Opinioni
Michele Giarrusso vi spiega che l'immunità a 5 Stelle è cosa buona e giusta
dipocheparole 06/07/2016
Stamattina il Corriere della Sera ha confermato che Mario Michele Giarrusso, senatore del MoVimento 5 Stelle, chiederà lo scudo dell’articolo 68 della Costituzione per non finire sotto processo a Enna dove è stato denunciato per diffamazione dalla deputata dem Maria Gaetana Greco, che proprio il senatore aveva accusato di «contiguità con ambienti mafiosi», come già anticipato […]
Stamattina il Corriere della Sera ha confermato che Mario Michele Giarrusso, senatore del MoVimento 5 Stelle, chiederà lo scudo dell’articolo 68 della Costituzione per non finire sotto processo a Enna dove è stato denunciato per diffamazione dalla deputata dem Maria Gaetana Greco, che proprio il senatore aveva accusato di «contiguità con ambienti mafiosi», come già anticipato nella sua memoria difensiva (e segnalato nel giugno scorso da L’Espresso). Leggermente innervosito dal clamore che la sua decisione ha suscitato, Giarrusso ha spiegato in un lungo post su Facebook le sue ragioni, incollando gran parte della sua memoria difensiva ed evidentemente dimenticando che altri, come Alessandro Di Battista, hanno già annunciato che rinunceranno all’immunità in caso di querele di questo genere:
Invece di indagare su chi ha sostenuto la campagna elettorale del sindaco di Agira (deputato del Pd), ci accusano nientemeno di essere come loro.
Vediamo invece le cose come stanno.
Dalla lettura dell’oggetto dell’imputazione di diffamazione che mi riguarda infatti, si evince che l’espressione “esibire in maniera plateale comportamenti e soggetti denotanti contiguità con gli ambienti mafiosi” era riferita al fatto assolutamente vero e confermato anche dalla querelante, della presenza del Sig. Giannitto Giuseppe, nello stesso balcone in cui erano presenti esponenti politici del Partito Democratico.
Le mie parole quindi erano volte a denunciare la possibilità che soggetti che abbiano intrattenuto rapporti con la criminalità organizzata potessero essere interessati alla campagna elettorale locale, addirittura presenziando in pubblico accanto ad esponenti politici.
In relazione al reato di diffamazione fondamentale rilievo assume l’insindacabilità prevista per i membri del Parlamento dall’art. 68 Cost. secondo il quale i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni.
Si tratta di una insindacabilità assoluta, che esclude qualsiasi forma di responsabilità e che ricomprende anche ogni attività compiuta anche fuori dalle aule parlamentari, nell’esercizio de funzioni derivanti dalla propria carica o comunque con essa collegate.
In particolare, l’art. 3 della Legge 20 giugno 2003 n. 140 sull’attuazione dell’art. 68 Cost. nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello stato prevede che “L’articolo 68, primo comma, della Costituzione si applica in ogni caso per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle Assemblee e negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento”. Da siffatto quadro normativo emerge che in presenza di determinati elementi anche le dichiarazioni esterne risultano coperte dalla garanzia dell’insindacabilità.
Nello specifico occorre, come sopra accennato, che vi sia un nesso funzionale tra le dichiarazioni esterne e il concreto esercizio delle funzioni parlamentari.
Detta insindacabilità è configurabile quindi anche in caso di attività del parlamentare espletata fuori dal Parlamento a condizione che la critica sia connessa o collegata alla sua funzione e riguardi questioni trattate e opinioni espresse in sede parlamentare, avendo pertanto in relazione a queste una finalità divulgativa.
Non si tratta cioè di un privilegio, ma della tutela della libertà di portavoce dei cittadini di poter chiamare le cose col proprio nome senza dover subire tentativi di censura a mezzo denunce e cause di risarcimento.
Voi ci avete mandato in parlamento per denunciare il malaffare, la corruzione e la mafia.
E noi questo facciamo, malgrado le intimidazioni, gli attacchi e le minacce del PD.
La insindacabilità quindi, mira a tutelare questa possibilità e cioè l’attività di denuncia.
