La Polonia vince perché non ha l'euro?

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2014-09-01

La rivista Foreign Policy l’ha definita «il miglior Paese Ue dove investire», il sistema produttivo tedesco ha spostato intere fabbriche nel paese. Concorrenza sleale all’Europa?

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Dario Di Vico sul Corriere della Sera oggi scrive un commento sulla «lunga corsa della Polonia», da martire (di guerra prima e di pace poi) a campione d’Europa. La Polonia è l’unico paese del Vecchio Continente che non ha conosciuto la recessione, e il suo prodotto interno lordo è dato in crescita del 3,3 nel 2014. Per questo la rivista Foreign Policy l’ha definita «il miglior Paese Ue dove investire», Bloomberg l’ha catalogata tra i 30 Paesi più innovativi e anche nei famosi “indici di libertà economica” continua a fare passi da giganti di anno in anno. Il segreto?

La Polonia esprime il presidente del Consiglio europeo ma non fa parte dell’eurozona,in un primo tempo l’ingresso era stato calendarizzato per il 2015 ma visto che la maggioranza dell’opinione pubblica è contraria ed è necessario cambiar ela Costituzione con un voto parlamentare di due terzi la data è quantomen ballerina. Lo stesso Donald Tusk aveva parlato prima di uno spostamento al 2017 e successivamente di un ulteriore rinvio al 2019. È chiaro che le fluttuazioni dello zloty e la possibilità di svalutarlo sono un fattore competitivo decisivo al quale i governanti di Varsavia non vogliono rinunciare a cuor leggero. A controbilanciare le convenienze di carattere economico potrebbe però pesare la crisi ucraina, che consiglierebbe ai polacchi di aumentare il loro grado di integrazione europea.

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Ma secondo Di Vico non è soltanto questo il segreto: la classe dirigente polacca ha infatti avuto le capacità e il merito di uscire dalla vecchia economia pianificata di stampa sovietico rendendo concorrenziale il proprio apparato industriale, ovvero rinunciando ai cantieri e dando spazio alla componentistica:

Per fare un esempio i leggendari cantieri di Danzica, quelli che hanno visto nascere Solidarnosc, davano lavoro ai tempi di Lech Walesa a 27 mila addetti,oggi se ne contano al lavoro solo mille.Nelle miniere di carbone l’occupazione èancora alta ma nel frattempo è stata pareggiatadalle attività di offshoring e outsourcing.In sostanza il sistema produttivotedesco ha spostato in Polonia o interefabbriche o significativi segmenti dellacomponentistica. Ad attirare le aziendetedesche come Volskwagen, Man o HugoBoss, sono le paghe più basse unite peròalla forte etica del lavoro che fa parte dellatradizione degli operai polacchi.

Di Vico chiude ricordando il caso italiano: un confronto impari che ha fatto gridare in un recente passato (la vertenza Electrolux) all’esistenza di un sistema di dumping sociale dentro la Ue.

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