Fact checking
Come la Lombardia rischia di restare chiusa dopo il 3 giugno
Alessandro D'Amato 23/05/2020
L’effetto ripartenza si potrà valutare con i dati di fine mese. Solo allora si deciderà se dal 3 giugno sarà possibile spostarsi tra le regioni o solo tra alcune. Nell’ipotesi peggiore invece si richiude. Anche perché nei report delle regioni tanti numeri non tornano
La Lombardia rischia di rimanere chiusa anche dopo il 3 giugno, data in cui il governo potrebbe dare il via libera per i movimenti tra regioni. Repubblica spiega che anche se gli ultimi dati sono rassicuranti rimane troppo alto il dato assoluto dei positivi, almeno per il momento e troppo alto il rischio di rovinare tutto per non aver atteso una settimana in più, quindi il 10 giugno, per avere un quadro più completo e riaprire in sicurezza.
Come la Lombardia rischia di restare chiusa dopo il 3 giugno
E così il ministero della Salute guidato da Roberto Speranza, in raccordo con la presidenza del Consiglio e gli Affari regionali, è in attesa di sapere quali saranno gli effetti delle riaperture dal 18 maggio per prendere una decisione. Soltanto tra qualche giorno, spiega Tommaso Ciriaco, i dati della curva riusciranno a fotografare l’effetto dell’allentamento del 4 maggio (che per adesso soddisfa, visto che il trend dei contagi è in calo e i pazienti in terapia intensiva si sono quasi dimezzati in 18 giorni). Per avere una prima impressione dell’“effetto 18 maggio”, però, bisognerà studiare i numeri del 30 maggio. E per un quadro davvero esaustivo, serviranno i dati del 10 giugno. Ci sono tre scenari in ballo e soltanto nel primo si immagina una riapertura totale a partire dal 3:
Questo schema ipotizza che l’R con 0 resti sotto controllo e che i positivi si assottiglino molto anche in regioni che contano ancora troppi contagi quotidiani. Il secondo scenario, invece, è quello al momento considerato più probabile, anche da Palazzo Chigi. Prevede un trend accettabile, con una curva che deflette in modo non omogeneo, e comunque non abbastanza in alcune regioni del Paese. Diventerebbe allora inevitabile distinguere tra regioni a basso rischio e quelle a medio-alto: chi non vanta numeri sicuri, accetta confini chiusi almeno per un’altra settimana.
Chi invece può contare su numeri migliori, consente i movimenti verso alcune regioni confinanti, a patto che esprimano contagi altrettanto bassi: si potrà circolare – sono solo alcuni esempi – tra Lazio e Abruzzo, o tra Lazio e Campania, o ancora tra quasi tutte le Regioni del Sud (resta però da capire come gestire situazioni “speciali” come quella di un’isola come la Sardegna, che non confina ovviamente con nessuno).
Il terzo schema, infine, è il più fosco. Ipotizza che già nei prossimi quattro o cinque giorni la curva peggiori, a causa delle riaperture del 4 maggio e di un primissimo “effetto 18 maggio”. La proiezione dell’R con 0 al 3 giugno potrebbe lambire un livello di 0,9-1. Il governo, a quel punto, valuterebbe addirittura una marcia indietro rispetto ad alcuni allentamenti già sanciti nelle scorse settimane, seguendo il modello flessibile deciso con le regioni.
E infatti, anche se molti giornali, in primis il Corriere della Sera, oggi festeggiano i risultati lombardi, se è vero che l’R con 0 in Lombardia è sceso a un positivo 0,51, infatti, è altrettanto evidente che non può rassicurare il ranking dei contagi per ogni centomila abitanti: la regione guidata da Attilio Fontana è ancora al primo posto, seguita da Trento, Piemonte e Liguria.
I numeri che non tornano nei report delle regioni
Anche perché ci sono numeri che non tornano nei report delle regioni. Il Corriere della Sera cita il professor Nino Caltabellotta, presidente della Fondazione Gimbe che analizza sistematicamente le relazioni: «Il fatto che la Regione sia titolare del monitoraggio espone a comportamenti di tipo opportunistico». Lo dice in termini ancora più netti il biologo Enrico Bucci:«È ovvio che se chiedi alle Regioni di fornirti dati decisivi su aperture o chiusure, saranno loro a determinare quali e come darteli seguendo logiche politiche interne».
La Fondazione Gimbe ha rilevato come nei report lombardi si comunichino i dimessi dagli ospedali, con una sovrastima dei guariti. Sempre in Lombardia, secondo il Fatto Quotidiano, dall’11 maggio sarebbero spariti dal grafico dei contagi di Milano i casi confermati e sintomatici. Il Trentino è improvvisamente passato da una media di rapporto contagi/tamponi superiore al 4% il 28 aprile, con gravi preoccupazioni, a quella ultra rassicurante dell’11 maggio, dello 0,14%. Non un miracolo, ma un calcolo di contagi più bassi per errore. Nelle Marche da un giorno all’altro si è cominciato a contare solo i casi sintomatici.
Dalle Regioni arrivano foglietti excel, quando va bene, che dicono poco o niente per analisi serie. Il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri chiede «più accuratezza». Ma è un deficit strutturale. Perché, per esempio, si sa il numero complessivo dei tamponi, ma non si sa se fatti a chi e come, se è il primo o il secondo di conferma, se è fatto a sintomatici o no.
Altro bug dei report: per stabilire correttamente l’Rt, le Regioni dovrebbero fornire la data di insorgenza dei sintomi. In media, perché i numeri siano attendibili, servirebbe almeno il 50 per cento dei dati. Ma in almeno nove Regioni quella cifra non si raggiunge. E così si è deciso di abbassare la soglia di attendibilità al 30%. Per Caltabellotta «secondo gli standard internazionali, bisognerebbe fare 200/250 tamponi al giorno per 100 mila abitanti. Ma pochissime Regioni hanno aumentato i tamponi diagnostici, solo Val d’Aosta e Trentino. Se la curva peggiora, verranno in superficie solo i casi di chi si aggraverà in maniera tale da dover andare in ospedale.
Con tutte le conseguenze del caso.