Fatti
Perché il nuovo regolamento M5S potrebbe morire in tribunale
Alessandro D'Amato 11/01/2017
Cinque iscritti al MoVimento 5 Stelle, assistiti dall’avvocato Borré, chiamano davanti a un giudice il Capo Politico e Garante. Con l’obiettivo di annullare Regolamento, Non Statuto e codice etico, ovvero tutti quei documenti che costituiscono l’ossatura del M5S
Bruno Bellocchio, Antonio Caracciolo da Seminara, Ernesto Leone, Alessio Marini e Ivan Pastore sono i cinque iscritti al MoVimento 5 Stelle che, assistiti dall’avvocato Lorenzo Borré, impugneranno Statuto e Regolamento davanti ad un giudice dove sarà chiamato a rispondere Beppe Grillo in qualità di rappresentante legale dell’associazione M5S. L’atto di citazione ex articolo 23 C.C. con contestuale istanza di emanazione di provvedimenti cautelari consta di 41 pagine e 12 motivi di contestazione che fanno a pezzi il nuovo Regolamento del MoVimento che nelle intenzioni degli estensori serviva a proteggere Beppe Grillo dai rischi di cause ma rischia di essere annullato, costringendo così i grillini a dover ricominciare da capo l’iter di approvazione. Senza contare il rischio nullità per le prime sanzioni comminate in forza del regolamento, ovvero quelle nei confronti degli eletti siciliani coinvolti nel caso delle firme false.
Il grande ritorno di Beppe Grillo in tribunale
Nel testo dell’atto che neXt ha potuto consultare si parte dal racconto della sospensione delle espulsioni degli attivisti di Napoli Libera e di quelli romani e dell’iter di approvazione del nuovo regolamento M5S, segnalando anche la vicenda dell’attivista Leone (detto Tinazzi, animatore del meetup 878), uno di quelli che subì un’espulsione “silenziosa” trovandosi con l’account per accedere al voto disabilitato senza alcuna spiegazione. Poi si passa ai motivi di annullabilità o nullità; il primo argomento è quello del quorum non raggiunto:
le modalità escogitate da Giuseppe Piero Grillo per procedere all’approvazione del regolamento integrativo dello Statuto (e quindi per la modifica degli artt. 5 e 8 dello Statuto denominato “Non Statuto”) non solo non hanno ottenuto l’unanimità dei consensi degli associati, ma hanno comunque violato le chiare prescrizioni dell’art. 21, 2° comma, c.c., in forza del quale per modificare lo Statuto occorre procedere con delibera assembleare, per la quale “occorrono la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti”, mentre nella fattispecie ha partecipato al voto il 67% degli iscritti (alla data del 31.12.2015).
Anche perché, spiega l’atto, la votazione on line senza possibilità di discussione preventiva e di proporre modifiche vìola l’articolo 21 C.C. che prevede la compresenza degli associati e la discussione prima del voto. Per la legge, viene ricordato nel testo, “occorrono la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti”, mentre alle votazioni sul blog per dare il via libera a nuovo regolamento e non statuto “ha partecipato il 67% degli iscritti”. Per i ricorrenti “le modalità imposte da Beppe Grillo rappresentano invece un mero simulacro di partecipazione democratica che oblitera qualsiasi possibilità di effettiva formazione della volontà interattiva degli iscritti e, in primo luogo, quella funzione di indirizzo decisionale che compete agli associati a norma dello Statuto e che rappresenta il cuore dell’idea associativa”. Ma Borré, nell’atto di impugnazione delle nuove regole, tira in ballo anche “la distorsione informativa circa le finalità di votazione”, nonché il fatto che dal voto siano stati “arbitrariamente esclusi gli associati iscritti tra il 1.1.2016 e il 25.9.2016”.
