La spinta esaurita del renzismo

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-08-13

Il dato sul PIL va ad aggiungersi alla produzione industriale negativa e alle difficoltà di investimenti e consumi. Il premier torna all’offensiva con Bruxelles. Ma presto altri nodi verranno al pettine

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Dopo cinque trimestri consecutivi di crescita l’economia italiana resta al palo. A certificarlo è l’Istat, ufficializzando che «nel secondo trimestre del 2016 il Pil (Prodotto interno lordo) è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente».

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Il PIL dell’Italia nel secondo trimestre 2016 (Corriere della Sera, 13 agosto 2016)

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Il pil in Europa nel secondo trimestre 2016

La variazione per il 2016 è 0,6% e mancano due trimestri alla fine dell’anno: è difficile, ma non impossibile, che il governo centri l’obiettivo della crescita dell’1,2% nel 2016. L’Eurozona ha avuto una crescita dello 0,3% su base trimestrale e dell’1,6% su base annua. L’economia tedesca è crescita dello 0,4% e quella spagnola dello 0,7%. Il dato italiano riduce i margini di manovra del governo sia sul fronte della richiesta di flessibilità sui conti pubblici, sia sull’ammontare delle risorse da indirizzare su capitoli di spesa come pensioni e investimenti. Il Corriere riporta la nota del ministero dell’Economia:

Il rallentamento dell’economia era previsto ed è un fenomeno globale, i conti pubblici sono sotto controllo, la legge di bilancio 2017 concentrerà le risorse disponibili su poche misure a sostegno della stabilità. Da via XX Settembre tengono a sottolineare che alcuni fattori di rischio geopolitico come Brexit (anche se a dire il vero il voto c’è stato il 23 giugno), terrorismo e crisi dei migranti hanno avuto un impatto particolarmente negativo. Ciò non toglie, specifica la nota, che «gli investimenti lordi fissi hanno registrato una ripresa e che occorre insistere su questo fronte».
Il Tesoro, non a caso, rivendica le decisioni assunte dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) mercoledì scorso con lo sblocco di investimenti per 40 miliardi di euro. Resta che l’attuale scenario circoscrive il raggio d’azione del premier Matteo Renzi, confidente nella possibilità di varare misure di politica economica espansive e intenzionato «ad avere da Bruxelles libertà d’azione prima del referendum sulla riforma costituzionale», scrive il Financial Times.
Nei fatti il premier deve fronteggiare una «stagnazione non sorprendente in quanto i dati mensili sulla produzione sia nell’industria che nelle costruzioni avevano mostrato una flessione», come spiega Paolo Mameli, senior economist di Intesa SanPaolo, che aggiunge, «difficilmente anche l’anno prossimo la crescita si collocherà sopra l’1%».

La spinta esaurita del renzismo

Roberto Petrini su Repubblica scrive che il 2015 ha subito l’effetto positivo della Renzinomics: decontribuzioni per lavori stabili, bonus 80 euro e coda nel 2016 con l’abolizione della tassa sulla prima casa, hanno dato fiato ai consumi che, nella prima parte di quest’anno, avevano ancora un buon ritmo. Eppure la crescita non si è irrobustita. Non è casuale che nei retroscena di oggi i virgolettati pilotati del premier lavorino a individuare un colpevole: «Non saranno dei vincoli europei a mandare l’Italia per la terza volta in recessione». In realtà, spiega oggi Alberto D’Argenio, l’Europa ha già concesso all’Italia circa 6,5 miliardi di flessibilità per il 2017. Roma potrà ridurre il deficit dal 2,4% del 2016 all’1,8%, un grosso sconto sul risanamento rispetto all’1,4% previsto. Ma il premier punta a ottenere da Bruxelles il via libera per disinnescare la clausola dell’IVA e per l’operazione sulle pensioni che è tornato a promettere in vista del referendum sulle riforme.

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Il PIL dell’Italia negli ultimi trimestri (La Repubblica, 13 agosto 2016)

Se Renzi però si mette in modalità offensiva rispetto a Bruxelles è perché capisce tutte le difficoltà che nei prossimi mesi potrebbero emergere. Per il PIL ma anche per i piani licenziati dall’esecutivo come il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena: se il piano dovesse fallire si aprirebbe un’altra falla da riempire nel sistema bancario con i soldi pubblici. Aggiungere a questo la produzione industriale in clamorosa difficoltà e gli investimenti che latitano per avere una dimensione completa del problema. Il dato del terzo trimestre arriverà alla fine della campagna elettorale sul referendum e rischia di avere un effetto deflagrante. Renzi deve agire subito per rinvigorire la spinta ormai esaurita della sua politica economica. Prima che sia troppo tardi per il suo governo.

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