Va in primo luogo evidenziato che l’articolo di cui all’imputazione risulta inserito all’interno del blog del Movimento Cinque Stelle, portale di natura prettamente politica e rivolto alla divulgazione delle idee del movimento. Ora è evidente che il Sottoscritto nel proprio intervento, provvedeva a rendere edotti i lettori ed il proprio elettorato su quanto avvenuto nel corso di un Comizio elettorale del Movimento Politico di appartenenza, segnalando la presenza del Sig. Giannitto – che aveva intrattenuto in passato rapporti con la criminalità organizzata – nella balconata di un comitato elettorale in cui si trovavano anche gli esponenti politici avversari. Tali affermazioni hanno natura squisitamente politica onde sottolineare l’indignazione nei confronti di tale personaggio da parte del candidato del Movimento Cinque Stelle. Ovviamente per denunciare i fatti accaduti era doveroso descriverli nei minimi particolari indicando anche coloro che, volontariamente o meno, si trovavano nel corso del Comizio, a fianco di tale soggetto.
Pertanto, come si evince dal quadro così tracciato si può senza dubbio sostenere che quanto affermato nel sopracitato articolo dallo scrivente, coincide con le opinioni dallo stesso espresse nelle sedi parlamentari nell’esercizio delle proprie funzioni, anche in considerazione del fatto che il medesimo è componente della Commissione Giustizia, nonché della Commissione bicamerale Antimafia; ed in ragione di ciò, tali dichiarazioni risultano coperte dall’insindacabilità parlamentare di cui all’art. 68 della Costituzione. A tal proposito va evidenziato che la Corte costituzionale italiana, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della legge di attuazione, ha precisato che l’art. 3, c. 1, L. 140/2003, nonostante l’ampia formulazione lessicale, può considerarsi una disposizione legislativa di attuazione finalizzata a rendere immediatamente e direttamente operativo sul piano processuale il disposto dell’art. 68, c. 1 della Costituzione.
Come sopra ricordato, le espressioni di cui all’imputazione provvisoria venivano espresse in un articolo pubblicato sul blog www.beppegrillo.it nel periodo di campagna elettorale e sono direttamente riferibili ad una circostanza verificatesi nell’ambito di un Comizio politico del Movimento Cinque Stelle al quale l’indagato presenziava in veste ufficiale. Riguardo al tenore e al contenuto di quanto scritto occorre innanzitutto rilevare che l’indagato, come correttamente riportato nell’imputazione, si è limitato a rappresentare che: “è inammissibile ed intollerabile che nel 2015 sia ancora possibile esibire in maniera così plateale comportamenti e soggetti denotanti contiguità con gli ambienti mafiosi, per di più in una campagna elettorale”.
Orbene, il significato di quanto scritto pare piuttosto chiaro e non suscettibile di interpretazioni alcune, volendosi esclusivamente evidenziare che il candidato sindaco del Partito Democratico, la deputata Maria Greco, assisteva al Comizio da un balcone sito accanto al palco a fianco del Sig. Giuseppe Giannitto, mostrandosi innanzi agli occhi dell’itera platea accanto a costui.
Nel medesimo articolo si sottolineava il fatto che il Sig. Giannitto veniva “…arrestato nel 2005 mentre cenava in un casolare di campagna e discuteva di affari con il boss Giuseppe Di Fazio, reggente della famiglia mafiosa Santapaola, inserito nell’elenco dei 30 più pericolosi latitanti di mafia …”.
Ebbene, tale circostanza emerge chiaramente da due articoli pubblicati in data 24 ottobre 2005 sul quotidiano “Repubblica” e sul portale “il Giornale.it”, dai quali risulta che l’arresto del Sig. Giannitto è avvenuto per favoreggiamento personale, in particolare per aver dato ospitalità al boss latitante Di Fazio, nelle medesime circostanze descritte dallo scrivente. Si rappresenta altresì che, come risulta dal certificato del casellario Giudiziale del Sig. Giannitto – agli atti- il medesimo è stato condannato in via definitiva per favoreggiamento personale in concorso con la recidiva di cui all’art. 99 co1 c.p.. Peraltro l’arresto in flagranza del Sig. Giannitto per il reato di favoreggiamento personale di cui all’art. 378 c.p. (in favore del latitante Di Fazio) risulta anche dai documenti in possesso degli inquirenti. Nella Nota della Questura di Enna (DIGOS) del 28 luglio 2015, trasmessa agli atti della Giunta dal Tribunale di Enna, si descrive bene alle pagine 4 e 5 il “vissuto giudiziario” (termine usato con evidente “imbarazzo” nella relazione dalla DIGOS) del Signor Giannitto.
