Phuc Dat Bich, ovvero quanto è facile sfottere Facebook

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-11-25

Quel genio di Phuc Dat Bich ha trollato Facebook, perché il suo vero nome in realtà è Joe Carr. Anzi, no, nemmeno quello. Ma è il motivo per cui quello che è su Facebook non è necessariamente – ipso facto – vero

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Facebook è una Internet a sé, quasi del tutto senza porno, cono un controllo a volte spietato sull’identità degli utenti. Sull’Internet di Facebook tutto deve essere vero. Perché se Internet veniva un tempo contrapposta alla Real Life, al punto che si pensava di viverci una Second Life (ci andò anche l’Italia dei Valori), Facebook vuole invece essere lo specchio della realtà. Per farlo ha bisogno che gli utenti si trovino a che fare con persone reali, con identità vere. Poco importa che poi su Facebook trovino spazio tante informazioni false che non hanno alcuna attinenza con la realtà. Oppure che il social di Mark Zuckerberg sia diventato l’epicentro da dove parte la diffusione di una marea incredibile di stronzate (proprio come tanti anni fa via mail), tra le quali le catene sulle violazioni della privacy da parte di Facebook.

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Or a bich

L’annoso problema di Facebook con l’identità dei suoi utenti

Nell’ottica di preservare la veridicità del Social Network, cosa che viene fatta principalmente per fini commerciali, gli utenti con i nomi falsi (da Aldo Nove a Erminio Ottone) vengono periodicamente bannati e i loro account sospesi fino al completamento della verifica della reale identità. L’anno scorso fece parecchio rumore la lotta delle Drag Queen dell’area di San Francisco che si erano viste sospendere i profili personali perché stavano utilizzando un nome falso. Il nome da usare, recitano le linee guida del Social, deve essere “quello reale come indicato nella tua carta di credito, nella tua patente o nel tuo libretto di studi” perché è vietato “fingere di essere una persona o un oggetto diversi“. La veridicità delle informazioni fornite è IL valore principale per Facebook. Il problema per le Drag Queen era che la loro vera identità non coincideva con quanto riportato sui documenti. La domanda era: chi è più reale, chi dico di essere o cosa è scritto su un documento che lo stabilisce per me? Ma se quella delle Drag Queen è una battaglia per l’identità ci sono anche altre persone, che per motivi professionali, non possono stare su Facebook con il loro vero nome.

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Heisenberg potrebbe avere un profilo Facebook legittimo?

Certo, potrebbero farlo e usare restrizioni della privacy talmente forti da non consentire a nessuno tranne ad una selezionatissima clientela di poter leggere quello che scrivono sul loro profilo, ma come fare quando si esce dal proprio orticello e si vuole andare a commentare (o anche solo mettere un “mi piace”) sulle pagine o sui profili pubblici? La componente dell’interazione è fondamentale in un Social Network. Ma oltre a questo ci sono un sacco di altri motivi per preferire il ricorso ad un nome di fantasia, ad esempio tra le più serie motivazioni ci sono l’essere vittime di stalking o l’aver ricevuto minacce di morte.
L'infografica pubblicata da Sister Roma su Facebook
L’infografica pubblicata da Sister Roma su Facebook

Scherzi, bufale e nomi falsi che diventano veri grazie a Facebook

Poi ci sono anche motivi più banali, naturalmente. E, con il tempo, gli utenti hanno trovato una soluzione creativa a questo problema. Il servizio assistenza di Facebook chiede infatti di inviare la scansione di un documento d’identità che provi che il vostro nome utente corrisponde al nome sul documento. Facebook però, nonostante quello che si possa pensare, non ha né tempo né la voglia e soprattutto l’accesso alle banche dati nazionali per verificare che un documento sia vero. Ma per fortuna esistono numerosi software che consentono di editare e modificare le immagini. Proprio come stanno facendo molti utenti. Ed è quello che è successo a Phuc Dat Bich, un utente australiano divenuto famossissimo sull’Interwewbs a causa di un post in cui si lamentava che Facebook continuava a sospendergli il profilo non credendo che fosse il suo vero nome.

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Il passaporto modificato di Phuc Dat Bich

Per dimostrarlo Phuc Dat Bich ha postato una foto del suo passaporto, dicendo di essere estremamente indispettito dall’atteggiamento razzista di Facebook nei confronti delle persone di origine asiatica.

I find it highly irritating the fact that nobody seems to believe me when I say that my full legal name is how you see it. I’ve been accused of using a false and misleading name of which I find very offensive. Is it because I’m Asian? Is it?
Having my fb shut down multiple times and forced to change my name to my “real” name, so just to put it out there. My name.

Da allora a quanto pare il social non aveva più importunato Phuc Dat con richieste di confermare la propria identità. Oggi è venuto fuori che quel genio di Phuc Dat Bich aveva trollato Facebook, e continua a farlo quando dice che il suo “vero” nome è Joe Carr (che si legge Joker). A spiegarlo proprio lo stesso Joker/Phuc Dat in un post su Facebook pubblicato questa mattina dove spiega di aver fatto tutto questo casino proprio per far capire a Facebook che è impossibile dare legittimità ad un posto dove esistono persone che giocano con la propria identità. E dove i media abboccano a qualsiasi notizia (magari prendendosela con i genitori del povero Phuc Dat per avergli dato quel nome), in fondo chi è che si è preso la briga di verificare la vera identità di Joker/Phuc Dat? Nessuno. Ed è così che, come dicevamo all’inizio, sul social network della veridicità una notizia falsa e costruita ad arte è diventata improvvisamente vera.
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Il tutto è iniziato come uno scherzo, e forse non a caso Joker/Phuc Dat) usa il termine trickster, termine che in italiano significa imbroglione ma che rappresenta anche una figura importante in molte culture (Loki della mitologia nordica è un trickster) ma che è stato utilizzato anni fa dall’antropologa Gabriella Coleman per fornire una cornice concettuale all’interno del quale comprendere il significato dell’identità di Anonymous, una cultura che ha fatto dell’anonimato funzionale uno degli aspetti principale del suo modo di interpretare e mettere in scena la vita su Internet.

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