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Mino Pecorelli: riparte l’indagine su un omicidio dimenticato?
neXtQuotidiano 16/01/2019
L’omicidio del giornalista e le dichiarazioni di un ex terrorista di destra alla base dell’istanza della sorella: sotto la lente i famosi proiettili Gevelot
La sorella di Mino Pecorelli, Rosita, chiede di riaprire le indagini sull’omicidio del giornalista ucciso a Roma il 20 marzo del 1979. Un’istanza in tal senso sarà depositata domani alla procura della capitale dal suo legale, l’avvocato Valter Biscotti. Nella richiesta si sollecitano i magistrati a riaprire le indagini sulla base di una vecchia dichiarazione di Vincenzo Vinciguerra, un ex estremista di estrema destra.
Mino Pecorelli: la sorella chiede la riapertura del caso
Nella dichiarazione, raccolta dal giudice Guido Salvini nel 1992, Vinciguerra sostiene di sapere chi avrebbe avuto in custodia la pistola usata per uccidere Pecorelli. Verbale poi trasmesso alla procura di Roma i cui accertamenti non hanno portato a sviluppi investigativi su questo aspetto. L’avvocato Biscotti ritiene però ora di avere acquisito nuovi elementi legati alla deposizione di Vinciguerra che porterebbero a individuare la possibile arma del delitto Pecorelli. Sui contenuti dell’istanza, il legale mantiene però l’assoluto riserbo, in attesa di sottoporla ai pm della capitale.
Il 27 marzo 1992, infatti, l’estremista di destra Vincenzo Vinciguerra aveva rivelato al magistrato Guido Salvini di aver saputo che “Magnetta (un altro estremista, ndr) sistava comportando male in quanto gli aveva fatto sapere che o veniva aiutato a uscire dal carcere o lui avrebbe consegnato le armi insuo possessofra cuila pistola che era stata utilizzata per uccidere il giornalista Mino Pecorelli…”. Le successive indagini non portarono a nulla. Ma nel 1995, a Monza, vennero sequestrate alcune armi ritenute essere di Magnetta. Nessuno aveva mai messo in relazione i due fatti. Fino al 5 dicembre scorso, quando la giornalista Raffaela Fanelli aveva scritto che alcune di quelle armi sarebbero compatibili con i proiettili che hanno ucciso Pecorelli.
I proiettili Gevelot che uccisero Mino Pecorelli
Pecorelli venne assassinato da un sicario che gli esplosi quattro colpi di pistola munita di silenziatore in via Orazio, dove stava salendo in macchina dopo essere uscito dalla redazione del giornale OP-Osservatore Politico. La particolarità dell’esecuzione è che i proiettili calibro 7,65 trovati nel suo corpo erano della marca Gevelot, molto rata sul mercato, ma dello stesso tipo di alcuni trovati nell’arsenale della Banda della Magliana che si trovava nei sotterranei del ministero della Sanità a cui avevano libero accesso anche alcuni fiancheggiatori e amici della Bandaccia, che aveva corrotto il custode del palazzo per usare il nascondiglio. L’indagine aperta all’indomani del delitto seguì diverse direzioni, coinvolgendo nomi come Massimo Carminati (esponente dei Nuclei Armati Rivoluzionari e della Banda della Magliana), Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti.
Tutti vennero prosciolti il 15 novembre 1991; successivamente, le ipotesi sul mandante e sul movente furono molti: da Licio Gelli (risultato estraneo ai fatti) a Cosa nostra, fino ad arrivare ai petrolieri ed ai falsari di Giorgio De Chirico (Antonio Chichiarelli, membro della Banda della Magliana). L’indagine venne archiviata una prima volta a Roma (nel 1991) e poi riaperta sempre nella Capitale (nel 1993) e trasferita a Perugia dopo il coinvolgimento dell’allora magistrato romano Claudio Vitalone. Il processo si è poi concluso con l’assoluzione piena di tutti gli imputati da parte della Cassazione. Un procedimento che aveva coinvolto Vitalone, Giulio Andreotti, Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calò, Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati.