L'Italia che vuole più Stato e meno mercato

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-02-27

I risultati di una ricerca Community Media Research sulla Stampa: dopo la crisi la metà dei cittadini ritiene la libera competizione apportatrice di maggiori diseguaglianze

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La Stampa pubblica oggi i risultati di una ricerca Community Media Research il collaborazione con Intesa San Paolo in cui si sonda la popolazione italiana su come sia meglio agire per uscire dalla crisi, se fare leva sulla libera iniziativa (mercato), sulle risorse della società civile (sussidiarietà) o sull’intervento pubblico (stato).

La libera competizione divide nettamente gli orientamenti. Per il 49,1% è il modo migliore per avviare lo sviluppo, ma per l’altra metà (50,9%) aumenta le disuguaglianze. La competizione sembra associata più alla «perdita», che al «merito». Prevale l’idea del più forte che schiaccia il più debole, rispetto a una prospettiva dove i talenti si sfidano e sollecitano a un miglioramento progressivo. Potrebbe essere diversamente leggendo le cronache quotidiane degli intrecci di interesse, delle corruttele di politici, imprenditori e professionisti? Quando l’umore prevalente è che per accedere a posizioni di rilievo (e non solo) siano necessarie le raccomandazioni, più che i meriti? Forse non è un caso, allora, che ad associare la competizione a un aumento delle diseguaglianze siano proprio i dipendenti, mentre chi propende per una maggiore libertà d’azione sia al di fuori del mercato del lavoro (giovanissimi e ultra 65enni).

Nel dettaglio alla domanda “Per ridurre le diseguaglianze sociali in Italia sarebbe necessario soprattutto…” il 65% degli intervistati risponde “Incrementare le politiche pubbliche dello Stato”, mentre soltanto il 35% replica “promuovere la libera collaborazione tra i cittadini”. C’è però da segnalare che la risposta alla domanda “lasciare più spazio alla competizione in tutti gli ambiti” è più combattuta: il 49% dice che sarebbe il modo migliore per uscire dalla crisi mentre il 51% sostiene che farebbe aumentare le diseguaglianze nel paese. Forse questa contraddizione tra la prima e la seconda questione nasce dal fatto che lo Stato viene – correttamente, secondo l’articolo 3 della Costituzione e il principio di eguaglianza sostanziale – individuato come il primo soggetto che deve agire per le diseguaglianze sociali, mentre nella seconda questione si parla più generalmente di “situazione italiana”.

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La ricerca di Community Media Research sugli italiani, lo Stato e il mercato

La Stampa opera anche una distinzione tra quattro gruppi in base all’atteggiamento degli italiani nei confronti di Stato, mercato e società: ul gruppo più cospicuo è quello degli «statalisti» (39,1%), particolarmente diffuso fra i 30enni, gli operai e chi vive nel Mezzogiorno: ritengono la competizione apportatrice di disuguaglianze e per combatterla è necessario incrementare l’intervento statale. Segue quello dei «riformisti» (26,3%) costituito da chi vede nell’aumento della competizione lo strumento migliore per uscire dalla crisi, ma contemperato dall’intervento pubblico nel calmierare le disuguaglianze. Il terzo gruppo è rappresentato dai «liberisti» (22,9%): la libera competizione e la collaborazione fra i cittadini sono le risorse principali per far ripartire il paese. Infine, i «sussidiari» (11,7%): temono la competizione per le disuguaglianze che può generare, ma ritengono la mobilitazione della società civile la risposta migliore per ridurle.

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