Fact checking
Panama Papers: tutti i politici difensori della patria che portano soldi all'estero
Giovanni Drogo 11/04/2016
Come mai molti esponenti di partiti che a parole difendono il proprio paese sono i primi a portare i soldi all’estero? È un caso che tutti questi nazionalisti convinti alla fine della fiera facciano di tutto per fregare il fisco di casa propria e intrattengano relazioni pericolose con società di comodo all’estero?
Chi c’è nella lista dei politici coinvolti nei Panama Papers? Stando a quanto finora di dominio pubblico nella lista dei clienti dello studio legale panamense Mossack-Fonseca ci sarebbero molti politici: dodici capi di stato, 143 politici e loro familiari. Tra questi il presidente Ucraino Petro Poroshenko, il primo ministro islandese Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, il figlio dell’ex presidente egiziano Mubarak, il re del Marocco Mohammed VI e il re Salman dell’Arabia Saudita, alcuni familiari del presidente cinese Xi Jinping, il padre del primo ministro inglese David Cameron, un amico e alcuni familiari di Vladimir Putin, alcuni fedelissimi della leader del Front National Marine Le Pen (e il padre Jean Marie) e Stavros Papastavrou, il consigliere che aiutò il premier greco Antonis Samaras guidando i negoziati con la Troika per la procedura di salvataggio del paese ellenico.
La “questione privata” di David Cameron
Se Putin e il suo entourage hanno fatto sapere che tutta l’operazione giornalistica in realtà è un complotto ordito dagli USA per screditare il presidente della Federazione Russa che in realtà non viene mai nominato direttamente diversa è la situazione di David Cameron. Il Premier britannico infatti era in possesso di 30.000 azioni del fondo offshore gestito dal padre Ian Cameron cliente di Mossack-Fonseca. Per tentare di fornire una risposta a chi lo accusa di complicità in elusione fiscale e di aver portato denaro all’estero per sottrarlo al fisco britannico Cameron ha annunciato di volere mettere a disposizione online la sua dichiarazione dei redditi per mostrare di non aver nulla da nascondere. Il padre di Cameron è morto nel 2010 ed anche se pare oramai accertato che gran parte della ricchezza di famiglia è stata costruita approfittando della finanza offshore nei paradisi fiscali il Primo Ministro ha sostenuto di aver sempre pagato le tasse. Sbandierando anche le recenti posizioni critiche nei confronti di uno dei più noti paradisi fiscali, le Isole Vergini britanniche (proprio uno dei centri dove la Mossack-Fonseca gestiva il maggior numero di società), alle quali Cameron aveva rivolto l’invito a fare pulizia in casa propria. Ironia della sorte, durante il recente accordo tra Unione Europea e Regno Unito per scongiurare la Brexit Cameron avrebbe negoziato e ottenuto un certo grado di autonomia delle istituzioni finanziare della City di Londra. A complicare la situazione per David Cameron ci sarebbe anche una “donazione” da 200 mila sterline (in due tranche da 100 mila sterline) ricevuta dalla madre nel 2011, un anno dopo la morte del padre. Secondo l’opposizione quella donazione nasconderebbe in realtà una quota dell’eredità paterna (oltre a quella da 300 mila sterline già denunciata) grazie alla quale Cameron avrebbe evitato di pagare le imposte di successione (che si pagano a partire da 325mila sterline) risparmiando così 80 mila sterline. Ma l’intreccio tra politica e conti offshore non si risolve con gli affari di famiglia di Cameron: stando a quanto riferisce il Guardian dai Panama Papers sarebbero emersi i nomi di nove politici conservatori, alcuni dei quali hanno finanziato direttamente la campagna elettorale di Cameron. Il fatto che questi personaggi politici abbiano un conto offshore non costituisce di per sé un reato ma solleva lo stesso una questione morale, anche in considerazione del fatto che nel 2012 Cameron si espresse duramente contro la finanza offshore. Emerge però oggi che Cameron non aveva alcun problema ad accettare finanziamenti (leciti, ovviamente) da quelle stesse persone delle quali stigmatizzava il comportamento. Per ringraziare Anthony Bamford di una serie di donazioni che ammontano a più di 4 milioni di sterline Cameron suggerì il nome di Bamford per un seggio alla Camera dei Lord (che Bamford in seguitò rifiutò). Ma non sono solo i Tories ad essere coinvolti, tra i finanziatori influenti il cui nome compare nella lista dei Panama Papers c’è anche Arron Banks, che donò un milione di sterline all’UKIP di Nigel Farage e che è trai più accesi sostenitori del referendum per la Brexit al grido di l’Europa ci ruba i soldi. Lui intanto i soldi li ha portati fuori dall’Inghilterra, l’avrà fatto per non farseli rubare dall’Unione Europea o dal fisco inglese?
