Quanto costa il programma elettorale del PD?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-02-13

Anche il PD propone un programma con meno tasse (e quindi meno entrate) e più spese. Secondo i calcoli di Repubblica il costo complessivo delle promesse del Partito Democratico è di poco inferiore ai 60 miliardi di euro. Mancano, come sempre, le indicazioni sulle coperture finanziarie

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Il Partito Democratico ha pubblicato il suo programma elettorale per un’Italia “più forte e più giusta”. Come in tutti i programmi elettorali ci sono molte promesse ma mancano le coperture. Con quali soldi il Partito Democratico intende realizzare quanto promette agli elettori? Il partito di Renzi elenca ad esempio 100 cose fatte e 100 cose da fare. Tra quelle da fare ci sono ad esempio l’estensione di “una misura universale di sostegno, a partire da 80€ al mese, per ogni figlio fino ai 18 anni” oppure la “riduzione del cuneo contributivo di 4 punti in 4 anni (dal 33% al 29%)”.

56 miliardi di euro ma non si sa quali saranno le coperture

Le voci di spesa sono molte, si va dalla Carta Universale dei Servizi dell’Infanzia (400€ al mese per i primi tre anni da spendere per asilo, servizi di cura, baby sitter) all’estensione del bonus degli 80 euro anche alle partite IVA e ai lavoratori autonomi con un reddito fino a 26.000€ lordi. I costi però non sono molto chiari. Da una parte ci sono spese vere e proprie (ad esempi la carta servizi per l’infanzia dovrebbe costare circa 1 miliardo di euro) dall’altra tagli alle tasse che comportano di conseguenza minori entrate. Tra queste figurano oltre agli 80 euro “estesi” e alla riduzione del cuneo contributivo anche la riduzione dell’imposta sul reddito delle società (IRES) la cui aliquota è attualmente al 24% e che il PD vorrebbe portare al 22%

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Tra le spese invece c’è la “misura universale di sostegno alle famiglie con figli”, il raddoppio dei fondi per il reddito di inclusione, lo stanziamento di 2 miliardi all’anno per cinque anni per l’edilizia scolastica, l’assunzione di 10mila ricercatori universitari di fascia B. Sul versante della sicurezza invece il PD propone l’assunzione di 10mila agenti delle Forze dell’Ordine tra carabinieri, poliziotti, finanzieri, agenti penitenziari e vigili del fuoco ogni anno. Il che significa 50mila nuovi assunti entro la fine della legislatura. Una cifra che mal si consiglia con le indicazioni del piano Cottarelli per la spending review che aveva individuato la necessità di razionalizzare il comparto della sicurezza facendo notare come il numero di agenti ogni 100mila abitanti fosse tra i più alti a livello europeo.

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Fonte: La Repubblica del 13/02/2018

Secondo un’analisi fatta da Roberto Perotti per Repubblica il costo complessivo del programma del Partito Democratico è di circa 56,4 miliardi di euro (pari al 3% del PIL). Di questi circa 40 miliardi di euro sono costituiti da maggiori spese mentre le minori entrate, dovute dalle agevolazioni fiscali e dai bonus assorbono quasi 17 miliardi di euro. Il ritorno ai parametri di Maastricht (punto 31 del programma delle 100 cose da fare) potrebbe costare complessivamente – ovvero nell’arco della legislatura – 18 miliardi di euro, ed è la voce di spesa più importante. Perotti spiega che il ritorno a Maastricht significa “lo scorporo dal calcolo del deficit entro il tetto del 3% del Pil di spese mirate e chiaramente identificabili” contestualmente all’emissione di Eurobond fino al 5% del PIL italiano. Gli aiuti alle famiglie invece producono un costo stimato di circa 9 miliardi di euro: nel programma “esteso”(pagina 8) del PD si legge che che consisteranno in “240 euro di detrazione Irpef mensile per i figli a carico fino a 18 anni e 80 euro per i figli fino a 26 anni”. Tra le minori entrate invece secondo Perotti a pesare maggiormente sarà la riduzione del cuneo del contributivo di un punto all’anno per quattro anni (12 miliardi di euro).

