La guerra dell’intelligence dietro l’arresto di Meng Wanzhou di Huawei

di Giorgio Vilardo

Pubblicato il 2018-12-07

La battaglia tecnologica tra USA e Cina prosegue. Motivazione ufficiale: la violazione dell’embargo sanzionatorio imposto all’Iran. Motivazione ufficiosa, da sommare alla motivazione ufficiale, è che Huawei è un competitor per diverse aziende in un settore strategico per gli interessi americani

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L’arresto di Meng Wanzhou, chief financial officer di Huawei, potrebbe rappresentare una mossa significativa sullo scacchiere della guerra commerciale in corso tra USA e Cina. Motivazione ufficiale: la violazione dell’embargo sanzionatorio imposto all’Iran. Motivazione ufficiosa, da sommare alla motivazione ufficiale, è che Huawei è un competitor per diverse aziende di peso americane: Apple per fare un esempio, che è stata superata ad agosto 2018 per numero di smartphone prodotti. British Telecom, colosso UK delle telecomunicazioni, indirettamente alimenta i dubbi dichiarando, nella stessa giornata dell’arresto, che Huawei non è stata inclusa nel processo di selezione dei partner commerciali per il nucleo centrale della loro infrastruttura.

La guerra a Huawei non è solo una scaramuccia commerciale

E per non farci mancare il terzo indizio, poche settimane fa il Wall Street Journal dava notizia di una campagna diplomatica americana per convincere gli alleati, soprattutto quelli con basi militari USA sul territorio, ad abbandonare Huawei, anche in cambio di qualche sconto sugli apparati a stelle e strisce. La paura principale è quella che una nazione tradizionalmente ostile al paese guidato da Donald Trump possa aumentare il numero di “orecchie digitali” a sua disposizione in un mondo sempre più interconnesso.

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Paura legittima? Forse, se consideriamo come le moderne infrastrutture di telecomunicazioni siano costruite e cosa vi transita: dati sensibili, privati, di interesse strategico e industriale, oltre le telefonate e i servizi generalisti come il web, le email, le chat e quant’altro utilizziamo quotidianamente. E la paura è ancora più legittima se consideriamo ciò di cui siamo a conoscenza grazie alle rivelazioni di Edward Snowden: ossia che lo zio Sam non è certo esente da colpe per quanto riguarda l’utilizzo dell’infrastruttura come testa di ponte per l’intelligence. Non è comunque la prima volta e non è certo cominciata con l’era Trump l’ostilità verso i produttori cinesi: sia ZTE (altro gigante cinese delle telco) che Huawei sono già sotto osservazione speciale almeno dal 2012, anno di pubblicazione di un rapporto USA dal titolo inequivocabile: “Investigative Report on the U.S. National Security Issues Posed by Chinese Telecommunications Companies Huawei and ZTE“. Nelle sessanta pagine del rapporto vengono elencate tutte le mancanze – vere o presunte – di trasparenza delle due aziende cinesi. ZTE inoltre è stata condannata lo scorso anno a una multa di 900 milioni di dollari e all’embargo da parte delle aziende USA, sempre per aver venduto apparati in Iran.

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Huawei è molto conosciuta come marchio di telefonia mobile; ma la vocazione aziendale principale è quella di fornitore di apparati per infrastrutture di telecomunicazioni, attività iniziata a fine anni ’80 producendo switch telefonici, ossia apparecchi in grado di instradare le telefonate verso la linea corretta. In Italia era Italtel a fare lo stesso lavoro, tanto per avere un metro di paragone. Con l’evoluzione tecnologica e l’emergere di Internet, le linee telefoniche sono state accorpate con le linee dati e tutto viaggia sugli stessi cavi e transita attraverso questi misteriosi apparati dai nomi esoterici come router, switch, DWDM, bridge.

Gli interessi strategici di Huawei che preoccupano gli USA

La quota mercato di Huawei in questo settore è aumentata molto di anno in anno: 10% soltanto dal 2016 al 2017 secondo Gartner, complici le politiche aggressive di prezzo sulle gare d’appalto, a tutto svantaggio di player come Cisco, leader americano di settore e praticamente monopolista nel mercato occidentale fino a qualche anno fa. Queste tipologie di apparati sono presenti a tutti i livelli: ognuno di noi ha in casa un router, fibra o ADSL che sia, a cui colleghiamo computer, smartphone, smart tv. Tutti i router di uno stabile convergono in un singolo switch di condominio, o al classico “armadio” visibile nelle strade. A loro volta gli switch condominiali e gli armadi convergono ai router PoP (point of presence) del nostro provider, generalmente cittadino.

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Credits: Cisco.com Fonte

I PoP sono aggregati negli enormi anelli di fibra ottica che percorrono il paese, che a loro volta comunicano sulle dorsali intercontinentali. Un provider quindi raccoglie tutta la sua clientela e tramite sale dedicate, gli Internet eXchange (IX), la connette con la clientela di altri provider. Volendo esagerare e facendo del complottismo a buon mercato, potremmo dire che la proprietà e il controllo di Internet sono di chi possiede gli apparati di rete; una perdita di controllo eccessiva nel settore equivale a un asset in meno per la temuta intelligence americana, che investe corposi capitali per la guerra informatica.

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La guerra per la supremazia tecnologica sembra quindi destinata a non fermarsi: gli interessi in gioco, sia quelli realistici che quelli più nell’ambito della fantapolitica ma pur sempre possibili, sono molteplici.

 

Foto copertina via Flickr.com

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