Secondo la Nota del 28 luglio 2015 invero, il Signor Giannitto sarebbe stato:
-il 4 Novembre 1985 arrestato per porto e detenzione di armi e successivamente condannato per il suddetto reato “in concorso”;
-denunciato nel 1996 per il reato di traffico illecito e spaccio di sostanze stupefacenti;
-arrestato nel 2005 nell’ambito della operazione dei Carabinieri del R.O.N.O. per il reato di favoreggiamento personale del latitante Di Fazio;
-nel dicembre 2005 proposto per la Sorveglianza Speciale di P.S.;
-condannato nel 2010 per il reato di favoreggiamento in concorso;
Ora è vero che il Sig. Giannitto non è mai stato condannato per reati di mafia, ma alla luce del suindicato “vissuto giudiziario” pare potersi sostenere, senza ombra di dubbio, che lo stesso abbia intrattenuto rapporti con soggetti mafiosi. Ma vi è ben altro. Lo scrivente invero, aveva segnalato alla Procura procedente ed inserito nella interrogazione presentata, la particolare posizione della moglie del Giannitto.
La Procura della Repubblica di Enna però, ha omesso di verificare se, come si dice ad Agira, la Sig.ra Scaminaci, moglie del Giannitto, sia strettamente imparentata con i soggetti coinvolti in numerose importanti inchieste di mafia e criminalità organizzata. Nel 2009 invero, la squadra mobile della Questura di Enna ed il commissariato di pubblica sicurezza di Leonforte eseguirono circa 20 ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Caltanissetta, per i reati di concorso e associazione per delinquere di stampo mafioso nell’ambito della “operazione Green Line”. In tale occasione, furono arrestati Antonio Scaminaci, del 1961, già pregiudicato e Giovanni Scaminaci, del 1966, anch’egli già pregiudicato, con l’accusa di fare parte di un’associazione per delinquere di stampo mafioso, ex art. 416-bis del codice procedura penale, nonché di aver commesso altri reati loro ascritti, e per questo condannati in secondo grado a 9 anni e 8 mesi il primo e 6 anni il secondo, condanna confermata successivamente anche dalla I Sezione penale della suprema Corte di cassazione, con sentenza n. 903/2013.
Più recentemente, la famiglia Scaminaci si è ritrovata coinvolta in una nuova operazione, denominata “Nickname”, eseguita dagli agenti del commissariato di Polizia di Leonforte, che hanno condotto all’arresto, in data 20 giugno 2013, di Massimiliano Scaminaci, considerato a capo di un’organizzazione dedita allo smercio di sostanze stupefacenti e condannato recentemente in primo grado a 10 anni con l’accusa di aver commesso i reati di detenzione, spaccio e associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga.
Sempre da articoli di stampa locale sarebbe emerso che i membri della famiglia Scaminaci figurano anche nell’ancora più attuale operazione “Shod Horse”, dove sono stati tratti in arresto, con ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari, i fratelli Antonino e Giuseppe Gaetano Scaminaci, rispettivamente del 1983 e 1984, per essersi resi responsabili di una serie di furti effettuati agli sportelli bancomat e a danno di attività commerciali, come pure del reato di spaccio di sostanze stupefacenti. La Procura di Enna quindi, se avesse verificato quanto da me affermato sulla signora Scaminaci, moglie del Giannitto, avrebbe avuto un quadro ancora più eloquente ed allarmante dei collegamenti tra i presenti al comizio e gli ambienti mafiosi sopra descritti. La presenza del Signor Giannitto nel comitato elettorale della Onorevole Greco e la sua plateale ed arrogante esibizione nel balcone del suddetto comitato innanzi alla popolazione di Agira, radunata in piazza per il comizio, rappresenta una delle pagine più brutte delle ultime campagne elettorali del nostro paese. La carica di intimidazione nei confronti degli abitanti di Agira, derivante dalla presenza di un personaggio di peso nel panorama criminale come il Giannitto, getta pesanti ombre su quella campagna elettorale e meriterebbe ben altri approfondimenti.
Tutto chiaro, no? E pensare che un tempo i 5 Stelle pubblicavano post come questi:
Intanto sulla pagina Fb di Giarrusso il dibattito si fa sempre più raffinato. Un utente gli chiede perché non rinuncia all’immunità e lui risponde che non vuole pagare l’avvocato:
Giarrusso di mestiere fa l’avvocato.
Leggi sull’argomento: Quando Di Maio diceva: «I grillini rinunciano all’immunità e all’insindacabilità»