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Il tutto senza contare il costo del Reddito base di emancipazione che consiste in una detrazione (quindi meno entrate) di 150€ mensili fino a 30.000€ di reddito per agevolare chi decide di andar via di casa prima dei 30 anni. Mancano però le indicazioni delle coperture. W non è certo una novità visto che nemmeno il M5S, che pure ha provato ad elencarle, ma senza essere poi così specifico. Se poi il M5S proponeva di ridurre il rapporto deficit/PIl di 40 punti percentuali in dieci anni il PD si accontenta di passare dal 132% al 100% nello stesso lasso di tempo. Come? Grazie alla “crescita attuale” e ad una politica fiscale “moderatamente espansiva”. Ma per Perotti non basta, perché in questo modo il rapporto deficit/PIL nella migliore delle ipotesi rimarrebbe stabile.

NOTA: Ieri Matteo Renzi a Otto e 1/2 ha promesso una replica di Tommaso Nannicini su quanto scritto da Perotti. La replica non è uscita oggi per ragioni di spazio ma sarà ospitata, ci dice il prof. Nannicini, sulla sua pagina Facebook. Quando sarà pubblicata editeremo l’articolo.

EDIT: Sulla sua pagina Fb il professor Naccini pubblica il post di replica a Perotti:

I partiti sono tutti uguali. È questo il ritornello che alcuni giornali vogliono far passare. In verità, la scelta è chiara. Lo è nel merito: assistenzialismo o dignità del lavoro; tagli delle tasse ai milionari o tagli delle tasse alle famiglie con figli e alle donne che lavorano; chiamarsi fuori dall’Europa o starci da protagonisti. E lo è nel metodo: promettere la luna o cercare di migliorare il pianeta terra con proposte credibili e sostenibili. È per questo che torno su alcuni numeri apparsi ieri su Repubblica: http://bit.ly/2EoTP1l. Roberto Perotti ha riportato proprie stime sui costi di finanza pubblica del programma del Partito democratico, per un totale – secondo l’autore – di 56 miliardi. La cifra non è esorbitante rispetto alla fiera delle promesse a ruota libera che altre forze politiche stanno facendo, ma è superiore alle nostre stime, che si collocano intorno a 35 miliardi per i prossimi 5 anni. Proprio perché per noi “buona politica” significa non prendere in giro gli elettori, chiarisco le differenze nelle stime.

Partiamo dalle differenze macroscopiche. Perotti stima in 12 miliardi il costo della riduzione strutturale del cuneo contributivo sul lavoro stabile. Ma, come scriviamo nel programma, la nostra proposta di riduzione di un punto di cuneo all’anno per 4 anni riguarda i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti (post Jobs act). Il costo della fiscalizzazione di un punto di cuneo per questi contratti è intorno a 290 milioni il primo anno e raggiunge 1,8 miliardi solo dopo 10 anni.

Un’altra differenza macroscopica riguarda il tema delle regole fiscali in Europa. È a dir poco curioso prevedere costi di finanza pubblica per proposte di riforma della governance economica europea, che peraltro riguarderebbero tutti i paesi e non solo l’Italia. E l’emissione di Eurobond sotto la responsabilità di un Ministro delle finanze europeo equivarrebbe a individuare risorse sul mercato con un’emissione sovranazionale, a basso costo e presumibilmente con la tripla A, sul modello della Banca mondiale. Si creerebbe così un nuovo titolo di debito particolarmente sicuro e appetibile sul mercato. Al massimo la compartecipazione dei singoli stati riguarderebbe la spesa per interessi. Alcuni investimenti produttivi e sociali potrebbero così essere finanziati a costi più bassi liberando i bilanci nazionali. I 18 miliardi stimati per il cosiddetto “ritorno a Maastricht” semplicemente non esistono.

