Fact checking

Partiti spezzati

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-03-09

Minoranza PD contro Renzi, Fitto contro Berlusconi, Tosi contro Salvini: la galassia della politica italiana incontra oggi tante metafore litigiose. Con scarse probabilità di successo

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Forza Italia contro Raffaele Fitto. La Lega contro Flavio Tosi. E i tanti problemi di Matteo Renzi con la minoranza PD. Mentre il MoVimento 5 Stelle sembra aver consumato l’ultimo (per ora) strappo con l’uscita dei dieci dissidenti a gennaio, i partiti più «anziani» si trovano a fare i conti con infinite beghe interne, che ne mettono in pericolo la leadership e la composizione. Polemiche che non lasciano in pace nemmeno i “piccoli”, visto l’abbandono di Fratelli d’Italia da parte di Massimo Corsaro.
 
FLAVIO TOSI E LA LIGA CONTRO LA LEGA
Una polemica che oggi dovrebbe arrivare alla conclusione è quella di Flavio Tosi con la Lega Nord. La settimana scorsa è arrivato l’ultimatum del Carroccio, che da via Bellerio, incoronando Zaia candidato in Veneto senza attendere la ratifica della Liga Nord, ha anche obbligato a scegliere il sindaco di Verona tra la Lega e la Fondazione Faro. E lui non ha scelto, nel senso che non ha abbandonato la Fondazione e anzi, nonostante un incontro con Salvini a Milano, la Liga Veneta di cui lui è presidente ha continuato a non accettare i diktat lombardi rappresentati da Salvini. I sostenitori di Flavio Tosi intanto si attrezzano in vista di una possibile espulsione dalla Lega del sindaco di Verona. Il consigliere comunale scaligero Vittorio Di Dio della Lista Tosi ha convocato per il 17 marzo alle 21 all’Hotel Leon D’Oro di Verona l’iniziativa #siamoconTosi, chiamando a raccolta quanti non condividono l’aut aut posto al segretario della Liga da via Bellerio sulla sua appartenenza alla Fondazione ‘Ricostruiamo il Paese’, che scade oggi. «Fino all’ultimo istante speriamo che la ragione prevalga – spiega Di Dio – perchè stiamo vivendo una situazione incomprensibile oltre che inaccettabile». Una gestione tutta lombarda «che umilia Flavio Tosi e i veneti». All’evento è annunciata la presenza dello stesso sindaco di Verona. «Grideremo ancora una volta che queste cose non debbono succedere – conclude – e che bisogna stare uniti. Verona è assolutamente compatta con Tosi». Ieri intanto Massimiliano Fedriga, capogruppo alla Camera, lo dava in uscita. E lui minacciava di candidarsi come governatore proprio contro Zaia. Tutta questa storia nasce quando Matteo Salvini viene eletto segretario della Lega Nord. All’epoca, afferma Tosi, si decide che sarebbe stato il sindaco di Verona il candidato premier della Lega Nord alle prossime elezioni. D’altro canto la scadenza della legislatura e la fine del suo secondo mandato a Verona più o meno combaciano. E Tosi è stato anche il secondo più votato in Veneto alle elezioni europee del 2014, contribuendo così alla vittoria di Salvini. E all’epoca aveva anche criticato la linea politica del segretario, in particolare sull’euro. L’ambizione di Tosi è quella di raccogliere altre forze intorno alla Lega Nord, e non nasconde una simpatia per Corrado Passera e Italia Unica, oltre che una sintonia con il Nuovo Centrodestra di Alfano. Un moderatismo che non gli appartiene, a guardare la sua storia politica, così come ancor meno dovrebbe appartenergli l’antipatia per i fascisti, visto che Umberto Bossi lo accusava di portarli nella Lega fino a qualche tempo fa. Eppure adesso proprio Tosi attacca Salvini per l’apertura a Casapound.  E non è un caso che Luca Baggio, presidente della Liga Veneta, batta proprio su quel tasto per rimarcare la differenza che ha portato oggi alla nascita del gruppo consiliare Impegno Veneto: «La deriva a destra di Salvini non mi piace. Il consiglio nazionale dovrà ribadire l’autonomia delle scelte così come prevede lo statuto federale della Lega Nord e l’autonomia della Liga Veneta», ha scandito Baggio.  «Sono con Tosi in segreteria nazionale e condivido le sue posizioni, è un amico. Tanti moderati non voterebbero Lega soprattutto dopo la svolta a destra», ha aggiunto l’altro fuoriuscito leghista, Toscani, secondo cui il Carroccio di Salvini è diverso da quello a cui si iscrisse nel 1987, che “aveva valori diametralmente opposti a quelli di oggi e a quelli che abbiamo visto sabato nel corso della manifestazione a Roma. E che ci deve fare riflettere, al di là di Zaia e Tosi“.
forza italia spaccata
RAFFAELE FITTO, FORZISTA RIBELLE
Forza Italia, con le paturnie del suo leader, vede in atto ormai da tempo una sorta di balcanizzazione. Raffaele Fitto, ex governatore di Puglia e grande sconfitto (da Vendola) alle elezioni regionali, è il capo della cordata che vuole prendersi il partito e combatte contro il Cerchio Magico di Berlusconi. Oggi sul Corriere della Sera è uscita l’ennesima puntata della nouvelle vague:

