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Il caso Piemonte: la regione del Nord in cui il Coronavirus cresce di più
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2020-04-09
Ieri il Piemonte registrava 13.883 casi totali (+540 rispetto a martedì) e 1.378 decessi (59 nelle ultime 24ore). I ricoverati in terapia intensiva sono 423 (su circa 600 posti disponibili, il doppio rispetto all’inizio dell’epidemia ) ; solo la Lombardia ne ha di più
C’è un caso Piemonte nell’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19. La regione è stabilmente al terzo posto nella graduatoria regionale e, se la tendenza di crescita non ridimensionerà, Torino rischia di “insidiare” l’Emilia-Romagna.
Il caso Piemonte: la regione del Nord in cui il Coronavirus cresce di più
Ieri il Piemonte registrava 13.883 casi totali (+540 rispetto a martedì) e 1.378 decessi (59 nelle ultime 24ore). I ricoverati in terapia intensiva sono 423 (su circa 600 posti disponibili, il doppio rispetto all’inizio dell’epidemia ) ; solo la Lombardia ne ha di più. Numeri in discesa rispetto alle cifre degli ultimi giorni, ma, spiega oggi Stefano Caselli sul Fatto Quotidiano, ciò che fa del Piemonte un malato più grave di altri è il tasso di crescita del contagio che, seppur in discesa dal 5-6% della scorsa settimana, era ieri al 4%, il doppio della Lombardia (2,1%), meno solo di Veneto, Puglia e Sardegna. E la provincia di Torino, con 6.595 contagiati, è la quarta più colpita dopo Milano, Bergamo e Brescia.
Al di là dei numeri e delle slide, tuttavia, l’impressione è che in Piemonte –al netto dell’oggettiva gravità e imprevedibilità che avrebbero messo in difficoltà chiunque –la gestione dell’emer genza non sia stata del tutto impeccabile. Lo dimostrano alcune emergenze che fanno del Piemonte un caso talvolta estremo. Le residenze per anziani, molte delle quali hanno ricevuto ieri le visite dei carabinieri del Nas, prima di tutto: 35 morti a Grugliasco, 15 a Brusasco, 22 a Trofarello, 35 a Vercelli. E l’elenco è purtroppo destinato a continuare, al netto delle gaffe della Giunta: lunedì in commissione Sanità l’assessora Chiara Caucino aveva parlato di 1.300 positivi su 3.000 tamponi nelle Rsa, diventati poi “189 casi e 1.100 sospetti”.
La Stampa parla del caso della casa di riposo Sereni orizzonti di San Mauro. Nella Rsa dalla fine di febbraio sarebbero morti 39 anziani. Lo denunciano i lavoratori. L’azienda conferma 27 decessi, dal 1 marzo, su 116 ospiti. «La causa della morte per 12 anziani è sicuramente il Covid – precisano dalla direzione – perché erano stati sottoposti al tampone. Gli altri 15 decessi sono avvenuti probabilmente per coronavirus, ma siccome i degenti non avevano fatto il test, ci limitiamo a dire che erano fortemente sintomatici».
I tamponi, chiesti tre settimane fa, sono arrivati solo il 25 marzo. Quando ormai il «focolaio» aveva dimezzato l’organico. E quando, racconta un collega dell’uomo ricoverato, «noi vedevamo morire due persone al giorno» e lui «aveva avuto contatti con un ospite attaccato al respiratore. Abbiamo saputo il 23 marzo che quell’anziano era morto, non prima. Aveva il coronavirus». E’ impossibile risalire al primo contagiato. Ma molti sanitari confermano dopo quell’episodio «si sono ammalate 15 persone al quinto piano e dieci al terzo. Noi operatori eravamo quasi tutti infettati, il 25 marzo hanno fatto i tamponi, ma a caso. Molti di noi hanno lavorato con la febbre e non avevamo le protezioni giuste».
Il Piemonte e i 27 morti nella RSA a Torino
Non solo: Agostino Valenti, dell’associazione Alsapp, che tutela gli operatori sanitari si era accorto da tempo che la situazione stava diventando tragica.
Alla prefettura di Torino, il 23 marzo, aveva chiesto un’indagine epidemiologica e un «pronto intervento perché i decessi dei ricoverati sono schizzati da due a nove in 36 ore». spiegando, nero su bianco: «Si ritiene che sia stato generato un focolaio scaturito dalle violazioni sulle procedure per il contenimento della diffusione del Covid-19». Le stesse cose le aveva scritte, due giorni prima, alla Regione, segnalando «decessi inconsueti e inaspettati» e «lavoratori vincolati dal silenzio dal direttore per non creare panico». Il risultato? «Non è arrivata mai nessuna risposta – denuncia Valenti -ci sono stati dei controlli, ma i morti sono continuati. Chiederemo tutti i danni».
L’assessore alla Salute in un’intervista alla Stampa sottolinea oggi che la mortalità piemontese è al di sotto della media italiana ma ammette anche che sui tamponi si è persa una settimana:
Perché siete stati sfortunati?
«Perché non abbiamo avuto da subito un focolaio autoctono. Sembrava un fattore positivo ma in realtà ci ha penalizzati: mentre la Lombardia iniziava a creare zone rosse, da noi si continuavano a fare feste in discoteca e a viaggiare su e giù per Milano. Abbiamo avuto un ritardo di sette-dieci giorni: cruciali, perché il virus ha girato indisturbato».Gli ospedali piemontesi sono stati sottoposti a stress enorme, con le terapie intensive arrivate a un passo dalla saturazione. Non sarebbe stato utile fare più prevenzione aumentando ad esempio il numero di tamponi?
«Molti dei nostri malati richiedono il ricovero proprio perché principalmente anziani e pluri-patologici: in tempi record abbiamo raddoppiato i posti in terapia intensiva. Sui tamponi ci siamo sempre attenuti alle indicazioni dell’Istituto superiore di Sanità, eseguendoli solo sui sintomatici».Molti medici di base denunciano però che anche sui sintomatici i tempi di attesa per il tampone sono biblici.
«Nelle ultime settimane abbiamo implementato laboratori abilitati a eseguire i test. Forse avremmo dovuto iniziare a potenziarli fin dall’inizio, abbiamo perso una settimana. Ma stiamo facendo l’impossibile».
Intanto gli Ordini dei medici del Piemonte parlano di inefficienze gravi: dalla mancanza di mascherine, alle lacune nel monitoraggio delle Rsa, allo scarso coinvolgimento della medicina del territorio, che è invece un importante filtro per prevenire il ricovero. Pochi tamponi, attribuzione della diagnosi di morte per Covid solo ai deceduti in ospedale, presentazione dei dati come “numero degli infetti” e come “numero dei deceduti” senza tassi di mortalità, di letalità e di contagio, mancata fornitura di protezioni individuali ai medici del territorio, le gravi difficoltà a raggiungere telefonicamente il Sisp.