Il migliore amico di Vladimir Putin
Il nome del presidente Russo non compare nei Panama Papers, ma secondo i giornalisti che hanno svolto le indagini sui documenti della Mossack-Fonseca ammonterebbe a quasi due miliardi di dollari il giro d’affari legato a conti intestati ad amici e familiari dello Zar Vladimir. Ma come ha fatto Putin ha portare i soldi all’estero? Secondo i giornalisti che hanno partecipato all’inchiesta e hanno ricostruito il flusso di denaro la figura chiave per capire il funzionamento del sistema adottato da Putin sarebbe il suo amico fraterno (nonché padrino della figlia maggiore di Putin) il violoncellista Sergei Roldugin. A quanto pare Roldugin, così come altri amici fidati del presidente russo, sarebbero stati in grado di guadagnare ingenti somme di denaro concludendo affari che non sarebbero stati possibili senza l’intervento diretto di Putin. In particolare Roldugin, che non dimentichiamocelo di lavoro fa il musicista, risulterebbe possedere il 12,5% di Video International (la più grande società di inserzioni pubblicitarie russa) e il 3,2% di quella che è considerata la “banca di Putin” Bank Rossiya alla cui guida c’è un altro amico personale del presidente: Yuri Kovalchuk. Il problema principale di Putin non sarebbe tanto di avere del denaro quanto di poterlo utilizzare, ed è qui che entra in gioco la Mossack Fonseca che grazie ad alcune società offshore tra cui la Russian Commercial Bank (RCB) di Cipro e la Sandalwood avrebbe trovato il modo di far rientrare in Russia i capitali prestati agli amici del presidente. Sarebbe stato attraverso la RCB che la Bank Rossiya di Kovalchuck è riuscita a concedere un prestito da un miliardo di dollari alla Sandalwood che sarebbe stata creata proprio a nome di Roldugin e sarebbe registrata alle Isole Vergini britanniche (proprio quelle nei confronti delle quali Cameron è stato molto duro qualche tempo fa) in modo tale da garantire la massima segretezza sulle transazioni e sui titolari. A quel punto tutto quello che la Sandalwood ha dovuto fare è stato prestare del denaro (quasi 12 milioni di dollari) ad una società chiamata Ozon (di proprietà di Kovalchuk) che possiede un resort dove, guarda caso, si è poi sposata la figlia di Putin. E dove Putin sembra essere a casa sua. Insomma, scrivono al Guardian, gli amici di Putin sembrano essere diventanti molto ricchi troppo facilmente, ma a spendere quei soldi sarebbe in realtà il presidente russo. Ovviamente anche Putin è, a parole, un acceso sostenitore della necessità di far fronte al sistema della finanza offshore e si è molto speso per far tornare in Russia i capitali “fuggiti” all’estero. Peccato che a quanto pare è proprio uno di coloro che i soldi all’estero ce li manda.