Restano lontanissimi Berlusconi e Fitto. Il primo non cita nemmeno il suo sfidante, ma sembra alludere a lui quando chiede lo stop agli «egoismi e alle rendite di posizione». Il secondo, che a Bari ha organizzato per sabato prossimo una manifestazione pro Schittulli alla Fiera del Levante dove contadi portare molti più sostenitori di quelli radunati ieri, continua a lamentare nei suoi confrontia zioni ostili, minacce, commissariamenti, espulsioni, un clima «da coprifuoco» .Il rischio che si finisca con le carte bollate resta alto, anche se Toti considera «fantascienza» l’ipotesi che possa essere inibito l’uso del simbolo a FI e a Berlusconi. Ma certo il clima è tesissimo: i fedelissimi dell’ex premier contano di escludere i fittiani dalle liste e sperano che l’ex governatore presenti una sua civica in Puglia, lui giura che non si presterà al gioco e accusa il leader che si rinchiude «nel bunker».
A complicare la situazione, sono anche le divisioni interne al partito sulle riforme e quelle nel centrodestra sulle alleanze. Sul primo punto, non c’è dubbio che in FI molti siano scettici sulla linea dura che Berlusconiha ieri ribadito di voler sostenere: «Noi avevamo creduto fino in fondo al patto del Nazareno, accettando sulle riforme cambiamenti che non ci piacevano e che ci siamo resi conto servivano solo a rafforzare un’unica parte politica: il Pd ha l’arroganza e la prepotenza di chi si ritiene a torto moralmente superiore», e per questo «voteremo contro le riforme» e contro un Renzi che per Berlusconi ha violato i patti: quelli per cui sarebbe dovuta finire «la guerra civile» che divide da 20 anni il Paese. Ma i verdiniani da una parte, i moderati azzurri dall’altra (da Romani a Gelmini) vedono con timore al solco che si sta allargando con Renzi, pur sapendo che in questa fase, con la Lega che pretende da FI scelte nette di opposizione per concedere un’alleanza, e con le regionali che impongono una linea non ambigua, Berlusconi non può che confermare il suo no alle riforme. Dopo, si vedrà.

Adesso Fitto potrebbe rivolgersi all’avvocato Pellegrino – noto legale pugliese di centrosinistra – per difendersi dall’assedio azzurro. E non solo: come detto il dissidente starebbe pensando di vietare l’uso del simbolo alle Regionali. Una possibilità in un certo modo confermata dallo stesso Fitto, che ieri, parlando alla platea di Vibo Valentia, ha spiegato: «Qualora non ci fossero le condizioni per portare avanti la nostra battaglia, allora cercheremo di difenderci». E i Ricostruttori aspettano.
pd spaccato
LA MINORANZA PD DELLE MIE BRAME
Molto più difficile monitorare le mosse della minoranza del Partito Democratico che fa opposizione al segretario e presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il prossimo terreno di scontro saranno sicuramente l’Italicum e le riforme, che dopo l’addio di Berlusconi al Patto del Nazareno pare molto più scoperto. «Come hanno fatto Chiti e Tocci al Senato. Così voterò anche io alla Camera. Non darò il mio voto alla riforma costituzionale. Lo faccio in ragione di una posizione ‘di merito’ che accompagna le mie azioni dal gennaio del 2013. Lo faccio senza pensare alla questione delle correnti del Pd e ai rapporti con la segreteria, perché questa è la Costituzione», scrive sul suo blog Pippo Civati, deputato Pd, in merito al voto della Camera di domani sul ddl Boschi. «Pare che si stia riscrivendo la Costituzione non solo in aula, ma anche nelle interviste- aggiunge- quando si dice, ad esempio, che conta solo la sovranità del popolo, contrapponendola a quella del Parlamento e augurandosi un referendum plebiscitario tipo pioggia manzoniana. Ecco, la Costituzione non dice cosi’. La Costituzione non contrappone popolo e Parlamento e indica, peraltro, una maggioranza larga per la riforma costituzionale non per via di patti e contropatti e convenienze e tatticismi (da Calamandrei siamo passati a Verdini), ma per ragioni che riguardano direttamente il tema della rappresentanza e dell’ampia condivisione che, per il tramite del Parlamento, si riferiscono anche al popolo. Discutere già di referendum quando la riforma non ha ancora conosciuto la lettura condivisa del testo da parte delle due Camere, è una precisa indicazione politica, in cui non mi riconosco affatto». L’obiettivo, annunciato dall’ex segretario Bersani, è quello di far saltare l’Italicum a maggio. Il combinato disposto della riforma costituzionale e di quella elettorale è infatti considerato pericoloso dalla sinistra dem. Ma è probabile che già martedì, quando la riforma Boschi sarà in ultima lettura alla Camera, la minoranza non voterà a favore, astenendosi. Un voto simbolico, tanto per far capire al segretario premier che il dissenso di una parte del suo partito resta forte. Oggi, conferma il bersaniano Alfredo D’Attorre, «noi deputati della minoranza della commissione Affari costituzionali ci riuniamo e decidiamo come muoverci, il pacchetto riforma costituzionale più legge elettorale non sta in piedi», avverte. «Ci incontreremo e valuteremo, se Renzi non dovesse aprire una discussione ognuno in aula si assumerà la propria responsabilità, certo da parte di Renzi mi preoccuperei prima di avere tutti i voti del Pd che di cercare il soccorso di Verdini», aggiunge Davide Zoggia.  Ma il fronte non è unico né unito. Stefano Fassina è passato di recente a una psichedelica posizione contraria all’euro e a Matteo Renzi “servo” della Germania, dopo aver fatto parte o difeso governi che con l’Austerity hanno avuto molto a che fare, ben più di questo. Il tutto mentre Roberto Giachetti ne chiede l’espulsione, come se fossimo nel PCUS. Al Nazareno la situazione è disperata, ma non seria.

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