E Matteo salvò i soldi dei Riva dai danni dell'Ilva

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-02-05

Taranto non potrà mai avere come risarcimento i soldi dell’azienda. E, a questo punto, rischia anche di non riuscire a utilizzare in tempi accettabili i capitali della famiglia per l’ambientalizzazione dell’azienda. Il decreto voluto dal governo Renzi rischia di diventare una beffa per i tarantini

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Il giudice dell’udienza preliminare Wilma Gilli ha escluso ieri Ilva spa, Riva Fire e Riva forni elettrici dai risarcimenti danni chiesti dalle parti civili. Rimangono solo le responsabilità penali dei singoli indagati nell’inchiesta Ambiente svenduto. Il provvedimento è stato assunto ieri dallo stesso gup nel corso dell’udienza. Il magistrato ha accolto l’istanza presentata dagli avvocati delle società interessate. Il gup ha escluso Riva Fire, capogruppo, e la controllata Riva Forni Elettrici – i cui stabilimenti sono soprattutto al Nord – in quanto le due società non sono state coinvolte nell’incidente probatorio svoltosi nella primavera del 2012 a Taranto. L’Ilva, invece, è stata esclusa perché l’azienda è in amministrazione straordinaria dallo scorso 21 gennaio attraverso la legge Marzano. E quindi eventuali risarcimenti andrebbero chiesti al tribunale fallimentare di Milano.
 
 
E MATTEO SALVÒ I SOLDI DEI RIVA DAI DANNI DELL’ILVA
Nelle udienze precedenti oltre un migliaio erano state le costituzioni di parte civile presentate al gup per il procedimento che vede 53 tra persone fisiche e giuridiche accusate, a vari livelli di responsabilità, del reato di disastro ambientale. Per tutti i 53, la Procura di Taranto aveva chiesto il rinvio a giudizio. Il migliaio di parti civili era stato poi “scremato” dal gup a circa 600. Fra quelli la cui costituzione parte civile è stata accettata ci sono i sindacati metalmeccanici, le principali associazioni ambientaliste, il Comune e la Provincia di Taranto e i ministeri della Salute e dell’Ambiente. L’insieme delle richieste risarcitorie è pari a 30 miliardi di euro, di cui 10 miliardi ciascuno per Comune e Provincia di Taranto e altri 10 per i due ministeri. Oggi il gup ha escluso dai risarcimenti delle parti civili le tre società. Spiega oggi Repubblica in un articolo a firma di Giuliano Foschini:

Taranto non potrà mai avere come risarcimento i soldi dell’Ilva. E, a questo punto, rischia anche di non riuscire a utilizzare in tempi accettabili i soldi dei Riva per l’ambientalizzazione dell’azienda. Il decreto salva Ilva voluto dal governo Renzi rischia di diventare una beffa per i tarantini. Ieri, infatti, il gup del tribunale Vilma Gilli, nell’udienza del processo Ambiente Svenduto che vede alla sbarra 52 persone, tra cui la famiglia Riva,ha escluso dalla responsabilità civile le società Ilva spa, Riva Fire e Riva forni elettrici. La città non si potrà quindi rivalersi contro di loro in caso di condanne.
Questo perché dopo il decreto del governo di amministrazione straordinaria, è stata divisa la responsabilità tra nuova e vecchie società. Un problema procedurale, dunque, sollevato sia dagli avvocati dei Riva sia da quelli della nuova Ilva che ha fatto infuriare gli ambientalisti che con il segretario dei Verdi, Angelo Bonelli, parlano di una città costretta «a non vedere alcuna giustizia». In realtà la decisione del giudice non toglie la possibilità di rivalersi personalmente con i singoli imputati, tra cui tutti gli esponenti della famiglia Riva. Ma chiaramente nessuno potrà fare fronte alle richieste di risarcimento, che al momento sono quantificabili in circa 30 miliardi di euro.

Un altro scossone all’inchiesta giudiziaria dopo quello verificatosi a dicembre 2013 quando la Corte di Cassazione annullò senza rinvio il sequestro da 8,1 miliardi di euro disposto dal gip Patrizia Todisco a valere sui beni di Riva Fire, Riva Forni Elettrici e Ilva escluso tutto quello strettamente funzionale alla produzione e all’attività di Taranto essendo intervenuta nel frattempo la prima legge “Salva Ilva”, la 231 del 2012.
 
LA PROTESTA DEI TRASPORTATORI
Intanto oggi protestano a Taranto i trasportatori che lavorano da e per l’Ilva di Taranto e che attendono da mesi di essere pagati dall’azienda per i lavori effettuati. Dopo essere stati fermi per diversi giorni con i loro mezzi all’esterno di una delle portinerie del siderurgico, riducendo al minimo l’entrata e l’uscita di materiali e prodotti dallo stabilimento industriale, stamani circa 150 trasportatori hanno riacceso i loro mezzi per un presidio di protesta sulle statali vicine all’area industriale di Taranto: la 106 per Reggio Calabria e la 100 per Bari. Una lunga autocolonna di mezzi è, infatti, partita stamattina dirigendosi prima verso San Basilio, località del comune di Mottola, al confine tra le province di Bari e Taranto. Da qui poi i mezzi torneranno indietro verso Taranto distribuendosi lungo le due statali. La protesta di questa mattina compatta tutto il mondo dell’autotrasporto: consorzi, cooperative, associazioni di categoria e singoli operatori. ”Sono circa 150 mezzi che stamattina stiamo portando in strada – spiega Giacinto Fallone, autotrasportatore e portavoce del fronte della protesta – non vogliamo bloccare la citta’, ne’ creare disagi al traffico e ai cittadini. La nostra sarà una marcia lenta dalla portineria C dell’Ilva a San Basilio-Mottola e poi di nuovo verso Taranto e il siderurgico. Finita la marcia – aggiunge Fallone – torneremo davanti alla portineria C dell’acciaieria e qui attenderemo la conclusione del vertice di stamattina a Palazzo Chigi dal quale speriamo escano notizie positive”. Nel panorama dell’indotto che attende pagamenti da mesi dall’Ilva e che teme che con l’amministrazione straordinaria – alla quale l’azienda e’ sottoposta dal 21 gennaio scorso – i crediti maturati possano essere azzerati o ridimensionati, il mondo del trasporto è un fronte molto delicato. L’Ilva in amministrazione straordinaria, attraverso i commissari Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi, ha, intanto, avanzato una proposta di revisione contrattuale ai trasportatori che prevede, tra l’altro, il riconoscimento della prededucibilita’ dei crediti a far data dal 21 gennaio scorso, il pagamento, dal 30 gennaio, del 60% in acconto e il restante 40 entro 30 giorni dalla data della fattura anziché a 60 giorni, infine il pagamento, entro il 10 febbraio, delle commesse eseguite dal 21 al 30 gennaio scorsi.

Leggi sull’argomento: Il bivio della siderurgia italiana

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