Mo Farah: il campione olimpionico che svela di essere arrivato illegalmente in UK da bambino per lavorare

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2022-07-12

Sfruttato, allontanato dalla famiglia, lasciato solo e senza istruzione. Mo Farah svela come è arrivato nel paese che lo ha fatto “Sir” per meriti sportivi

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Se la storia l’avessero scritta per un film o una serie tv probabilmente qualcuno l’avrebbe trovata troppo fantasiosa. E invece è tutto vero, come ha svelato lo stesso Mo Farah. Lui, campione olimpico nei 5mila e nei 10mila metri alle Olimpiadi di Londra 2012 e Rio de Janeiro 2016, proprio lui che è stato per sei volte campione del mondo, sempre lui che detiene il record mondiale dell’ora e del record europeo dei 10mila piani, non è Mo Farah.

Mo Farah: il campione olimpionico che svela di essere arrivato illegalmente in UK da bambino per lavorare

Il suo vero nome è Hussein Abdi Kahin ed è arrivato in UK, il paese che per i suoi meriti sportivi gli ha conferito il titolo di “Sir”, da bambino. Non per andare a scuola ma per lavorare come domestico. Tutto in modo assolutamente illegale. Mo Farah, racconta il mezzofondista alla BBC, è il nome con cui ha vinto tutto il possibile ma è un nome che gli è stato dato da chi lo ha fatto entrare nel paese da Gibuti. A soli nove anni è stato portato nel Regno Unito con un volo da una donna che non conosceva. E lui, bambino, è stato costretto a prendersi cura di altre persone, di un’altra famiglia, come domestico. La verità arriva ora, ma fino a questo momento la versione del campione è stata quella di essere arrivato con la famiglia dalla Somalia insieme ai genitori come rifugiati. Invece la mamma e i fratelli di Mo Farah si trovano ancora in Africa, mentre il padre è morto durante la guerra civile in Somalia dopo essere stato colpito da proiettili vaganti. Da quando è stato portato via da casa per stare con la famiglia nel Gibuti poi non è passato molto tempo prima che gli annunciassero che sarebbe andato in Inghilterra per stare da parenti. Ma la verità era un’altra.

Aveva con sé documenti di viaggio falsi che mostravano la sua foto accanto al nome “Mohamed Farah”. Tutto quello che era prima sarebbe stato presto cancellato. Infatti appena arrivati la donna ha strappato, letteralmente, quello che lo legava al suo passato e alla sua storia: i contatti con i suoi parenti; poi è stato minacciato: “Se mai vuoi rivedere la tua famiglia, non dire niente”. Così ha dovuto lavorare per vivere, da solo: “Spesso mi chiudevo in bagno e piangevo”, dice. A 12 anni finalmente riesce ad andare a scuola, al Feltham Community College. E lì avviene la svolta. Sebbene venga descritto come un bambino “trascurato”, che parlava pochissimo inglese ed era un bambino “emotivamente e culturalmente alienato”, viene scoperto dall’insegnante di educazione fisica, Alan Watkinson, che lo nota quando lo vede correre in pista: “L’unica lingua che sembrava capire era la lingua dell’educazione fisica e dello sport”.

Uno sfogo per allontanarsi da una realtà che nessun bambino dovrebbe vivere. Lui coglie l’occasione. L’insegnante di educazione fisica contatta i servizi sociali e lo aiuta ad essere affidato a un’altra famiglia somala. “Da quel momento tutto è migliorato. Mi sentivo come se molte cose mi fossero state tolte dalle spalle. È allora che è uscito fuori Mo, il vero Mo”. A 14 anni viene invitato a gareggiare per le scuole inglesi in una gara in Lettonia, ma non ha alcun documento di viaggio. Il signor Watkinson lo aiuta a richiedere la cittadinanza britannica con il nome di Mohamed Farah. Gli viene concessa nel luglio del 2000. Ma se il suo nome è falso, lo è anche la sua cittadinanza? Formalmente sì. Ma chi avrà mai il coraggio di togliergliela?

foto IPP/zumapress

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