Cultura e scienze
Paolo Bernini, la foto sbagliata e la sperimentazione animale che non ha ancora capito
Giovanni Drogo 20/12/2017
L’ormai celebre deputato fa una serie di domande a Telethon con l’intento di dimostrare che la Sperimentazione Animale è inutile e dannosa. Ma l’unica cosa che dimostra è quella di non aver studiato la storia della scienza e della medicina
Paolo Bernini non è uno che si arrende facilmente. Ieri ha attaccato Telethon spiegando che è sbagliato donare i propri soldi a Fondazione che che si occupa di sostenere i ricercatori che studiano le malattie genetiche rare perché così facendo si finanzia la sperimentazione animale. Per Bernini è preferibile invece dare i propri soldi ad un’associazione della quale non si sa nulla e i cui risultati scientifici in campo medico non sono minimamente comparabili con quelli dei progetti di ricerca finanziati da Telethon.
Paolo Bernini usa una foto finta per veicolare concetti sbagliati sulla Sperimentazione Animale
Ieri sera il deputato del M5S ci ha spiegato che chi sostiene Telethon sostiene la Falsa Scienza. Un’affermazione pesante, fatta da chi per pubblicizzare la propria posizione ha utilizzato – come ha fatto notare David Puente – l’immagine tratta da un film. La scimmia “sottoposta” a crudeli pratiche di sperimentazione animale non esiste. Non è infatti la foto di una scimmia utilizzata per crudeli esperimenti ma è un fotogramma tratto da un film del 2014 dal titolo “Un piccione seduto sul ramo riflette sull’esistenza“.
Bernini si è guardato bene dallo specificarlo fino a che stamattina qualcuno glielo ha fatto notare. La risposta del parlamentare del MoVimento 5 Stelle è fantastica: «Ho preferito questa per evitare di pubblicare primati col cervello di fuori, e sangue sul volto…». Una giustificazione tardiva, perché altrimenti Bernini avrebbe potuto, per onestà intellettuale, indicare che l’immagine utilizzata è solo rappresentativa di quello che fanno agli animali da laboratorio.
Anche perché volendo ci sono dei filmati, pubblicati da Pro-Test italia che mostrano come veramente vengono tenuti i macachi da laboratorio utilizzati per gli studi sul funzionamento del cervello. C’è un problema però: in quelle immagini non si vede né il cervello di fuori né il sangue sul volto.
La vera immagine, quella che Paolo Bernini non vi vuole mostrare, è questa. Per la precisione il laboratorio in questione è quello di Behavioral Neurophysiology dell’Università di Roma “La Sapienza” diretto dal Professor Roberto Caminiti.
Le domande di Bernini a Telethon (non hanno senso)
Bernini, da animalista e vegano, è contro la sperimentazione animale. Il che non è di per sé sbagliato. In un mondo ideale tutti saremmo contro la sperimentazione animale perché avremmo a disposizione strumenti di ricerca e di valutazione ideali (e quindi perfetti). In un modo ideale possiamo anche immaginare di non aver bisogno di fare ricerca scientifica sulle malattie perché non ci sarebbero malattie. E anche se ci fossero non ci dovremmo preoccupare troppo, perché saremmo in grado di trovare cure efficaci al 100% in pochissimo tempo. Purtroppo però viviamo in una realtà diversa, quella in cui i modelli alternativi alla sperimentazione animale non sono in grado di sostituirla. Ora le cose funzionano più o meno così: se un metodo alternativo è migliore e uguale al metodo che utilizza un modello animale, lo sostituisce, altrimenti no. Il punto è che simulare la complessità di un organismo vivente è un’impresa che è ancora al di fuori della nostra portata. Senza contare che per simularlo alla perfezione bisogna prima averlo conosciuto nei più minimi dettagli, e come credete che questa conoscenza possa essere raggiunta?
Bernini dice che la “sperimentazione animale non è mai stata validata”. In realtà la non-predittività del modello animale per l’uomo è una tesi che è stata confutata parecchio tempo fa. E l’efficacia della Sperimentazione Animale è provata dai successi dell’industria farmaceutica e della medicina. La fase di studio su modello animale non è ovviamente l’unica fase dei trial clinici per l’introduzione in commercio di un farmaco. Secondo Bernini la sperimentazione animale non è affidabile perché in una fase successiva bisogna condurre uno studio sull’uomo. Anche nel caso di studi condotti utilizzando metodi di ricerca alternativi alla SA sarebbe in ogni caso necessario sperimentare sull’uomo l’efficacia del farmaco.