chi è il tuo nemico? chi ti ruba il futuro? i profughi o i miliardari evasori? #panamapapers
Posted by ACT agire, costruire, trasformare on Friday, 8 April 2016
I fedelissimi di Marine Le Pen
E arriviamo infine al Front National di Marine Le Pen, la nazionalista d’oltralpe più amata dai leghisti della Lega 2.0 che in passato era stata accusata di aver ottenuto un prestito da nove milioni di euro da Vladimir Putin (sulla cui provenienza probabilmente ora verranno sollevati parecchi dubbi. Le Monde parla di un “sistema offshore sofisticato tra Hong kong, Singapore, isole Vergini britanniche e Panama” mirato a “far uscire denaro dalla Francia attraverso società schermo e fatture false con la volontà di sfuggire al servizio antiriciclaggio francese”. Al centro della rete Frédéric Chatillon, ex leader di un gruppo studentesco di estrema destra e amico di Marine Le Pen dai tempi dell’università, all’inizio degli Anni Novanta. La sua società, Riwal, si occupa della comunicazione elettorale del Front National, in esclusiva per le campagne presidenziale e parlamentare del 2012. La Riwal era stata al centro di uno scandalo emerso pochi mesi fa. In quell’occasione il partito della Le Pen avrebbe incassato illecitamente denaro pubblico grazie a “Jeanne” una lista gestita da un gruppo di funzionari molto vicini alla leader del Front National con la complicità della società di stampa Riwal. Secondo i giudici la Riwal avrebbe gonfiato i prezzi del materiale venduto a Jeanne (che aveva il compito di gestire la campagna e la raccolta fondi del FN) per la campagna elettorale in modo da far ottenere un rimborso spese più cospicuo. Si tratta di circa 525 “kit elettorali” venduti ai candidati del Front National ad un prezzo di sedicimilacinquecento euro l’uno. I kit, il cui acquisto da parte dei candidati era obbligatorio, comprendevano manifesti, volantini, sito web ed altro materiale che i candidati avrebbero potuto distribuire per farsi pubblicità. Ma sembra che nessuno li abbia mai visti e che l’acquisto del kit non fosse altro che un modo per comprarsi una candidatura all’interno del FN. Per finanziare l’acquisto del kit la maggior parte dei candidati ha beneficiato di un prestito di 16.500 euro da parte di Jeanne, prestito concesso ad un tasso d’interesse del 6,5%, molto di più dei tassi delle banche. Per l’occasione quindi Jeanne fece anche da banca per il FN. Riwal emettendo fatture false vendeva a Jeanne ad un prezzo gonfiato i kit, a sua volta Jeanne li rivendeva a quel prezzo ai candidati come “tassa” per la candidatura nel Front National. Jeanne però non guadagnava solo sulla vendita del kit ma anche sugli interessi dei prestiti erogati ai candidati per potersi comprare i kit. E alla fine della catena arrivano i rimborsi dello Stato. La legge elettorale francese prevede infatti che i partiti che raggiungono la soglia del 5% abbiano diritto al rimborso delle spese sostenute durante la campagna elettorale. Crochet ha stilato il programma economico di Le Pen per le presidenziali 2012. Chatillon, insieme a Crochet, nel 2012 avrebbe realizzato un giro di fatture false e società offshore per far uscire dalla Francia 316mila euro di proprietà di Riwal e reinvestirli nella società di un amico con sede a Singapore, scrive Le Monde. Spiega il quotidiano che è stata utilizzata una società di comodo, chiamata Time Dragon, domiciliata nelle Isole Vergini britannica. Time Dragon è controllata al 100% da Harson Asia Limited, con sede nelle Isole Vergine: questa società eseguirà l’investimento finale insieme a un uomo di Singapore. Nicolas Hook, l’uomo che ha scritto il programma economico di Marine Le Pen nel 2012, nel suo ruolo di commercialista ha utilizzato una serie di società offshore di proprietà del fratello per trasferire i fondi dalla Francia verso l’Asia, attraverso una falsa fattura. Sentito da Le Monde , Frédéric Chatillon sostiene che “nell’autunno 2012, gli azionisti di unanime ed io abbiamo deciso di investire in Asia, perché l’Asia offre interessanti prospettive di redditività. Abbiamo anche cercato di sfuggire alla solita pressione dei media in Francia”: secondo il commercialista il denaro non ha alcun legame con i servizi forniti durante le campagne del 2012. Anche Jean-Marie Le Pen è direttamente coinvolto nello scandalo finanziario di Panama Papers. Secondo Le Monde, una parte della ricchezza nota come “il tesoro” del fondatore del Front National è stata dissimulata attraverso la società offshore Balerton Marketing Limited, creata nei Caraibi nel 2000. Banconote, lingotti, monete d’oro, ci sarebbe di tutto nel “tesoro”, intestato al prestanome Gerald Gerin, ex maggiordomo di Jean-Marie e della moglie Jany Le Pen. E tra i cinque grandi gruppi bancari che hanno creato il maggior numero di società offshore usando lo studio legale panamense Mossack Fonseca come intermediario c’è anche la francese Societé Generale, che ne ha 979, in gran parte create dalla sua filiale lussemburghese SG Bank and Trust Luxembourg. Con questa cifra, precisa il giornale, SocGen è al quarto posto per numero di società offshore, dietro la britannica Hsbc (2.300) e le svizzere Credit Suisse (1.105) e Ubs (1.100). È un caso che tutti questi nazionalisti convinti alla fine della fiera facciano di tutto per fregare il fisco di casa propria e intrattengano relazioni pericolose con società di comodo all’estero?