L’atto di citazione per il regolamento grillino
Quindi nell’atto si illustra la posizione dell'”associato Ernesto Leone”, che non ha mai ricevuto la mail che invitava al voto nonostante fosse a tutti gli effetti ancora un iscritto al M5S: «la mancata comunicazione, anche ad uno solo degli associati, dell’avviso di convocazione dell’assemblea (o della votazione), costituisce violazione delle norme che disciplinano il procedimento comportante l’annullabilità della delibera», spiega l’avvocato Borré nell’atto, e di certo viene un po’ da sorridere a pensare che alla fine il tribunale potrebbe annullare il voto a causa della mancata convocazione di un iscritto irregolarmente espulso. Poi l’atto segnala che la contestualità dei quesiti sottoposti a votazione non consentiva di individuare quale fosse il testo del regolamento che avrebbe dovuto integrare lo Statuto:
Orbene, un simile modo di procedere non solo non consentiva oggettivamente di verificare, data la contestualità della votazione per la scelta relativa a due diversi regolamenti, quale dei due avrebbe successivamente integrato lo Statuto al termine della votazione, ma il testo del Non Statuto con le integrazioni sopra richiamate era interattivo e rimandava al testo di un regolamento ancora diverso e cioè di quello di cui l’ordinanza collegiale del Tribunale di Napoli aveva rilevato la nullità.In sintesi, dunque, il pasticcio – ci si perdoni il termine metagiuridico – combinato nella formulazione dei quesiti e nella sottoposizione del testo della versione (modificata) del Non Statuto da approvare non consentiva e non consente di stabilire quale sia stato il testo (rectius: l’integrazione testuale) oggetto di approvazione da parte di ogni singolo votante, di talchè l’indeterminabilità dell’oggetto -e comunque dell’ubi consistam della modifica- comporta l’annullabilità della votazione (e del risultato della votazione ovvero della asserita “delibera”) e quindi delle modifiche statutarie e del Regolamento de quo.
Questa problematica era stata segnalata durante il voto in una serie di articoli di giornali, ai quali i vertici del MoVimento avevano risposto liquidando la questione come “roba da azzeccagarbugli”. Anche qui, come nel caso di Tinazzi, se alla fine della storia gli “azzeccagarbugli” avessero ragione in tribunale ciò costituirebbe un bello smacco per gli espertoni giuridici dell’ultim’ora.
Il preavviso di 24 ore
Ci sono poi le argomentazioni sulla nullità dei commi 6, 7 e 8 dell’articolo 2 del nuovo regolamento, che vìolano, secondo i ricorrenti, il principio paritario dell’”uno vale uno” attribuendo al Capo politico e al Comitato d’appello poteri decisionali superiori a quelli del singolo associato in violazione del principio di pariteticità degli iscritti. I ricorrenti contestano anche l’innalzamento del quorum al 20% degli iscritti quando la legge prevede che sia al 10%.
L’avvocato Borré segnala anche come sia nullo il secondo comma dell’articolo 3 del regolamento che prevede che l’assemblea sia convocata con 24 ore di anticipo per prendere decisioni: «una simile disposizione comprime gravemente e immotivatamente il diritto di informazione e di partecipazione informata dell’associato (il cosiddetto spatium deliberandi) e, considerate le modalità di invio della convocazione (per posta elettronica ordinaria anziché via pec, per esempio), non garantisce il diritto di effettiva informazione dell’associato né consente di verificare, prima dell’avvio delle operazioni di voto, che tutti gli aventi diritto siano stati avvisati».
Espulsioni e sanzioni disciplinari irregolari
Uno dei punti più interessanti dell’atto è però quello che riguarda le crepe del regolamento riguardo le sanzioni disciplinari che sono state già comminate ai coinvolti nel caso delle firme false di Palermo: in primo luogo, ragiona l’avvocato, è impossibile sanzionare le “cordate” o gli accordi tra gli iscritti al voto perché è impossibile definire con certezza cosa sia una cordata; in secondo luogo, la costituzione di “correnti” o gruppi di appoggio a un candidato è comunque tutelata dal principio della tutela delle minoranze delle associazioni; è scorretto, sostiene l’atto, anche immaginare sanzioni per chi vìola gli obblighi assunti all’atto di accettazione della candidatura, visto che gli eletti nelle istituzioni hanno libertà di mandato; ma soprattutto è impossibile sanzionare l’associato “sottoposto a procedimento disciplinare che rilascia dichiarazioni pubbliche relative al procedimento medesimo” perché purtroppo per Grillo & Co. in Italia vige ancora la libertà di espressione (Alberto Sordi direbbe che la libertà è una bella cosa, peccato che ce ne sia troppa)
Infine l’atto punta il dito su Collegio dei probiviri e Comitato d’Appello, ovvero i due organi che dovrebbero gestire le sanzioni disciplinari e che possono essere composte soltanto da eletti «in quanto viene attribuita una funzione giudicatrice interinale a soggetti che fanno parte di un distinto ente (il gruppo parlamentare M5S) emanazione di una distinta associazione (il Movimento 5 Stelle fondato il 12.12.2012, composto dai soli Enrico Grillo, Beppe Grillo e Enrico Maria Nadasi)».