Opinioni
Michele Girone e il soprannome “Marò” scelto per ottenere voti grazie al padre
Iacopo Melio 04/05/2022
La vicenda raccontata da Iacopo Melio su Michele Girone
Qualche giorno fa, nella posta della mia pagina Facebook, ho ritrovato questo messaggio da parte di un giovane studente:
“Gentilissimo dottor Melio, le porto all’attenzione questo episodio. Michele Girone, figlio del soldato maro’ Girone, si candida al CNSU, Consiglio Nazionale Studenti Universitari, e per farlo si candida tenendo come soprannome “salvatore girone” e “marò”, così che le persone lo possano votare sulla base della fama che lo accompagna per il padre. Che a onor del vero resta pur sempre ricordato non come un generale di guerra, ma un assassino. Per presentarsi parte scusandosi di essere stato fascista da adolescente, e pubblica il suo manifesto decalogo che compose a 17 anni calpestando la dignità femminile. Come se fosse goliardia, come se fosse un qualcosa da poter mascherare, da mettere nell’armadio e far finta di niente. È successo ora sono altro.”
Anche la pagina satirica pugliese “Studenti Alternativi”, ha commentato:
“UP candida nell’organo più importante di tutti un militante di Azione Università, ben noto negli ambienti liceali baresi per il suo carattere “vivace” e per posizioni politiche tutt’altro che moderate. Per evitare qualsiasi accusa di nepotismo, il candidato ha pensato bene di fare scrivere sui santini “marò” al posto del suo nome. Infatti è figlio dell’ex marò Salvatore Girone. Ma perché ha voluto mettere il lavoro del padre al centro della sua campagna elettorale? Vuole essere votato per aumentare le borse di studio o per combattere i pescatori indiani?”
Michele Girone e il soprannome “Marò” scelto per ottenere voti grazie al padre
Ora, allontaniamoci per un attimo dalle opinioni riguardanti il padre, che in fin dei conti ognuno di noi dovrebbe liberamente avere e tutti gli altri, concordi o meno, accettare. Così come leciti sono anche i commenti degli amici del candidato che, sostenendolo, dimostrano una capacità così profonda del perdono da arrivare a scrivere “ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio”, commuovendomi come quando mi trovo davanti a un piatto di pappa col pomodoro… Il punto grave, qui, secondo me è un altro.
Anche perché, parliamoci chiaro, la maggior parte dei “figli di”, almeno una volta nella vita, soprattutto da giovani, immagino abbia sfruttato il proprio cognome e quello che di buono (e di cattivo) porta con sé, fama e visibilità compresa, per trarne qualche vantaggio personale. Anche solo fosse un appuntamento romantico insieme alla “cotta” di turno, magari con la promessa di farle conoscere la propria famiglia. Discorso sessista? Superficiale? Probabilmente, ma è un dato di fatto, purtroppo, che la nostra società lo sia ancora, perciò mi sto solo limitando a riportarla. Che non significa affatto vada bene ottenere dei tornaconti senza un qualche merito, ma di sicuro resta difficile impedirlo in senso assoluto.
Ecco perché dico che quel “detto Marò” o “detto Salvatore Girone” mi fa in minima parte sorridere: perché maschera l’ingenuità di un giovane che spera di ottenere qualche croce in più sulla scheda delle elezioni che porta il suo nome. E non possiamo sapere quanto di “cattivo” ci sia in questo, o quanto invece di “ingenuo”. Ciò che è certo, però, è il suo dichiararsi di una parte politica ben precisa, non proprio amica della moralità e della rettitudine. Per questo, prima di tutto, dovremmo chiederci come sia possibile che alle elezioni del CNSU venga fatto concorrere nell’indifferenza quasi totale, se non fosse per qualche studente sparso tra la Campania e la Basilicata che sta alzando la voce.
Perché se è vero che tutte le opinioni devono essere rispettate, se è vero che l’apologia di fascismo è un reato, e che in questo caso si potrebbe benissimo parlare di una persona oggi “cambiata” rispetto a una foto che lo ritrae con il braccio destro teso, e se quindi una seconda possibilità è giusto concederla a chiunque (figuriamoci, pure una terza o quarta occasione in certi casi… credendo fermamente in uno Stato di diritto che punta alla rieducazione e non alla punizione coercitiva), è anche vero che non possiamo voltarci dall’altra parte senza stimolare delle riflessioni, lanciare qualche polemica e pure fare opposizione, se ci pare.
Lo deve fare la generazione alla quale appartiene chi mi ha scritto il primo messaggio, classe che rappresenta già da tempo le cittadine e i cittadini di domani, e lo deve fare il mondo della formazione e dell’istruzione affinché ciò che è stato buio ieri non si ripeta più domani. Lo dobbiamo fare tutte e tutti noi, ogni giorno, davanti a delle minime cose che ci sembrano minimamente ingiuste. Così, chissà, magari fra dieci anni nessuno studente si candiderà premettendo di essere chi non è stato, indossando valori ambigui di un cognome pesante, ma elencherà i punti del proprio programma: magari pochi, possibilmente chiari, inequivocabili, trasparenti. Almeno il futuro lo vorremmo così.