Matteo Renzi e la strategia del capro espiatorio

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-04-15

Maurizio Lupi, Pietro Ciucci e Fabio Tortosa sì. Gianni De Gennaro assolutamente no. Sfiorato dagli scandali e dalle inchieste, ma soprattutto dal calo di popolarità sua e del Partito Democratico negli ultimi sondaggi, il premier interviene nel dibattito pubblico. A modo suo. Furbo

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Maurizio Lupi, Pietro Ciucci e Fabio Tortosa sì. Gianni De Gennaro assolutamente no. Sfiorato dagli scandali e dalle inchieste, ma soprattutto dal calo di popolarità sua e del Partito Democratico negli ultimi sondaggi, Matteo Renzi torna rottamatore nel dibattito pubblico, intervenendo nei fatti di cronaca ma senza esagerare. E così accade che Pietro Ciucci paghi i crolli incredibili delle strade gestite dall’ANAS trovandosi a dover consegnare le proprie dimissioni “volontarie” al governo insieme all’assemblea di bilancio a maggio, anche se non era accaduta la stessa cosa un anno fa, e la decisione viene vista con “soddisfazione” dal nuovo ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio.
 
MATTEO RENZI E LA STRATEGIA DEL CAPRO ESPIATORIO
D’altro canto Ciucci era indifendibile, nel senso che la sua epoca, quella dei boiardi di Stato, poteva trovare sponde in Letta, Monti e Berlusconi ma non certo dalle parti di Renzi. E senza nessuno a difenderti, anche una poltrona comoda come quella che Ciucci occupava da quasi dieci anni può cominciare a bruciare. Anche perché è inutile sottolineare che prima l’inchiesta sulle Grandi Opere e poi i crolli di viadotti e passaggi hanno scoperchiato il grande problema delle infrastrutture d’Italia. Un problema amplificato dalla presenza di Lupi alle Infrastrutture, e per questo in alcuni retroscena all’epoca dell’inchiesta Incalza si raccontava di un Matteo Renzi determinato a fare pulizia all’interno di un ministero responsabile di danni d’immagine importanti nell’anno dell’Expò. Con il doppio colpo su Ciucci e Incalza, insieme alla nomina di Delrio, Renzi così si è mostrato inflessibile agli occhi dell’opinione pubblica nei confronti dei presunti responsabili, e poco importa se nel frattempo le leggi e i regolamenti del dicastero e dell’ente non sono cambiati: l’importante è trovare un capro espiatorio a cui dare la colpa e qualcuno da defenestrare per fare bella figura con i media.
 
IL G8, LE VIOLENZE E I POLIZIOTTI
La stessa cosa è accaduta con la storia di Tortosa: il premier, accompagnato stavolta dal ministro Alfano, ha chiesto subito di fare chiarezza sulle parole del polziotto riguardo la Diaz, dimostrando interventismo anche su questa storia. E facendo anche così dimenticare che sull’aporia più grossa della sentenza di Strasburgo, ovvero che i capi della polizia di allora siano stati promossi sul campo e, una volta concluso il cursus honorum, si siano ritrovati, come Gianni De Gennaro, a capo della più importante azienda pubblica italiana. Per Renzi De Gennaro è innocente, mentre evidentemente Tortosa, che alla Caserma, non comandava nulla né si è reso responsabile di alcunché visto che l’indagine non l’ha mai visto sul banco degli accusati, è colpevole. Ci vuole poco a capire che questa strategia del capro espiatorio rappresenta una discreta furbata per gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica. Ma mica è detto che non funzioni. Anzi.

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