boh, non so, tipo l’altro giorno. che ho visualizzato Johnny Marr, sai, quello degli Smiths.”

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Il Drago vs Johnny Marr. Vorrei proprio vederla, sta sfida. No, perché quel ragazzo di Manchester qualcosina d’importante l’ha fatto, in vita sua. Il Drago… non era morto?

Ah no, quello era un sogno. Infatti, in effetti, tecnicamente, mi manda un altro messaggio. Chiede di chiamarlo perché ha finito il credito.
E’ sceso in giardino a fare due passi, con la busta della spesa, al Penny Market. Dice di essersi iscritto in un gruppo di facebook, i fans di doctor Fauci.
“Chi cazzo è?”
“Il capo della task force americana! Ne ha parlato anche tuo fratello!”
Sì, certo, Luciano, che sta sbroccando di brutto pure lui, mi sa. Attendo con ansia che pubblichi la sua bella cronichetta al giorno. Se non lo fa, mi preoccupo.
Ieri, ne ha scritto una sul Kenia, minacciava di buttarsi di sotto, per pigliare al volo l’ottantuno. Testa di cazzo. Che poi anche mamma legge, si altera e prende a sbattere i muri, con l’aspirapolvere.

“Faccio i tortelli?” chiede.
“Sì, dai. Ti aiuto?” rispondo.

Trattiene un sorriso, mia madre. E’ tutta una vita che mi vorrebbe trasformare in zdora emiliana e questa volta ha pescato il giorno giusto.
Bisogna prendere la zucca, tagliarla a fette e cuocerle in forno.
Poi, togliere la buccia e mettere la polpa in una teglia. Tritare amaretti, aggiungere un pizzico di noce moscata, sale, e manciate di parmigiano.
Quindi c’è da tirare la sfoglia, che bastano quattro uova e un po’ di farina, per cominciare a riempire i tortelli.

So come si fa. Avevo imparato da piccola, mentre Luciano si divertiva con le sue macchinine, prendeva rotoli di sfoglia e ci passava sopra, chissà perché. Certi uomini sono davvero strani, nascono bambini e rimangono tali. Meno male che ho conosciuto Alberto. Lui sì che è diverso, anche se ho avuto il timore che si iniettasse la morfina.

“E’ dura, sai. Davvero dura andare al lavoro, ogni giorno.”
“Tieni botta.”
“Boia chi molla!”

Oddio, questa è una frase fascista, ma gliela faccio passare. A messaggiare, si finisce spesso per digitare cazzate, non è grave.
Ho capito che è cattolico, però. Crede sul serio in Dio e in qualsiasi altro momento della mia vita lo avrei mandato affanculo senza nemmeno pensarci su.
Gli ho spiegato che non sono credente e lui se n’è subito fatto una ragione, mi ha spiazzata.
“Oggi come oggi, è inutile pensare di credere. Di voler credere. Non è così che funziona. E’ qualcosa che non ti saprei spiegare, nasce dentro, ti accompagna, dopo un po’ ti ci abitui. E a me fa stare bene.”

Me lo immagino con martello e scalpello, a farsi il segno della croce e inserire protesi nelle anche, perché è questo che fa, sostanzialmente. E viene da pensare che chi crede in Dio, qualunque cosa sia, crede in qualcosa e cercherà di far bene il suo lavoro.
Il problema è sceglierlo, il Dio giusto. E i discepoli che ci vanno dietro.

No. Non comincerò certo oggi ad andare in chiesa, che tanto non si può, lo ha detto anche il papa, ma nemmeno tutti i papi sono uguali, figuriamoci i sacerdoti. Mia nonna mi aveva sempre raccontato dell’ultima volta che aveva messo piede in chiesa. Era la vigilia delle elezioni del ’48. Andò a confessarsi e il prete le domandò per chi avrebbe votato.
“Per mio marito. Socialista!” dichiarò, con comprensibile orgoglio.
Il prete non le rimise i peccati e lei, in chiesa, non ci tornò più.

Volevo bene a mia nonna, tanto. La ricetta per fare i tortelli ce l’ha insegnata lei.
“Allora? Come sono?” chiede mia madre. Che il momento in cui ti porti alla bocca il tortello, diventa cruciale. Puoi aver fatto tutto per bene, senza sbagliare nulla con gli ingredienti, ma in fondo, alla fine, conta la polpa. La zucca. Non potrai mai sapere, se è gustosa oppure no, fino a quando non la assaggi.

“Buona” dico.
“Visto? L’importante è che fai come dico io.”

E qui mi sale l’avanguardia. Pubblico di merda! Sbatto il piatto per terra, sputtanando i tortelli sul parquet. E li prendo a mangiare, a gattoni, come una bestia.

“Ora però raccogli e pulisci” sospira mia madre, esausta, per poi andarsi a rifugiare in camera da letto.

L’urlo nella pelle mi si spegne, sulle labbra, sporche, nella loro totale inutilità.

Vibra, il cellulare. E’ Luciano.
“Che hai fatto?” chiede via whatsapp.
“Niente” rispondo.
“Mi ha chiamato mamma. Dice che la spaventi.”
“Rompe il cazzo come al solito, lo sai.”
“Sicura?”

“Ho sbroccato, lo so. Rimedierò.”
“Brava.”
“Brava un cazzo.”
“Bene. Ora sì che ti riconosco.”

Pulisco per terra, poi butto il cellulare sul letto e mi passo una mano sulla fronte. Non ne posso davvero più di questa quarantena. Poi, un altro bi-bip. Alberto.
“Sai qual è la differenza tra credere e no?”
Cazzo di domande sono, da fare, via whatsapp.
Non attende nemmeno la risposta. Insiste. Bi-bip.
“Non c’è differenza. All you need is love.”

“John Lennon sarebbe Gesù Cristo, quindi? Chiedo per un’amica” come si dice di sti tempi.

“No. Ma anche se sei John Lennon, hai bisogno un Paul Mc Cartney al fianco, che molto probabilmente è pure più bravo di te.”

Bella teoria. Interessante.

“Stai bene?” chiedo.
“Non tanto, a dire il vero.”
“Che succede?”
“Nulla. Mi sento come Ringo Starr. Inutile.”

Ci penso su. Non mi piace che Alberto faccia così, che si vede che nemmeno Dio è abbastanza, in certi momenti. Devo dargli una spinta.
“Se davvero pensi di essere Ringo Starr, hai avuto una botta di culo incredibile, nella vita.”

Due secondi dopo, arriva un cuoricino.

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