Marisa Charrère: la donna che ha ucciso i figli e si è tolta la vita ad Aosta

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-11-17

I bambini uccisi con iniezioni letali di potassio. La lettera con i messaggi al marito e la depressione nascosta della donna alla base del gesto. Ha scritto al marito: «Mi hai spento il sorriso»

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Marisa Charrère era un’infermiera del reparto di Cardiologia dell’Ospedale di Aosta. Sposata con Osvaldo Empereur, aveva due figli di 7 e 9 anni: Nissen e Vivien. Due giorni fa ha preso dei farmaci in ospedale e ha preparato del veleno, uccidendo i suoi bambini con una puntura. Poi ha scritto al marito: «Mi hai spento il sorriso». Mi hai fatto soffrire: «Adesso soffrirai tu». Quindi ha afferrato l’ultima siringa, se l’è piantata nel braccio e si è lasciata andare tra il frigo e il tavolo da cucina.

Marisa Charrère: la donna che ha ucciso i figli e si è tolta la vita ad Aosta

«Dì a tutti che i bimbi sono morti per colpa del gas», ha scritto Marisa su alcuni fogli ritrovati nella stanza della strage.  Empereur, che di mestiere fa la guardia forestale, è tornato a casa ad Aymavilles nella notte di giovedì e ha trovato tutti morti. Da quel momento l’uomo è piombato in uno stato di shock per cui è stato necessario ricoverarlo nel reparto di psichiatria. Poco prima che Empereur rincasasse la stessa vicina aveva sentito “un rumore di sedie, poi delle urla. Quindi il silenzio”. Forse gli ultimi istanti di disperazione della donna che aveva pianificato con inquietante lucidità l’omicidio-suicidio, rubando dall’Ospedale il potassio: un sale minerale normalmente innocuo, ma che può provocare un immediato arresto cardiaco se viene utilizzato in dosi massicce, come avviene nelle esecuzioni capitali. La conferma dell’esatta causa del decesso si avrà comunque solo dopo gli esami tossicologici, per cui ci vorrà qualche giorno. Intanto il sostituto procuratore di Aosta Carlo Introvigne, che coordina le indagini condotte dalla squadra mobile della questura di Aosta del commissario capo Eleonora Cognigni, ha conferito al medico legale Mirella Gherardi e al radiologo Davide Machado l’incarico di svolgere l’autopsia sui tre corpi che inizierà domani. Nulla di quelle “vite normali” avrebbe potuto far presagire la tragedia di ieri notte.

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L’esistenza di Marisa Charrère nel passato si era incagliata in momenti difficili. Quando, giovane, aveva perso il padre in un incidente stradale. Poi nell’inverno del 2000 la stessa sorte era toccata al fratello Paolo Charrère, morto mentre stava sgomberando la neve sulla strada regionale di Cogne. Ma la vita recente della donna sembrava scorrere serenamente, divisa tra gli impegni familiari e il lavoro in cardiologia. Proprio poche ore prima di uccidere i figlioletti aveva inviato sms ad alcune colleghe infermiere da cui sembrava “lucida e tranquilla”.

La lettera al marito: “Ora soffri tu”

“E’ la mancanza di speranza e la mancata capacità di chiedere aiuto che uccide in questi casi, perché porta a non riuscire a vedere un’altra via d’uscita che non sia l’annullamento”. Il presidente della Società italiana di Psichiatria (Sip), Enrico Zanalda, commenta così il caso di infanticidio-sucidio che si è verificato ad Aymavilles, in provincia di Aosta. Episodi simili, spiega, sono rarissimi e se ne registrano circa 0,09 casi su 100.000 abitanti, circa uno su milione ogni anno. “Sono in genere causati da uno stato di depressione che può essere più o meno latente e più o meno di recente insorgenza. In passato – precisa l’esperto – episodi di depressione particolarmente gravi erano più frequenti. Oggi, con i trattamenti farmacologici, si riesce normalmente a tenerli più sotto controllo. In questo caso, quindi, si potrebbe esser trattato di una condizione depressiva particolarmente subdola o improvvisa, visto che nessuno intorno sembra essersi accorto della sofferenza che la donna stava provando”.

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A determinare un gesto estremo come quello di uccidersi portandosi dietro chi si ha di più caro, come i propri figli, quello che gli esperti chiamano Hopeless, ovvero la mancanza di speranze, unita alla Helpness, ovvero la mancanza di capacità di chiedere aiuto, tipica della depressione gravissima. Di certo invece, sottolinea, “in questo caso non hanno pesato alcuni elementi di complessità che possono predisporre a gesti estremi, come la mancanza di risorse economiche o la disoccupazione, che in questa storia non si ravvisano”. La scelta della modalità di compiere il gesto, conclude, ovvero la dose letale di farmaci, è chiaramente legata alla professione della donna, Marisa Charrère, stimata infermiera presso l’Ospedale di Aosta. “Indica comunque una premeditazione e una programmazione – precisa l’esperto, direttore del Dipartimento salute Mentale Torino 3 – che rende sostanzialmente questo caso diverso da quelli in cui si agisce di impulso utilizzando uno strumento occasionale”.

Le due lettere di Marisa Charrère

Alessandro Fulloni sul Corriere della Sera racconta qualcosa di più su quanto accaduto al numero civico 13 di Clos Savin, raccontando delle borse della spesa lasciate nell’auto e dei due protagonisti della vicenda:

Lui esuberante, sportivo, appassionato di sci di fondo, animatore delle serate allo «Sci club Drink», il posto di ritrovo del paese. Lei assai più riservata, silenziosa, la vita segnata da due pesantissimi lutti: il padre, un operaio del soccorso stradale, morì quando Marisa era bambina, rotolando in una scarpata con un mezzo spazzaneve mentre infuriava una tormenta. E su quelle stesse strade di montagna morì anche il fratello di lei, nel novembre 2001, schiantandosi contro un Tir mentre era alla guida di un’utilitaria.

marisa charrère aosta

Un’infermiera scrupolosa nel lavoro, preparata e diligente, a detta dei colleghi in Cardiologia: «Adorava i figli, era attenta ai loro bisogni e presente». Semmai il rammarico era «di averli avuti da “grande” — aggiunge qualcuno in corsia — ma questo era un motivo per stare sempre con loro, accompagnandoli a scuola e a lezione di sci di fondo».

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