Fact checking
Il processo a Paola Taverna «infame»
neXtQuotidiano 08/09/2016
La senatrice viene insultata oggi nei retroscena dei giornali mentre le sue parole vengono messe in dubbio persino sulla sua pagina Facebook. Vediamo perché
La Stampa scrive oggi che nel giro più stretto di deputati e assistenti di Di Maio la definiscono «infame». Che sia vero o no, nei confronti della povera Paola Taverna è cominciato un processo mediatico di proporzioni inaudite a causa delle mail e degli sms pubblicati da Repubblica e Messaggero di ieri che hanno inguaiato e costretto all’autocritica il responsabile enti locali del MoVimento 5 Stelle. Lei non ci sta e su Facebook minaccia querele:
Il processo a Paola Taverna «infame»
Sul Fatto Quotidiano infatti si racconta che Paola Taverna, che dopo l’addio di Roberta Lombardi è l’esponente più in vista del mini-direttorio, è ai ferri corti con i suoi referenti nazionali. È lei l’accusata (che smentisce) per quegli sms consegnati a Repubblica con cui dimostrava di aver comunicato a Di Maio delle indagini a carico dell’assessore Paola Muraro, la pistola fumante che ha costretto il vicepresidente della Camera a chinare il capo in piazza, a chiedere scusa per aver lasciato al buio i suoi colleghi.
PER CAPIRE IL CLIMA,basti pensare che la Taverna, fino all’altroieri, era considerata quella che meglio aveva interpretato il suo ruolo nel gruppo di supporto alla sindaca. Figuriamoci gli altri. “Non era quello il mini-direttorio a cui pensava Casaleggio”, ammettono ora i Cinque Stelle, “se ci fosse ancora Gianroberto, tutto questo non sarebbe successo”. L’idea del guru del Movimento, spiegano, era quella di creare una struttura che potesse dare al vincitore delle elezioni nella Capitale d’Italia un punto di riferimento per dirimere le questioni più controverse. Non pensava certo, aggiungono, a una squadra per accerchiare la sindaca, cementare correnti e aizzare beghe di rilevanza infima. Così, l’altra richiesta che si sta facendo strada ai piani alti del Movimento è quella di azzerare quel team che, è la convinzione, ha fatto più danni che altro.
D’altro canto anche nello status della Taverna c’è chi mette in dubbio la parola della senatrice:
Ma si tratta di miopia politica. La senatrice infatti ha avuto l’indubbio merito di essersi comportata in maniera specchiata nei suoi atti “istituzionali” all’interno del M5S: anche nella mail a Di Maio finita sui giornali, così come negli sms, si dimostra che la Taverna ha fatto il suo dovere, informando prontamente, senza ambiguità né giochi di parole, chi di dovere. Al contrario di altri furbetti che hanno omesso, raggirato, fregato o hanno semplicemente fatto finta di non sapere niente.
«Datevi una calmata»
D’altro canto, scrive oggi Emanuele Buzzi sul Corriere, «Che la giornata del direttorio non sia delle più semplici diventa lampante quando i cinque deputati — insieme a Paola Taverna — incontrano Grillo. Il garante, dopo alcuni contatti diretti anche con Casaleggio jr., è netto nella linea. «Ora decido io», spiega. «Datevi una calmata o rischiamo di distruggere il Movimento», continua a muso duro Grillo». Tommaso Ciriaco mostra però che la polemica sulla senatrice si sta incrociando con il destino (e gli errori) di Di Maio:
La reazione a questo ennesimo inciampo è cronaca di ieri. Beppe Grillo è costretto a catapultarsi sulla Capitale. Assieme al direttorio, incontra il vicepresidente della Camera. La distanza tra quanto accade nel chiuso del vertice e lo show serale è siderale. Davanti alla platea grillina Di Maio si scusa con i vertici del direttorio: «Non l’ho detto a Roberto, Carla, Carlo, Alessandro, l’ho sottovalutato e sono qui a dirvelo negli occhi». Ma in privato occorre un mea culpa ben più corposo per siglare la tregua interna. «Virginia mi ha fregato – dice, riferiscono – e io ho sbagliato a fidarmi». Basta poco ai suoi nemici interni per circondarlo. «Archiviato un Di Maio se ne fa un altro», ripete in privato Carla Ruocco nel pieno dello scontro. Come lei, anche il resto dei pesi massimi grillini considerano indispensabile ridimensionare il reggente. Come? L’idea appartiene ad Alessandro Di Battista, e si tratta di un vecchio pallino confidato a diversi interlocutori anche nelle scorse settimane a Montecitorio: «Chi l’ha detto che dobbiamo avere un candidato premier? La legge elettorale non ce lo impone, possiamo candidare il Movimento e decidere il capo del governo dopo aver vinto le elezioni».
Insomma, non ci sono abbastanza elementi per un processo, ma per una guerra interna sì. D’altro canto la Taverna dice il vero quando sostiene che potrebbe essere stato benissimo qualcun altro a girare la mail al Messaggero. Qualcuno non molto preparato tecnologicamente, visto che ha fatto la fotografia dello schermo di un computer invece che uno stamp.