Ma davvero Renzi non ha la maggioranza in Senato?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-08-08

Una strana maggioranza trasversale con il deposito degli emendamenti sul Senato elettivo si è formata ieri. Ma il problema è che potrebbe scomparire al momento del voto. Lasciando il cerino acceso in mano a chi l’ha animata

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Ma davvero Renzi non ha i numeri in Senato per la riforma di Palazzo Madama? Una strana maggioranza trasversale con il deposito degli emendamenti sul Senato elettivo si è formata ieri in via assolutamente teorica. Il 10 marzo scorso la Camera dei deputati ha approvato in seconda lettura il disegno di legge costituzionale di modifica del Senato con 357 voti favorevoli e 125 quelli contrari.  All’approvazione definitiva manca il via libera del Senato, ma a condizione che non vengano apportate modifiche perché altrimenti l’iter dovrebbe ripartire da zero e in commissione il testo arriverà a settembre.  La nuova «coalizione» che contraddice la linea del governo raggiunge sulla carta la ragguardevole soglia di 166 senatori: addirittura 5 in più rispetto alla maggioranza assoluta dell’assemblea. Di converso, i «lealisti» disposti a difendere un Senato depotenziato e anche eletto con un sistema di secondo grado (ovvero, i senatori eletti dai consiglieri regionali) sarebbero 154: ben sotto la soglia di sopravvivenza del governo Renzi. Il conto è fatto in questa infografica del Corriere della Sera:
senato maggioranza renzi
MA DAVVERO RENZI NON HA LA MAGGIORANZA IN SENATO?
Un asse che vede protagonisti i 28 senatori della minoranza del Pd pronti a votare con le opposizioni. E, più che la boutade di Calderoli sui milioni di miliardi di emendamenti che ha presentato la Lega, a preoccupare il premier devono essere soprattutto i 17 emendamenti presentati dalla minoranza PD: se su quelle modifiche dovesse saldarsi il consenso dell’intera opposizione, in effetti il percorso della legge diventerebbe di nuovo accidentato, e di molto.  Anche perché l’effetto è amplificato dal fatto che la stessa richiesta viene avanzata anche dall’altro grande interlocutore del Pd: Forza Italia. E fino a metà pomeriggio di ieri sembrava ‘in asse’ anche il neonato gruppo dei verdiniani: Vincenzo D’Anna ha presentato tre emendamenti per l’elezione diretta, poi li ha ritirati. E proprio su questo probabilmente gioca Renzi per dire, come ha fatto sapere ieri attraverso gli sms di retroscena mandati ai quotidiani, che la maggioranza c’è lo stesso. A settembre scopriremo molto probabilmente che se i senatori della minoranza PD si compattassero sulle modifiche con l’opposizione, qualcuno prenderebbe il loro posto nel votare sì alla riforma. Potrebbero essere i verdiniani, se dovessero bastare i numeri. Potrebbe essere, e sarebbe un colpo di scena annunciato, proprio Forza Italia. “Siamo sempre disponibili a migliorare il testo – ha detto ieri Lorenzo Guerini – ma sono possibili cambiamenti purché non riportino al punto zero il cammino della riforma”. Per intendersi, spiegano i renziani, è possibile discutere del lodo Quagliariello, con l’introduzione di listini dedicati ai senatori nel voto per le regionali. Di questo il Pd parlerà anche con Forza Italia (“Ma non è un patto del Nazareno”, dice Debora Serracchiani). Perché appurato che si prepara “un attacco senza precedenti – denuncia Andrea Marcucci – contro le riforme e il governo Renzi”, la partita vera deve ancora iniziare. Ci sarà il dialogo con tutti i partiti. E poi a settembre se anche FI si compattasse con la minoranza Pd, la maggioranza – assicurano i renziani – riuscirà ad avere i numeri per bocciare gli emendamenti e approvare le riforme.
 
IL NUOVO NAZARENO PROSSIMO VENTURO
Certo, a quel punto avrebbe ragione chi parla di rinascita del Patto del Nazareno sulle riforme. E Renzi si ritroverebbe di nuovo con la palla al piede dell’accordo con Berlusconi che lo aveva già zavorrato (mediaticamente) nel primo anno di vita del governo. D’altro canto la minoranza PD sulla partita del Senato si gioca la carta finale dell’opposizione a Renzi. Se dovesse fallire, sarebbe difficile a quel punto non solo tornare a compattarsi come partito, ma anche sperare anche solo lontanamente di trovare un accordo (con posti) per le prossime elezioni politiche.

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