Quei quattro miliardi che Papa Francesco deve alla povera Italia

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-11-05

La storia dell’IMU evasa tra 2006 e 2012 e mai riscossa dallo Stato italiano: la Corte di Giustizia europea impone di quantificare e richiedere. Il Pontefice ha una chance per passare dalle parole ai fatti

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La storia comincia otto anni fa, e il bello è che non è ancora finita. Sul tavolo c’è ancora la zozzissima questione dell’IMU alla Chiesa, ovvero i soldi che il Vaticano non ha conferito per anni allo Stato italiano facendo passare per enti no profit alberghi, punti di ristoro, scuole e cliniche. Una storia sollevata nel 2006 dai radicali, che avevano denunciato le norme del governo Berlusconi che legalizzavano di fatto la furbata: dopo vari insabbiamenti, nel 2012 la Corte di Giustizia aveva dato ragione ai ricorrenti, condannando il del regime fiscale di favore che portava a uno sconto del 100% sull’ICI prima, sull’IMU poi, e il taglio dell’Ires su sanità e istruzione privata. L’Antitrust europeo fece notare che era una distorsione del mercato, ma gli alfieri della concorrenza all’italiana ebbero un momentaneo periodo di afonia della durata di qualche anno: cose che capitano quando c’è di mezzo la Chiesa. Alla fine il governo Monti aveva dovuto adeguare la fiscalità, ma aveva anche detto che sarebbe stato impossibile, chissà perché, recuperare le tasse evase nel periodo di fiscalità di vantaggio. E la Commissione Europea, immaginiamo quanto a malincuore, aveva dovuto scontare al Vaticano: si tratta, secondo l’ANCI, della bella cifra di quattro miliardi di euro.
 
I QUATTRO MILIARDI CHE DEVE LA CHIESA ALL’ITALIA
Incidentalmente, si tratta della stessa cifra di tagli agli enti locali chiesti dal governo nella Legge di stabilità 2015: tagli che andranno a ripercuotersi sulla fiscalità generale, con aggravio di pagamenti che colpirà soprattutto la povera gente. Qui arriva la sorpresa, e la racconta Alberto D’Argenio su Repubblica:

Ora – con una decisione del 29 ottobre dell’Ottava sezione del Tribunale che ha applicato una nuova norma del Trattato di Lisbona – la Corte del Lussemburgo ha dato torto alla Commissione europea che chiedeva l’irricevibilità della causa e rinvia la questione a un giudizio sul merito. Bruxelles avrà tempo fino al 10 dicembre per presentare una memoria difensiva in grado di giustificare la decisione di non chiedere i rimborsi per «generale e assoluta» impossibilità di procedere al recupero. Poi saranno i ricorrenti a presentare una memoria e infine si arriverà a sentenza. Nel caso immediatamente esecutiva, appellabile ma i cui effetti non potranno essere sospesi se non da un ribaltamento definitivo del giudizio.

Formalmente, quindi, la partita deve ancora chiudersi. Se finisse con la peggiore delle ipotesi, per la Chiesa si farebbe grigia visto che dovrebbe pagare allo Stato italiano una cifra non indifferente di arretrati. E in più c’è anche un altro problema. Ricordate la circolare del ministero dell’Economia che regolarizzava l’IMU sugli enti ecclesiastici e formalizzava le regole per il pagamento al fisco da lì in poi? Ebbene, sempre secondo Maurizio Turco e Carlo Pontesilli, esponenti del Partito Radicale, anche qui c’era l’inghippo:

Ma i ricorrenti non la pensano così, e sono pronti ad allegare alla causa pendente di fronte ai giudici del Lussemburgo la documentazione per dimostrare che di fatto rispetto alla condanna del 2012 nulla è cambiato, impugnando anche la circolare del Ministero dell’Economia della scorsa primavera che ha definito nel dettaglio le nuove norme,secondo i denuncianti interpretando in modo troppo estensivo la legge di Monti e tornando a favorire la Chiesa, anche permettendo a qualsiasi ente formalmente no-profit di operare di fatto sul mercato senza pagare le tasse. La stessa denuncia saràpoi inoltrata ancora una voltaalla Commissione europea oraguidata dal lussemburgheseJuncker, che come commissarioalla Concorrenza ha scelto laliberale danese Margrethe Vestager

Insomma, si va preparando un contenzioso piuttosto complicato, che andrà avanti per anni prima di vedere una conclusione. Ma all’epoca della nascita del contenzioso regnava Ratzinger in Vaticano. Oggi c’è Papa Francesco, che ha tante volte criticato gli evasori fiscali, puntato il dito contro le ingiustizie ed esortato i governanti a prendersi cura dei poveri. La storia del contenzioso fiscale con lo Stato italiano, così come quella dei preti pedofili sui quali Bergoglio non ha avuto pietà, può essere ancora una volta l’occasione per passare dalle parole ai fatti.

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