Come funziona il nuovo contratto di lavoro di Renzi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2014-09-18

…e i suoi effetti sull’occupazione, con il paese in crisi e ancora in recessione, ultimo tra i grandi del G7. Mentre le coperture non ci sono e la flexsecurity sembra un miraggio

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Il governo Renzi vara la sua rivoluzione del mercato del lavoro. Gli emendamenti presentati ieri al disegno di legge delega che impegnerà l’esecutivo dopo il voto del Parlamento vanno chiaramente in una direzione. La modifica apre la strada al superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: i nuovi assunti avranno contratti a tutele crescenti in base all’anzianità di servizio. Un neo-assunto, come un disoccupato che trova un nuovo impiego, non avrà da subito le stesse tutele garantite dai contratti stabili, ma le otterrà in totale dopo tre anni. In caso di interruzione del rapporto, invece, avrà un indennizzo più alto tanto più alta sarà la durata del contratto. Nell’emendamento presentato ieri sono previste due ulteriori novità: una revisione del divieto delle tecniche di controllo a distanza (sorveglianza e telelavoro),e la possibilità del demansionamento del lavoratore in caso di necessità dell’azienda. Una tabella riassuntiva del nuovo contratto di lavoro di Renzi in queste infografiche del Corriere della Sera:


IL CONTRATTO DI LAVORO DI MATTEO RENZI
Roberto Mania su Repubblica spiega però che l’articolo 18 non è il cuore della riforma del nuovo contratto di lavoro, che si concentra invece su un modello che abbandoni la cultura del risarcimento per abbracciare la ricerca attiva del lavoro e i sussidi al lavoratore:

Il governo pensa di fare come inGermania e negli altri paesi nordeuropei. Prima della riforma Hartz, nel 2005, il numero dei disoccupati aveva superato i cinque milioni di individui. Non era mai successo nella Repubblica federale. Oggi i tedeschi senza lavoro sonopoco meno di tre milioni, con untasso di disoccupazione intorno al 6,7 per cento. Al di là delle polemiche sui contrastati mini-jobs da 450 euro mensili, vuol dire comunque che il mercato del lavoro si è messo da allora in movimento.L’Italia ha un tasso di disoccupazionequasi doppio, il 12,6 per cento,e anche un numero complessivodi persone senza lavoro che superai sei milioni, tra disoccupatiin senso stretto e i cosiddetti scoraggiatiche non cercano più l’occupazione.La svolta in Germaniaè stata rappresentata dalla costituzione dell’Agenzia federale dell’impiegoche si è presa in carico idisoccupati per orientarli, riqualificarli,riposizionarli nel mercato del lavoro.

Per questo sarà costituita l’Agenzia Nazionale per l’Impiego:

È quel che punta a realizzare il governo italiano prevedendo,appunto la formazione dell’Agenzia nazionale per l’impiego,dalla quale dovrebbero dipenderele politiche attive per il lavoro,compresa la gestione e l’erogazionedel sussidio unico di disoccupazione.Chi perderà il lavoro avrà diritto a un sussidio universale(non più collegato al proprio settore economico di appartenenza),proporzionato all’ultima retribuzionee all’anzianità. Un passo per rendere omogeneo il mercatodel lavoro e tutelare i lavoratorinon il rispettivo posto di lavoro.

Rimane però il problema principale: quello dei costi. Una riforma del genere prevede lo stanziamento di fondi importanti per il sostegno del lavoratore, che secondo le intenzioni andrebbero a sostituire la cassa integrazione (non quella ordinaria). il governo Renzi prevede un aumento della partecipazione da parte di chi utilizza gli ammortizzatori: questo significa un aumento di fiscalità generale. Nessuno lo accetterebbe.
 
DOVE SONO I SOLDI?
Insomma, il problema dei soldi c’è e il governo non sembra averlo ancora affrontato, in attesa della legge delega che tremare il mondo farà. Tonia Mastrobuoni sulla Stampa fa due conti sulla flexsecurity:

E qui si pone il primo, serio problema di un confronto italiano con l’esempio scandinavo: è un sistema costosissimo.In Danimarca il sussidio di disoccupazione è universale: bisogna sottoscrivere unfondo, la A-Kasse, gestito dai sindacati e finanziato in parte dai lavoratori stessi (il contributo ammonta a circa 500 euro) ma garantito nella gran parte dallo Stato. Il risultato è che copre l’80% dei lavoratori;e in ogni caso, anche chi non ha sottoscritto l’assicurazione,ha diritto ad un’indennità sociale comunale. Anni fa gli economisti de Lavoce.info fecero una stima sul costo di un’indennità di disoccupazione universale inItalia: circa 12-13 miliardi all’anno.E chissà ora, con i tassidi disoccupazione alle stelle,soprattutto tra i giovani.