5) Che senso ha dire che bisogna sperimentare su più specie animali, ben sapendo che così è, ergeranno risultati in cui vi sarà tutto e il contrario di tutto e dovremo scartare tutti i farmaci, dato che risulteranno prima o poi dannosi in almeno una specie animale? (basti pensare che l’Amanita Phalloides è un fungo edibile per il coniglio, mentre per noi è letale)
A questa domanda di Bernini risponde il sito di Telethon dove spiega che la posizione di gran parte della comunità scientifica è che gli animali possano rappresentare un buon modello per studiare i meccanismi di una malattia. La scelta di un animale da laboratorio non è casuale, ma dipende dal livello di complessità di quella specie, da quanto la si conosce, da quanto sia “naturalmente” affetta dalla malattia che si sta studiando, da quanto un certo organo sia simile al suo corrispettivo umano.
Per esempio, i topi condividono con l’uomo l’85% del patrimonio genetico, mentre le funzioni dei geni sono identiche (un roditore è assai probabilmente alle origini dell’albero evolutivo che ha portato all’Homo sapiens). Si stima che i modelli animali abbiano mediamente una predittività del 70%, con variazioni che vanno dal 30% della pelle al 90% del sangue. Resta un 30% di tossicità non prevista: agli scienziati spetta il compito di rendere i test in cellule più efficaci possibile, in modo da fermare la maggior parte dei progetti a questo livello e portare avanti solo quelli che hanno altissima probabilità di essere curativi per i pazienti.
Da una parte abbiamo un modello che funziona (visto che la sperimentazione animale ha prodotto dei risultati concreti) dall’altro un modello che, per quanto sofisticato ha dei limiti. Lo dicono molti scienziati e lo spiega Telethon: «una cellula singola non è un organismo intero, così come una simulazione non può ancora essere così sofisticata da prevedere tutte le possibili variabili con cui un organismo può reagire a un trattamento».
Se guardiamo il grafico qui sopra vediamo che il principale scopo degli esperimenti che utilizzano animali è quello di studiare gli aspetti fondamentali della natura biologica degli organismi. Questo significa una cosa: che non ne sappiamo abbastanza dell’organismo per poterlo simulare. È poi vero, come dice Bernini, che a volte anche gli esperimenti condotti su volontari umani hanno avuto esiti tragici e drammatici. Uno dei casi più famosi è quello sulla sifilide condotto a Tuskegee (USA) tra il 1932 e il 1972 su una popolazione di afroamericani. L’esperimento viene citato come uno dei più gravi episodi di “cattiva scienza” perché le cavie umane erano completamente all’oscuro di fare parte di un test.
Si tratta però di casi isolati, come quello citato da Bernini. Così come è particolare la vicenda relativa alla scoperta della Penicillina. Non è vero – come scrive Bernini – che la Penicillina era letale per le cavie tant’è che Fleming ha condiviso il Premio Nobel per la scoperta della Penicillina con Florey e Chain, i quali testandola su topi hanno scoperto come la penicillina potesse essere usata per combattere le infezioni all’interno del corpo. L’insulina, un farmaco fondamentale per il trattamento delle persone affette da diabete è stato sviluppato grazie alla sperimentazione animale.
10)Dato che l’organismo del topo, abituato a bere acqua di fogna, è molto più resistente del nostro alle infezioni, perchè viene usato per studiare le infezioni umane?
16) Per rendere una sperimentazione meno ricca di variabili indipendenti si sono creati animali da laboratorio cresciuti in ambienti artificiali e controllati e addirittura utilizzando l’inbreeding (consanguineita’) per far si che i risultati della sperimentazione siano il meno variabili possibile, sostanzialmente agendo e dirigendo la sperimentazione stessa, vedasi il caso Green Hill che ha dimostrato tutto questo. Ma in che modo questi risultati possono essere attendibili e per di più traslabili ad altre specie ?
Ci sono infine due domande di Bernini che rivelano la confusione e le contraddizioni del ragionamento dell’onorevole pentastellato. Prima Bernini dice che l’organismo di un topo “abituato a bere acqua di fogna” non può essere utilizzato per fare test perché è più resistente alle infezioni. Poi si lamenta che “per rendere una sperimentazione meno ricca di variabili indipendenti si sono creati animali da laboratorio cresciuti in ambienti artificiali e controllati” addirittura ricorrendo all’accoppiamento tra consanguinei (una cosa che in natura avviene normalmente). Questo dimostra quanto poco Bernini sappia della ricerca scientifica. Davvero il deputato – pagato coi nostri soldi – ritiene che i topi da laboratorio vengano presi direttamente dalle fogne? E se lo pensa allora perché dopo scrive che i topi da laboratorio vengono allevati e cresciuti in particolari condizioni (ad esempio ambienti sterili) proprio per renderli più simili alle reazioni dell’organismo umano? Delle due l’una. Prima di parlare di ricerca scientifica bisognerebbe almeno conoscerne le basi. Poi se avanza tempo Bernini potrebbe pagare gli arretrati al suo collaboratore Lorenzo Andraghetti.