L’omicidio di Mario Cerciello Rega e lo spacciatore che era un confidente dei carabinieri

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-06-20

Fin dall’inizio però la storia ebbe contorni poco chiari. Dalla curiosa accusa nei confronti di “cittadini africani” che trapelò nelle ore successive alla morte di Cerciello fino al mistero dei due carabinieri che erano andati all’appuntamento senza armi fino alle smentite del comando di Roma su questioni rivelatesi poi vere. Ora si aggiunge un altro tassello

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Vi ricordate dell’omicidio di Mario Cerciello Rega? La mattina del 26 luglio 2019 il vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello  Rega venne trafitto con 11 coltellate dopo essere stato aggredito da due studenti americani, Lee Finnegan Elder e Gabriel Natale-Hjorth, in vacanza a Roma.  I due vennero arrestati in albergo poche ore dopo. Secondo le ricostruzioni Elder accoltellò Cerciello, Hjorth lo aiutò a nascondere l’arma. Fin dall’inizio però la storia ebbe contorni poco chiari. Dalla curiosa accusa nei confronti di “cittadini africani” che trapelò nelle ore successive alla morte di Cerciello fino al mistero dei due carabinieri che erano andati all’appuntamento senza armi fino alle smentite del comando di Roma su questioni rivelatesi poi vere.

L’omicidio di Mario Cerciello Rega e lo spacciatore che era un confidente dei carabinieri

Oggi un nuovo tassello si aggiunge alla vera storia di quell’omicidio mentre i riflettori si sono spenti sulla vicenda. Subito dopo la morte di Mario Cerciello Rega il comandante generale dei Carabinieri Giovanni Nistri invitò pubblicamente a non infliggere alla memoria di quel carabiniere una «dodicesima coltellata» con «inutili polemiche». In realtà non si contano più ormai le bugie dei carabinieri sul video di Gabriel Christian Natale Hjorth e sulla vera dinamica dell’accaduto. Oggi Fiorenza Sarzanini, una delle pochissime giornaliste che hanno seguito fino in fondo la vicenda, ce ne racconta un’altra. Quella che riguarda Italo Pompei, lo spacciatore che negò da subito di essere un confidente dei carabinieri. Ebbene, un verbale oggi dice l’esatto contrario:

Tutto comincia durante l’udienza del 29 aprile quando viene interrogato il colonnello Lorenzo D’Aloia, comandante del nucleo investigativo di Roma che ha coordinato l’indagine. I difensori di Elder, Renato Borzone e Roberto Capra, gli chiedono conto degli oltre 2.000 contatti telefonici tra Pompei e uno dei militari che avevano contatti con lo stesso Cerciello e con il suo collega Andrea Varriale. E lui conferma, ma spiega anche che si tratta dell’appuntato Fabrizio Pacella, sentito come testimone il 17 settembre 2019.

«Il verbale —spiega D’Aloia— è stato trasmesso ai pubblici ministeri». In realtà non risulta tra gli atti. E per questo viene presentata un’istanza — alla quale si associano i legali di Natale Hjorth Francesco Petrelli e Fabio Alonzi. Ieri mattina il documento viene consegnato alle difese. «Facevamo arresti» Pacella racconta: «Conosco Pompei da quando sono arrivato alla stazione Trastevere. Ritengo di averlo conosciuto durante l’espletamento del servizio di “carabiniere di quartiere”.

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La ricostruzione dell’omicidio di Mario Rega Cerciello (IL Messaggero, 27 luglio 2019)

Con Pompei ho instaurato una sorta di collaborazione che ha permesso al mio comando di effettuare alcuni arresti e denunce per spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti. Ho sempre incontrato Pompei per lo più da solo. I nostri incontri li abbiamo tenuti sempre riservati per evitare che qualche pregiudicato ci notasse insieme. Per darmi notizie mi contattava telefonicamente, per lo più tramite sms. Mi scriveva di incontrarci in luoghi poco frequentati che potevano garantire la riservatezza delle nostre conversazioni».

Pacella spiega poi che anche il giorno dell’omicidio di Cerciello ci furono contatti. E chiarisce che l’operazione per effettuare un arresto avvenne in piazza Mastai, cioè il luogo dove i due americani erano andati per comprare droga e dove gli erano state invece consegnate aspirine. Era stato il mediatore Sergio Brugiatelli a portarli da Pompei e loro gli avevano rubato il borsello dopo aver scoperto di essere stati truffati.

Tutte le bugie dei carabinieri sull’omicidio di Cerciello Rega

Cerciello e Varriale hanno quindi portato Brugiatelli a recuperare il borsello che gli era stato rubato dai due ragazzi statunitensi proprio per fare un favore al confidente Pompei. Erano in bermuda e maglietta, disarmati, eppure andarono all’appuntamento con gli americani forse per riprendere anche il telefono temendo che potesse svelare i contatti con il confidente. Carlo Bonini su Repubblica il 20 febbraio scorso raccontò la persistenza di una cultura dell’omertà che continua ad abitare la pancia dell’Arma e che, come un riflesso pavloviano, considera intollerabile, pur di fronte alle evidenze di un abuso, che sono sempre personali evidentemente, anche solo l’idea di sottoporsi con lealtà e trasparenza al giudizio dell’opinione pubblica prima, di un giudice poi. Il video di quell’interrogatorio dice infatti qualcosa di più e, per certi versi, di peggio di quanto già noto.

Primo: che il 28 luglio l’Arma mentì sostenendo che il giovane americano fosse stato bendato e ammanettato a una sedia per «non più di 4, 5 minuti» soltanto «per non fargli vedere quanto lo circondava nell’ufficio» e per «impedirgli gesti di autolesionismo» . Secondo: che — come documenta la ricostruzione del nostro Daniele Autieri — quel video fu girato dal carabiniere Andrea Varriale, l’ultimo che avrebbe dovuto trovarsi in quella stanza. Per una semplice ragione: era stato la vittima dell’aggressione di quel ragazzo bendato e ammanettato durante la quale era stato accoltellato a morte il suo commilitone e amico Mario Cerciello Rega.

Ebbene, oggi sappiamo che il carabiniere Varriale mentì su almeno due circostanze non esattamente laterali:

Mentì, sapendo di farlo, sulla nazionalità degli aggressori, che sapeva bianchi caucasici e non maghrebini, come disse nell’immediatezza del fatto. E mentì negando di essere disarmato, per giunta coperto nella menzogna dal suo comandante di stazione (per questo oggi indagato). Oggi sappiamo anche che Natale Hjorth fu bendato e ammanettato non per essere protetto, ma umiliato. E che allo spettacolo assistettero passivi (o complici?) otto militari di cui, inspiegabilmente, per altro, solo due risultano però indagati.

Ecco quindi, a distanza di qualche tempo, grazie al giornalismo (e a chi ha evitato di raccontare balle imboccato) abbiamo di fronte questo spettacolo di inadeguatezza. Per il quale, come sempre, non pagherà nessuno.

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