Ci sono poi differenze di stima più contenute sulle quali non mi dilungo, anche se – come si usa dire – è la somma che fa il totale. Per esempio, la stima di Perotti di 1,9 miliardi per gli 80 euro ai lavoratori autonomi presuppone che i destinatari di tale misura siano oltre 1,9 milioni, numero che però sembra comprendere non solo le persone fisiche ma tutti i soggetti Iva e quindi anche società ed enti, oltre a essere determinato con riferimento al volume d’affari, cosa ben diversa dal reddito. L’universo di riferimento della nostra proposta è invece costituito dalle persone fisiche titolari di partite Iva, per un onere di 1,3 miliardi di euro. Per quanto riguarda il conto personale di formazione, la dote iniziale di 150 ore è assegnata all’inizio della vita lavorativa a ogni nuova coorte, per un costo totale di 870 milioni, a differenza dei 2 miliardi stimati da Perotti.

Ma veniamo alla nostra strategia di riduzione del debito al 100% del Pil in 10 anni. Rivendichiamo con orgoglio di essere l’unico partito che ha preso un impegno preciso con gli italiani su questo. La traiettoria che proponiamo non ha bisogno di dismissioni patrimoniali, che prevediamo in misura precauzionale e di graduale supporto. E non ha neanche bisogno di scenari macroeconomici da sogno: basta mantenere un avanzo primario al 2% del Pil, a fronte della crescita reale attuale (1,5%), di un’inflazione che torni al suo livello normale (quello scritto negli obiettivi Ue non nel programma Pd) e di un costo medio del debito che rimanga stabile, obiettivo che riteniamo realistico non solo per la struttura del nostro debito (la cui durata finanziaria si è allungata) ma anche perché con un governo impegnato a proseguire un percorso di riforme strutturali il rischio Paese rimarrebbe contenuto.

L’obiettivo dell’avanzo primario al 2% ci consentirebbe anche una politica moderatamente espansiva nei prossimi anni (pari ad almeno mezzo punto di Pil), in quanto il 2% rappresenta un obiettivo “meno austero” rispetto all’attuale quadro programmatico del Documento di economia e finanza. Insomma, vogliamo continuare a mettere i conti in ordine ma con una velocità più contenuta rispetto a oneri eccessivamente stringenti che ci eravamo assunti in passato. È proprio da lì che arriva una parte delle coperture del nostro programma, continuando il “sentiero stretto” di politica economica seguito in questi anni, continuando cioè a ridurre il deficit nominale ma con una traiettoria più morbida per dare ulteriore ossigeno a famiglie e imprese.

Le restanti coperture arrivano dalla riforma dei processi di spesa nella Pa e dalla lotta all’evasione, continuando un percorso credibile di interventi già avviati e in base a una prudente proiezione di tendenze quantitative già in atto. Fatti, non parole o numeri sparati a caso come in altri programmi. Anche in virtù della nostra riforma della legge di bilancio che permette di incamerare risparmi di spesa derivanti da misure attuate in via amministrativa. Quando si fa una legge di bilancio, non servono le coperture farlocche da associare a ogni voce di spesa, buone per vendere fumo in campagna elettorale, ma una strategia complessiva di aggiustamento fiscale. Da questo punto di vista, è davvero sorprendente che nelle stime di oggi su Repubblica, rispetto al programma dei 5 stelle, si contabilizzino 20 miliardi di entrate per il cosiddetto piano Cottarelli e altri 20 miliardi per il taglio delle spese fiscali. Fantascienza allo stato puro.

PS: Commentatori indipendenti hanno fatto vedere come la nostra proposta di riforma fiscale a sostegno delle famiglie con figli avrebbe un impatto molto forte di riduzione della disuguaglianza e della povertà. I programmi si dovrebbero confrontare anche sulla base di questi indicatori, se non si vuole svilire l’indirizzo politico a mero esercizio ragionieristico.

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