Quanto vale la manovrona di Renzi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2014-10-17

Il Documento programmatico di Bilancio del ministro dell’Economia. E un rischio iniziale: che sia troppo piccola, troppo tardi

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È finalmente tra noi il Documento Programmatico di Bilancio del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan dopo la versione nascosta pubblicata sul sito della Commissione Europea. La parte più interessante del documento è la previsione dell’impatto su breve, medio e lungo periodo delle leggi proposte e approvate dal governo. Nella parte finale dello scritto Padoan calcola gli effetti macroeconomici delle riforme della giustizia, della competitività, della pubblica amministrazione, del mercato del lavoro e alla fine calcola l’impatto complessivo dell’intera manovra sul Prodotto Interno Lordo sull’anno prossimo, sugli anni a venire fino al 2020 e nel lungo periodo. Interessante la nota metodologica, che spiega come vanno lette le tabelle, che includono:

a) uno scenario tendenziale, che include tutti i provvedimenti convertiti in legge alla data
della compilazione della Nota di Aggiornamento (Settembre 2014). Questo scenario,
considerando le successive misure introdotte e gli eventuali ritardi attuativi, rappresenta
un aggiornamento delle stime presentate ad Aprile 2014.
b) uno scenario programmatico, che incorpora sia lo scenario tendenziale sia le misure
varate dal Governo ma ancora in corso di approvazione.

Le tabelle sugli effetti macroeconomici delle riforme di Renzi

La conclusione dell’ultima tabella è questa:

Le misure considerate hanno un impatto positivo sul prodotto pari a 1,4 per cento nel 2020 nello scenario tendenziale ed a 3,4 per cento nello scenario programmatico. L’effetto è guidato principalmente dalla componente degli investimenti (nel 2020 pari a +3,2 per cento nello scenario tendenziale e a +5,6 in quello programmatico). Anche l’impatto sui consumi è degno di nota, conun effetto positivo di 1,6 per cento nel 2020 nello scenario tendenziale e del 2,9 per cento nello scenario programmatico. Nel 2020, l’accresciuta efficienza nel sistema economico è stimata produrre una variazione positiva dell’occupazione pari a 0,6 per cento nello scenario tendenziale e 1,2 per cento nello scenario programmatico.

In particolare, secondo lo scenario programmatico, il ministro dell’Economia calcola che le riforme proposte dal suo governo abbiano uno scostamento percentuale rispetto allo scenario base pari allo 0,4% nel 2015, e poi dello 0,8%, dello 1,5%, del 2%, del 2,8% e del 3,4% negli anni a venire fino al 2020 (vedi tabella), con una resa sul PIL dell’8,1% nel lungo periodo. E con questo abbiamo, dalle vive parole del governo, quanto pesa la manovra. Ma con un’incognita.
 
L’INCOGNITA DELLE TASSE 
L’incognita delle tasse che potrebbero essere alzate dagli enti locali. Il governo ha ben presente cos’è successo quando ha deciso di finanziare parte della spesa di stanziamento sugli 80 euro ampliando la tassazione sui risparmi: l’effetto è stato in parte mangiato. E ha così contribuito a un impatto quasi nullo, per ora, sulla componente dei consumi del Prodotto Interno Lordo. Adesso ballano 4 miliardi, o di tasse (come auspica persino Padoan, ironicamente), o di minori spese. Tutto questo in attesa di sapere se il totale dei risparmi nella spending review di 15 miliardi verrà davvero attuato. La manovrona di Renzi che tremare il mondo fa ha infatti un problema di fondo, come segnalava Massimo Bordignon stamattina su Lavoce:

Il rischio sta anche sulla capacità di rispondere del sistema economico, che a sua volta dipende anche dalla capacità di rendere effettivi e credibili gli interventi previsti. Se i tagli di spesa previsti non verranno raggiunti, per esempio, c’è il rischio di aumenti delle imposte in futuro, e questa aspettativa da sola può deprimere i consumi e gli investimenti di oggi. Qui, francamente, non c’è molto da star allegri. I 4 miliardi di tagli sui ministeri sanno di déjà-vu; un anno di Commissario alla spending review ha riprodotto pari-pari i soliti tagli lineari, la cui esperienza nel passato è stata fallimentare. Gli interventi su enti locali e regioni sembrano altamente casuali; per esempio, si taglia a man bassa sulle province senza avere ancora deciso a chi andranno le funzioni precedentemente svolte da queste. Si impongono 4 miliardi di tagli alle regioni, facendo finta di credere che questi possano essere ottenuti senza intervenire sulla sanità, quando ormai nel bilancio delle regioni c’è rimasto poc’altro. E con gli inasprimenti fiscali decisi su fondi pensioni e le altre rendite, si ammazza probabilmente in modo definitivo la previdenza integrativa, senza porsi granché il problema del futuro.

Insomma: tagli (o maggiori oneri) per la sanità delle Regioni, aumento della tassazione sulla previdenza integrativa, simpatico escamotage sul TFR, in attesa di sapere di che morte debbano morire i ministeri con la spending review. Ce n’è abbastanza per pensare che alla fine dall’effetto potenziale di cui sopra qualcosa si debba defalcare. Quanto? Impossibile dirlo oggi
 
…E QUELLA DELLE SPESE
Ma la manovrona di Renzi potrebbe avere altre due incognite. La prima è Bruxelles, e il fondo da tre miliardi costituito come riserva sembra approntato proprio con il pensiero all’Europa. Il secondo rischio è più sottile, e riguarda le perturbazioni dei mercati che potrebbero portare a un’altra crisi dello spread e alla possibilità di dover pagare maggiori interessi sul debito pubblico. Soldi buttati, ma che l’Italia è tenuta a garantire. Anche qui siamo nel campo delle ipotesi. Scriveva Nicolò Cavalli un paio di giorni fa su Pagina99:

Nell’aggiornamento del Def, approvata dal Consiglio dei ministri il 30 settembre, il valore dello spread viene assunto “ai livelli attuali” (quando lo spread era a 140 punti) per il 2014, sui 150 punti per il 2015 e sui 100 punti per il 2016. Valori ben più elevati di quelli registrati a fine giornata. Se questi valori dovessero stabilizzarsi, le stime del governo dovrebbero ulteriormente essere riviste o, quantomeno, si dovranno attivare le famose “clausole di salvaguardia”, che prevedono tagli lineari qualora gli obiettivi di deficit e pil del documento di finanza pubblica non dovessero essere rispettati. Nel 2015, il Tesoro dovrà rinnovare 144 miliardi di euro solo in Btp – sul quale ai tassi attuali pagherà 3,5 miliardi di euro di interessi – e altri 138 miliardi di rinnovi sono previsti per il 2016. Rispetto alle previsioni del Governo, mancano almeno 1,5 miliardi di euro solo in spese aggiuntive da Btp nei prossimi due anni. Considerando tutta la struttura del debito italiano, alcune stime di Bankitalia prevedono che una riduzione di 100 punti base impilchi un risparmio cumulato di 1,1 punti percentuali di Pil in tre anni (cioè 18 miliardi). Applicando questa metrica, uno spread a 165 implicherebbe circa 3,7 miliardi di spesa aggiuntiva per interessi. Attualmente non coperti dalla Legge di Stabilità.

E però, ipotesi per ipotesi, c’è il grosso rischio che la manovrona di Renzi finisca mangiata a poco a poco. O dall’Europa, o dalle tasse, o dalla crisi delle altre economie europee. La manovrona potrebbe essere troppo piccola e troppo tardiva già oggi. In attesa di trovare le coperture.

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