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Il pm ricorre contro l’assoluzione di Alex Pompa: “Non ci sono prove di una lotta con il padre”

neXtQuotidiano 05/04/2022

Alessandro Aghemo, pm di Torino che aveva chiesto 14 anni per Alex Pompa per l’omicidio del padre violente, ricorre contro la sentenza di assoluzione arrivata lo scorso novembre perché “il fatto non costituisce reato”

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Lo scorso 24 novembre era stato assolto perché “il fatto non costituisce reato”, ma il caso Alex Pompa potrebbe non essere ancora finito: il pm di Torino, Alessandro Aghemo, che per lui aveva chiesto 14 anni di carcere per l’omicidio del padre – Giuseppe Pompa – nella casa di famiglia a Collegno (Torino) con 34 coltellate dopo l’ennesimo scatto di ira di quest’ultimo. Le registrazioni degli insulti e delle minacce dell’uomo nei confronti della madre avevano avuto un ruolo chiave per i giudici, che hanno potuto appurare la pericolosità della vittima che aveva minato alla base la serenità dell’intera famiglia. Per il magistrato inquirente “Non vi è prova di una lotta” tra i due “ma solo del tentativo” del genitore di sottrarsi “all’aggressione”. E “non vi è la prova del fatto che il padre fosse riuscito ad armarsi, ma solo del fatto che fosse riuscito a impossessarsi di uno dei coltelli impugnati” dal ragazzo, “perdendone subito il possesso per l’intervento” del fratello di Alex, Loris.

Il pm ricorre contro l’assoluzione di Alex Pompa: “Non ci sono prove di una lotta con il padre”

Alessandro Aghemo è lo stesso pm che si era occupato del caso fin dall’inizio, e che all’inizio di novembre si era detto “costretto” a proporre per Alex Pompa una pena così elevata (14 anni) dopo aver invitato la stessa Corte di Assise a sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla norma che impedisce di concedere la prevalenza delle numerose attenuanti. Per lo studente si profila quindi un processo di secondo grado. Nelle motivazioni dei giudici che l’avevano assolto in primo grado si legge: “Agì per sopravvivere e si trovò di fronte ad un contesto privo di alternative che non fossero colpire o soccombere ed essere ucciso e lasciare uccidere gli altri familiari”. “Deve ritenersi – specificarono i giudici – che Alex Pompa, in quella situazione di terrore e in assenza di informazioni circa gli effetti (rapidamente mortali) della ferita appena inferta con il coltello che si spezzò, continuò a colpire perché sinceramente convinto di avere a che fare con un uomo ancora pericoloso”.

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