Mario Draghi sulla caduta del suo Governo: “Sarei rimasto ma non mi è stato consentito”

di Asia Buconi

Pubblicato il 2022-12-24

Mario Draghi per la prima volta ha compiuto pubblicamente un’analisi approfondita dei motivi che hanno portato alla caduta del suo Governo

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Altro che stanco e provato: l’ex Premier Mario Draghi, in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, per la prima volta ha compiuto pubblicamente un’analisi approfondita dei veri motivi che hanno portato alla caduta del suo Governo di unità nazionale e alla conseguente salita a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni.

“Se guardo alle sfide raccolte e vinte in soli venti mesi di Governo, c’è da sorridere a chi ha detto che me ne volessi andare, spaventato dall’ipotetico abisso di una recessione che fino a oggi non ha trovato riscontro nei dati”, ha dichiarato l’ex numero uno della Bce. Che poi ha sottolineato di volersi godere “il diritto dei nonni di poter scegliere cosa fare” e, anche per questo, ha chiarito di non essere interessato al momento “a incarichi politici o istituzionali, né in Italia né all’estero”.

Mario Draghi sulla caduta del suo Governo: “Venne meno la volontà di compromesso dei partiti”

Sul suo mandato a Palazzo Chigi, Draghi ha puntualizzato: “Ero stato chiamato a fare dopo una vita un mestiere per me nuovo e l’ho fatto al meglio delle mie capacità. Sarei rimasto volentieri per completare il lavoro, se mi fosse stato consentito”. Da qui, la disamina dei fattori squisitamente “esterni” che hanno portato alla caduta del suo Governo: “Il governo si poggiava sul consenso di una vasta coalizione, che aveva deciso di mettere da parte le proprie differenze per permettere all’Italia di superare un periodo di emergenza – ha spiegato Draghi – Non avevo dunque un mio partito o una mia base parlamentare. A un certo punto, la volontà dei partiti di trovare compromessi è venuta meno, anche per l’avvicinarsi della scadenza naturale della legislatura.”

Ma, col passare dei mesi, “la maggioranza si era andata sfaldando e diversi partiti si andavano dissociando da decisioni già prese in Parlamento o in Cdm”. A questo punto Draghi fa qualche esempio:

Il M5s era sempre più contrario al sostegno militare all’Ucraina, nonostante avesse inizialmente appoggiato questa posizione in Parlamento e nonostante questa fosse la linea concordata con i nostri alleati in sede europea, G7 e Nato. FI e Lega erano contrari ad aspetti di alcune importanti riforme – fisco e concorrenza – a cui era stato dato il via libera in Cdm. Lega e M5s chiedevano inoltre a gran voce uno scostamento di bilancio.

Poi, la rottura definitiva con la mancata fiducia dei pentastellati al Dl Aiuti e il dibattito in Senato, su cui Draghi ha detto:

Le posizioni dei partiti erano ormai inconciliabili. Il centrodestra era disponibile ad andare avanti, purché i ministri 5s uscissero dal governo e fossero sostituiti da loro esponenti. Tuttavia, il Pd non era disponibile a far parte di quello che sarebbe diventato nei fatti un governo di centrodestra. Inoltre avevo chiarito che per me sarebbe stato impossibile guidare un governo di unità nazionale senza il partito di maggioranza relativa in Parlamento, il M5s.

 

 

 

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