All’ospedale di Alzano Il Coronavirus è arrivato il 15 febbraio (ma nessuno ha fatto niente)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-04-09

I rapporti e le relazioni interne del nosocomio: dal 10 febbraio i primi casi di polmonite ma nessun allarme. L’ospedale ha consentito contatti tra le salme dei defunti e i parenti fino al 12 marzo. La sanificazione del Pronto Soccorso? A Codogno è durata tre giorni, ad Alzano appena due ore. Il risultato finale: 1895 pazienti e 479 operatori sanitari positivi

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Un rapporto della direzione dell’azienda sociosanitaria di Bergamo Est spiega cosa è successo all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo e retrodata l’inizio dell’epidemia di SARS-COV-2 e di COVID-19 al 15 febbraio a Bergamo invece che una settimana dopo a Codogno. Senza che nessuno pensasse di agire. Fino al rimpallo di responsabilità sulla mancata chiusura dell’ospedale.

All’ospedale di Alzano dal 15 febbraio il Coronavirus si è diffuso tra i reparti ma nessuno ha fatto niente

Il Corriere della Sera racconta oggi in un articolo a firma di Marco Imarisio che il rapporto è datato 3 aprile. Ne segue un altro, una «relazione temporale sulla prima fase dell’emergenza» che invece è di ieri, 8 aprile. Sono passati 47 giorni, un mese e mezzo, dal primo decesso e dall’inizio della strage in provincia di Bergamo. Ma nessuno si è accorto di nulla fino allo scoppio del focolaio nel lodigiano:

«Nel periodo compreso fra il 13 febbraio e il 22 febbraio sono giunti presso il pronto soccorso dell’ospedale di Alzano alcuni pazienti che venivano successivamente ricoverati presso il reparto di medicina generale con diagnosi di accettazione polmonite/insufficienza respiratoria acuta». Erano anziani con patologie pregresse e invalidanti che «in larga prevalenza» provenivano da Nembro e da comuni limitrofi. L’azienda ospedaliera giustifica il fatto che non siano stati sottoposti a tampone durante la degenza, perché «nessuno dei pazienti ricoverati in tale periodo presentava le condizioni previste dal ministero della Salute per la definizione di caso sospetto».

Nessuno dei pensionati di Nembro, a farla breve, aveva visitato o aveva lavorato al mercato di animali vivi di Wuhan, era stato ricoverato in ospedali con pazienti Covid-19, o era stato a contatto con casi confermati di infezione. «In data 22 febbraio, in seguito all’evidenza del focolaio nel lodigiano, veniva acquisita la consapevolezza da parte dei clinici che tale criterio epidemiologico non era più da ritenersi totalmente attendibile, sebbene ancora non modificato».

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I tamponi ad Alzano Lombardo vengono fatti soltanto il 22 febbraio; dopo la notizia del Coronavirus a Codogno la direzione sanitaria fa solo uno screening dei pazienti ma, scrive ancora il Corriere, fonti interne dell’ospedale raccontano di aver segnalato più volte casi sospetti di polmonite interstiziale a partire dal 10 febbraio. E c’è di più: l’ospedale ha consentito contatti tra le salme dei defunti e i parenti fino al 12 marzo.

 La direzione dell’ospedale riconosce che il tempo trascorso tra l’ingresso e la diagnosi è all’origine della propagazione dell’epidemia. «Dal momento del ricovero al momento del sospetto, erano trascorsi alcuni giorni in cui si suppone possa essersi verificata la diffusione del coronavirus all’interno del reparto interessato». Ma garantisce che a partire dal 23 febbraio sono state prese tutte le misure necessarie alla tutela di personale sanitario, pazienti e visitatori dell’ospedale.

Molti familiari degli anziani deceduti prima e dopo il 23 febbraio raccontano, invece, di aver avuto libero accesso alla salma del defunto e di essersi radunati intorno a lui, vegliando la bara aperta. All’inizio la direzione del Pesenti Fenaroli aveva dato disposizioni per proibire contatti tra vivi e morti. Ma dopo le proteste presso la Regione di alcuni parenti ha fatto marcia indietro. Ancora il 2 marzo«sulla scorta delle richieste pervenute dal territorio», una nota del governo regionale riteneva sufficienti «precauzioni standard». La circolare della Lombardia che vieta ogni contatto con i defunti di Covid-19 «prima e durante l’attività funebre» arriverà il 12 marzo.

Il focolaio di Alzano e il sonno della Regione che genera mostri ed epidemie

La vicenda vive un altro momento decisivo domenica 23 febbraio. Arrivano gli esiti dei tamponi e non ci sono più dubbi sull’epidemia di Coronavirus. Scatta l’allarme, si decide l’evacuazione del pronto soccorso di Alzano, che viene però subito dopo revocata.

Nella relazione si sostiene che non fosse una vera serrata. «Abbiamo provveduto a concertare i provvedimenti con i competenti uffici regionali. Mentre si valutavano le misure opportune, si contattava telefonicamente la centrale Areu e si concordava di limitare i trasporti presso il Ps di Alzano. Tale “blocco” durava circa due ore. Veniva infine collegialmente deciso, con gli Uffici regionali, di garantire l’operatività del pronto soccorso alla luce della riflessione che l’epidemia si sarebbe manifestata in misura tale da non poter consentire di rinunciare a tale punto assistenziale».

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L’ospedale di Alzano e quello di Codogno (Corriere della Sera, 9 aprile 2020)

E qui la relazione diverge rispetto alle fonti esterne: la chiusura doveva essere a tempo indeterminato, tanto che la Croce Verde di Bergamo annuncia su Facebook che il P.S. di Alzano è in isolamento e avvisa la cittadinanza di non recarsi in ospedale ma di chiamare il 112. Due ore dopo riaprono tutto e la riapertura risulta una decisione unilaterale della Regione.

Ma almeno c’è stata la sanificazione del pronto soccorso? «Le procedure sono state attuate secondo i protocolli esistenti… appare fuori luogo giudicarli inappropriati in una situazione nella quale non esistono certezze ineccepibili». La sanificazione del pronto soccorso di Codogno è stata affidata a una azienda esterna, ed è durata tre giorni. Quella dell’ospedale di Alzano, appena due ore.

Al 3 aprile, sono risultati positivi 1.895 pazienti e 479 operatori. Il disastro di Alzano è compiuto.

Leggi anche: Ma perché Salvini è nervoso se si apre un’inchiesta sugli ospedali di Bergamo?

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