Poi c’è la questione dei centri per l’impiego per il nuovo contratto di lavoro:

La Danimarca spende circa un punto e mezzo di Pil per fare in modo che i disoccupati trovino un nuovo lavoro nel minor tempo possibile. Il collocamentoè affidato ai jobcenter comunali, ma a favorirel’incontro tra domanda eofferta concorrono anche accorditra questi modernissimi centri di reimpiego e sindacati,imprese, istituti di ricerca,scuole o onlus.

Le differenze tra Italia e Danimarca sono incolmabili: 3,6 per cento del Pil in spesa per il lavoro della Danimarca, 1,9 per l’Italia; 0,4% del Pil in formazione per la Danimarca, 0,1% per l’Italia. Dove sono i soldi della riforma di Renzi?
 
IL PROBLEMA DELLA FLEXSECURITY
Come scrivevamo ieri, poi, riguardo la flexsecurity  c’è un problema di fondo piuttosto importante che non sembra essere stato finora evidenziato. Nelle attuali condizioni dell’economia italiana la Flexsecurity darebbe libertà, sì, ma soltanto in un verso: quello dell’espulsione dei lavoratori dal mercato del lavoro, con conseguente messa a carico da parte dello Stato. Il maggiore problema sembra essere quello evidenziato da Krugman nel suo famoso “Paradosso della Flessibilità”:

Fare in modo che i salari cadano più facilmente, come chiedeva Hazlitt allora e come chiedono i suoi accoliti oggi, non solo redistribuisce il reddito dai lavoratori ai ricchi (e questo non è strano ); effettivamente peggiora l’economia nel suo complesso. Una cosa che Noah Smith ha detto giusta, per inciso, è la sua intuizione che i salari giapponesi siano più vischiosi di quelli degli altri paesi avanzati. Ci sono un bel po’ di prove a questo fine, soprattutto il fatto che il Giappone sia quasi l’unico ad essere finito nella deflazione. Il punto, tuttavia, è che questa non è una buon cosa in un paese che si trova in una trappola di liquidità e soffre di eccesso di debito: quando quel paese giunge alla flessibilità dei salari e dei prezzi, la situazione dell’economia non si è necessariamente sviluppata a vantaggio del Giappone. (traduzione qui)

Insomma, il calo della domanda in azione oggi nell’economia a causa dello choc da debito e della crisi porta alla flessibilità del lavoro in uscita aumentando la disoccupazione; i disoccupati riducono i consumi (anche con il sussidio, perché questo ha un limite e conviene essere formiche che cicale quando si è senza lavoro), e questo porta a un ulteriore calo della domanda. Dopo la trappola della liquidità ci toccherà anche la trappola della flessibilità?
 
…E QUELLO DELL’ARTICOLO 18
Come abbiamo peraltro già ricordato, le evidenze empiriche disponibili non sono tuttavia in grado di evidenziare l’emergere di un “effetto soglia”, ovvero di una discontinuità nella distribuzione delle imprese per dimensione di addetti intorno alla soglia dei 15 dipendenti, discriminante secondo il dettato dell’articolo 18.


Di questo dà ampia illustrazione un articolo di Giuseppe Marotta (Università di Modena e Reggio Emilia) che, presentando elaborazioni da dati Istat, mostra l’inequivocabile assenza di tale effetto a diversi livelli di disaggregazione dei dati: «Anche a un livello di indagine più fine – si veda il dettaglio per le imprese tra 10 e 20 dipendenti — sottolinea Marotta — secondo l’Istat si possono al massimo individuare ‘turbolenze’, in ogni caso non significative statisticamente, intorno alla soglia di 14-16 dipendenti. ‘Turbolenze’ analoghe inoltre si trovano in corrispondenza ai 21 e ai 31 dipendenti, valori questi che nulla hanno a che vedere con l’art. 18».

Leggi sull’argomento: Flexsecurity: l’idea di Renzi per i lavoratori di serie B

 

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