La storia del M5S che appoggia la candidata di Lega e Forza Italia a Malnate

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-06-03

Quando Di Maio diceva che bisognava partire dai territori e apriva alle liste civiche probabilmente non pensava ad un apparentamento con Lega, FI e Fratelli d’Italia. Ma il caso ha voluto che il delegato di lista del M5S che ha firmato l’accordo sia anche il padre della candidata sindaca Daniela Gulino, che corre per la Lega

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Il 26 giugno a Malnate – piccolo comune di sedicimila abitanti in provincia di Varese – non si era riusciti ad eleggere al primo turno il sindaco. Al ballottaggio di domenica 9 giugno vanno due donne: Maria Elena Bellifemine (PD e liste civiche) e Daniela Gulino (Lega, Forza Italia e civiche). Come sempre accade tra il primo e il secondo turno i candidati cercano apparentamenti ed alleanze con le liste rimaste fuori dal ballottaggio. A Malnate sono due: Fratelli d’Italia e il MoVimento 5 Stelle, arrivato quarto con 7%.

Cosa è successo a Malnate

Generalmente quando il M5S non supera il primo turno non dà indicazioni ai suoi elettori. La novità di Malnate è che per la prima volta il simbolo del M5S sarà tra quelli delle liste apparentate sulla scheda del ballottaggio. In ossequio al sempre ribadito principio “né di destra né di sinistra” i simbolo del MoVimento comparirà a fianco a quelli di Lega e Forza Italia a sostegno della candidata del centrodestra.

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A darne l’annuncio è la stessa Daniela Gulino che su Facebook ha dichiarato che un «lavoro intenso e trasparente ci ha permesso di federarci per creare una Malnate migliore». Il problema è che il lavoro sarà anche stato intenso (la conclusione è giunta in extremis) ma decisamente non molto trasparente. O almeno non sufficientemente trasparente per gli standard pentastellati della trasparenza quando ci pare.

Il delegato di lista del M5S è padre della candidata sindaca leghista

La decisione di apparentare il M5S con Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia è stata presa dal delegato di lista del MoVimento 5 Stelle Giovanni Gulino. Come suggerisce il cognome Gulino è parente della candidata di centrodestra: è il padre. Domenico Mancino, che era il candidato sindaco pentastellato si è dissociato dalla decisione facendo sapere che l’accordo è stato votato in sua assenza (quindi non proprio nella massima trasparenza). Varese News racconta che Mancino è arrivato in Comune poco dopo la firma dell’apparentamento e che tra lui e Gulino (padre) sarebbe scoppiato una discussione accesa. Mancino promette vendetta tremenda vendetta: «ho già avvisato Nicolò Invidia, il deputato che è il nostro referente, e mi ha confermato che questi personaggi vanno espulsi. Toglierò Gulino dalla nostra chat tanto più che lui non è nemmeno un nostro iscritto. In ogni caso non potranno usare il nostro simbolo». Il che se non altro dà la misura dei problemi che il M5S ha sui territori se il delegato di lista non è nemmeno iscritto al partito.

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In effetti tra la linea della Gulino e quella del Governo Conte c’è una perfetta continuità ideale

In realtà ormai il simbolo del M5S rimarrà sulle schede perché dal punto di vista formale la decisione è ineccepibile. L’accordo poteva essere firmato da chi ha depositato la lista (del MoVimento) senza dover consultare o richiedere una contro-firma da parte del candidato sindaco. Chissà, forse nel M5S non si erano accorti della parentela oppure hanno peccato di  un eccesso di fiducia. Quello che è certo è che domenica a Malnate gli elettori si troveranno di fronte i simboli del Governo del Cambiamento (più Forza Italia). I responsabili locali per il varesotto del M5S – il deputato Indivia, il senatore Gianluigi Paragone e il consigliere regionale Cenci – sono furibondi. In un comunicato ricordano la regola del “no apparentamenti” parlano di una decisione presa alle spalle del candidato secondo “logiche familiari”. Da parte sua Giovanni Gulino si difende dicendo che invece la decisione è stata presa in seguito a riunioni con gli attivisti e che «il candidato sindaco è Daniela Gulino che, per caso, è mia figlia». Se fosse vera la versione di Gulino significherebbe che il candidato sindaco del M5S non ha alcun potere e che di fatto è stato esautorato dalla “base”. Tutto per un pugno di voti perché Mancino ne ha presi 593 al primo turno.

 

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