Economia
Quindici anni di disastri hanno ridotto così il Paschi
neXtQuotidiano 10/12/2016
Se gli ultimi governi italiani hanno la responsabilità politica di non aver voluto nazionalizzarla, i vertici di Mps, spesso di nomina più o meno politica, costellano di errori le gestioni fin dal 2001
Andrea Greco su Repubblica di oggi riepiloga i quindici anni di errori di management e politici che hanno portato all’attuale situazione il Monte dei Paschi di Siena. Se gli ultimi tre governi italiani hanno la responsabilità politica di non aver voluto nazionalizzare Mps, come tanti suggerivano, per scansarne le conseguenze politiche e contabili, i vertici di Mps, spesso di nomina più o meno politica, costellano di errori le gestioni fin dal 2001:
Quando Divo Gronchi e Pierluigi Fabrizi comprano la Banca del Salento di osservanza dalemiana imbarcando Vincenzo De Bustis. Magro affare costato 2.500 miliardi di lire e foriero quasi solo di cause legali per i prodotti innovativi che in Puglia si vendevano. La palma manageriale va a Giuseppe Mussari, che nel 2006 si proietta da presidente della Fondazione Mps alla presidenza della banca, e sceglie Antonio Vigni come dg. Sono anni in cui va difesa la senesità con acquisizioni, per non farsi mangiare da altri.
Senesità, qui, è una declinazione gentile di autocontrollo: quello del Pd locale e romano, che comandano tra la Toscana e la Capitale. Fine della dialettica con gli azionisti ed ecco Antonveneta, pagata 9 miliardi a fine 2007 mentre sbocciava la crisi mondiale. Un dossier mai digerito, che svena la Fondazione intenta a difendere quota 50% nella banca e dà la stura a tutte le spericolatezze contabili attuate per nascondere le perdite; e presto ingolfano le procure competenti e destabilizzano il Monte (stendiamo un velo su Gianluca Baldassarri, il capo della “banda del 5%”).
Anche Fabrizio Viola e Alessandro Profumo non riescono a risanare la banca:
Per la non incisiva cura dei crediti in sofferenza che hanno contribuito a 10 miliardi di perdite negli ultimi 4 esercizi; per la difesa della diga contabile che scriveva come “Btp” le operazioni in “derivati” su quei titoli di debito (dopo anni di dispute i pm di Milano e la Consob hanno imposto a Mps di correggere i bilanci 2009-2015, aprendo la strada ai ricorsi legali); per avere perso l’occasione di convertire in capitale i vecchi aiuti di Stato, difendendo l’orgoglio e l’autonomia di dirigenti privati, e pure il reddito nel caso di Viola: perché la direttiva Ue impone un tetto di 500mila euro l’anno ai manager sotto aiuto di Stato, mentre il capoazienda tra il 2012 e il 2016 ha guadagnato 11 milioni.
Quel tetto si abbatterà su Marco Morelli, ad da tre mesi che però conosce il rischio (è stato il Tesoro a imporre la sua staffetta con Viola). Non lievi sono le responsabilità di Consob e Banca d’Italia, che vigilando hanno approvato acquisizioni e emissioni di titoli per circa 20 miliardi, già in cenere o ben avviati. Consob approva il prospetto dei 2,16 miliardi di bond subordinati 2008 venduti a 40mila clienti dalle agenzie Mps, con scritto che avrebbero quotato “tendenzialmente a 100” mentre oggi stiamo sotto 60 (proprio su questo titolo i tecnici cercano forme di ristoro quando, con i prossimi probabili aiuti di Stato, la conversione forzosa dei subordinati presenterà il conto). Poi approva i prospetti degli aumenti 2014 e 2015, che dopo le correzioni contabili sui derivati fatte l’anno scorso rischiano d’essere armi in mano a investitori arrabbiati (ci hanno perso 8 miliardi).