Catia Bastioli, Novamont e i sacchetti ortofrutta a pagamento

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-01-02

I sacchetti biodegradabili e compostabili per il primo imballo alimentare, introdotti con la legge 123/2017 fanno il loro esordio tra le polemiche

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Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, è finita nella bufera nei giorni scorsi a causa di un articolo sul Giornale in cui si parla dell’obbligo di acquisto per i sacchetti dei supermercati. Nell’articolo si legge che l’azienda detiene l’80% del mercato dei sacchetti biodegradabili ed è nota per aver inventato i sacchetti di MaterBi, il materiale biodegradabile a base di mais.

I sacchetti ortofrutta a pagamento

L’obbligo nasce da una direttiva europea in cui si impone il divieto di usare i sacchetti ultraleggeri di plastica, quelli che servono a pesare la frutta o a incartare formaggi e salumi: si potranno usare solo quelli biodegradabili che però i supermercati non possono regalare ai clienti: vanno fatti pagare, una spesa minima che va da uno a tre centesimi. È vietato però riciclare i sacchetti e portare buste da casa.
sacchetti ortofrutta biodegradabili spesa 1
L’attenzione nei confronti di Catia Bastioli e della Novamont è determinata dal fatto che lei ha partecipato come oratore alla seconda edizione della Leopolda e nel 2014 è stata nominata presidente di Terna, colosso che gestisce le reti dell’energia elettrica del Paese. Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente, a Repubblica nega che la norma avvantaggi solo quella ditta produttrice di buste: “Quella del monopolio è un’accusa senza fondamento, le bioplastiche le fanno le maggiori aziende al mondo e anche la difficoltà di approvigionamento è pretestuosa”. La Novamont è solo una delle ditte italiane che producono bioplastiche, anche se è vero che è un importante player italiano. I soci iscritti a Assobioplastiche sono 3 italiani e 4 internazionali, tra cui il colosso tedesco Basf.

Le teorie del complotto sui sacchetti bio 

La questione ha scoperchiato una serie di teorie del complotto che vanno dal rifiuto o dall’annuncio di boicottaggio alla grande distribuzione per privilegiare il tipico negozietto sotto casa…
sacchetti ortofrutta
…fino alla proposta di tattiche alternative per evitare il balzello:

Il costo dei sacchetti nei supermercati

L’Osservatorio di Assobioplastiche ha svolto una prima ricognizione di mercato (grande distribuzione) relativamente al prezzo dei sacchetti biodegradabili e compostabili per il primo imballo alimentare di cui alla legge 123/2017 entrata in vigore ieri, 1 gennaio 2017.
– Rilevazione diretta a cura dell’Osservatorio:
AUCHAN: 0,02 euro;
CONAD: 0,02;
COOP LOMBARDIA: 0,02;
COOP TOSCANA: 0,01;
ESSELUNGA: 0,01;
EUROSPAR: 0,02;
GRUPPO GROS: 0,02;
IPER: 0,02;
LIDL: 0,03;
UNES: 0,01.
– Rilevazione via web/altre fonti: COOP ITALIA: 0,02 euro; PAM: 0,03; SIMPLY: 0,03.

L’Osservatorio stima che il consumo di sacchi ortofrutta e sacchi per secondo imballo carne/pesce/gastronomia/panetteria si aggiri complessivamente tra i 9 e i 10 miliardi di unita’, per un consumo medio di ogni cittadino di 150 sacchi/anno. Ipotizzando che il consumo rimanga su queste cifre, al momento – con i prezzi appena rilevati – la spesa massima annuale sarebbe attestata a 4,5 euro/anno per consumatore. Secondo i dati dell’analisi Gfk-Eurisko presentati a Marca 2017 le famiglie italiane effettuano in media 139 spese anno nella Gdo. Ipotizzando che ogni spesa comporti l’utilizzo di tre sacchetti per frutta/verdura, il consumo annuo per famiglia dovrebbe attestarsi a 417 sacchetti per un costo compreso tra euro 4,17 ed euro 12,51 (considerando un minimo rilevato di 0,01 euro e un massimo di 0,03 euro). “Queste prime indicazioni di prezzo ci confortano molto- spiega Marco Versari, presidente di Assobioplastiche- perché testimoniano l’assenza di speculazioni o manovre ai danni del consumatore. Non solo. I sacchetti sono utilizzabili per la raccolta della frazione organica dei rifiuti e quindi almeno la metà del costo sostenuto può essere detratto dalla spesa complessiva”. Assobioplastiche si associa a quanto già da tempo sostenuto da Legambiente relativamente ai sacchi di carta che sono fuori dal perimetro di questa legge e quindi distribuibili gratuitamente.

Cosa prevede la legge e cosa può fare il consumatore?

A prescriverlo è l’articolo 9-bis della legge di conversione n. 123 del 3 agosto 2017 (il Decreto Legge Mezzogiorno) che stabilisce che «le borse di plastica non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite». Per i trasgressori, ovvero per gli esercizi commerciali che non applicheranno la nuova norma, sono previste multe che vanno da 2.500 a 25.000 euro. Ma le sanzioni possono arrivare anche fino a 100.000 euro in caso di “ingenti quantitativi” di buste fuorilegge. Le nuove disposizioni di legge vanno a recepire la direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento europeo che a sua volta aveva modificato la direttiva 94/62/CE.

buste spesa frutta e verdura gennaio 2018 - 1
Fonte: Repubblica del 22/11/2017

È chiaro che il fatto che le buste non possano essere distribuite gratuitamente ha lo scopo di scoraggiare l’utilizzo di buste “usa e getta”. Per le normali buste della spesa il meccanismo ha funzionato, e infatti molti consumatori ora vanno a fare la spesa portandosi i sacchetti della spesa (in tela o in materiali riciclati) direttamente da casa. Il problema è che sostituire i sacchettini leggeri dell’ortofrutta (ma anche quelli del banco del pesce) con buste non usa è getta è più complicato. Anche perché il Ministero dell’Ambiente ha già fatto sapere che “per motivi d’igiene” non si potranno portare le buste da casa. Le nuove buste quindi saranno quindi monouso come quelle che vanno a sostituire. Del resto utilizzare una busta di tela per pesare la frutta e la verdura comporterebbe anche diversi problemi per quanto riguarda la taratura delle bilance. Un conto infatti è calcolare la tara sul peso standardizzato dei sacchettini un altro è cercare di contemplare tutte le possibili opzioni alternative e fai da te dei consumatori. Nell’immediato quindi non sembrano esserci soluzioni: l’ipotesi di mettere un addetto a pesare la frutta (o di pesarla alla cassa come avviene in certi piccoli negozi) è difficilmente praticabile per la grande distribuzione. E sono ancora pochissimi i punti vendita “senza imballaggi”, ovvero che vendono merce sfusa e hanno eliminato completamente ogni forma di imballaggio.

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