L’inferno dei lavoratori nell’ospedale di Codogno in emergenza Coronavirus

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2020-03-04

È diventato suo malgrado l’epicentro della diffusione del coronavirus in Italia, ma all’ospedale di Codogno Covid-19 è solo l’ultimo di una serie di problemi che negli anni hanno portato ad una drastica riduzione dell’offerta sanitaria. Il motivo? I tagli e le chiusure imposte da governi e Regione. E così quando arriva l’emergenza non c’è abbastanza personale per gestirla

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L’epidemia di coronavirus Covid-19 a Codogno e nel lodigiano? Qualcuno potrebbe definirla la tempesta perfetta. L’emergenza Coronavirus che sta mettendo a dura prova il sistema sanitario lombardo non ha agito da solo. Già prima della scoperta dei primi casi di infezione erano state messe in atto azioni politiche e amministrative che hanno contribuito a rendere molto più complicata la risposta all’emergenza sanitaria. A sostenerlo è il  segretario regionale della FISI (federazione italiana sindacati intercategoriali) Gianfranco Bignamini, che è stato infermiere proprio all’ospedale di Codogno.

Il personale dell’ospedale di Codogno sballottato qua e là dall’emergenza

Bignamini ha presentato diversi esposti e denunce che gettano una strana luce sulla gestione delle risorse ospedaliere a Codogno. Ad esempio secondo FISI già da prima dell’emergenza di coronavirus – si legge in una denuncia presentata oggi – al personale in servizio notturno era stato imposto di svolgere turni notturni della durata di 10 ore (per legge il lavoro notturno non può superare le otto ore). La ragione? Carenza di personale, spiega Bignamini. Nei quattro ospedali del lodigiano mancano 70 infermieri, 20 operatori socio sanitari (OSS) e e 10 tra tecnici di radiologia e di laboratorio. Una carenza di personale che non ha a che fare con il coronavirus ma che è nota da tempo.

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Tra reparti chiusi (ad esempio il reparto di pronto soccorso pediatrico, quello di maternità e la sala parto) e altri di cui da tempo si vocifera la chiusura l’ospedale di Codogno è da tempo al centro delle polemiche di coloro che temevano la chiusura definitiva del nosocomio. Si tratta di scelte compiute dalla Direzione Sanitaria a fronte delle decisioni da parte dei governi che si sono succeduti in questi anni e della Regione Lombardia. In questa situazione di estrema incertezza e carenza del personale è iniziata l’epidemia di Covid-19.

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Per correre ai ripari l’azienda sanitaria ha deciso di revocare le ferie a tutto il personale e di comunicare che «per fare fronte ai bisogni assistenziali emergenti» si rende necessario «lo svolgimento della propria attività –  medica, infermieristica e di supporto a vario titolo – anche al di fuori dei reparti di ordinaria assegnazione, mettendo a disposizione la propria personalità laddove occorra». In buona sostanza dal momento che manca il personale si chiede a quello che c’è di farsi letteralmente in quattro, anche al di fuori dei reparti di competenza, per tamponare l’emergenza. Ma in questo modo a pagare il prezzo della situazione non sono solo medici e infermieri ma anche utenti e pazienti.

Codogno: l’effetto dei tagli a reparti e personale si vedrà anche dopo l’emergenza

Si è parlato tanto, in questi giorni, di un’altra carenza: quella dei posti letto in terapia intensiva e rianimazione. A Codogno quei posti sono solo cinque, e non servono unicamente per coloro che sono affetti da coronavirus ma anche per i pazienti colpiti da ictus, giusto per fare un esempio. Il personale però è stato spostato in altri reparti, sempre per far fronte all’epidemia di Covid-19. Ma più in generale quello che emerge dalle denunce della FISI è una generalizzata mancanza di programmazione e di trasparenza da parte dell’ASST di Lodi.

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Prendiamo ad esempio il caso del personale messo in quarantena per il coronavirus o perché a rischio. Bignamini denuncia che in questi giorni «ci sono stati 14 casi di malattia sospetti del personale sanitario tenuti nascosti dal direttore e presidente della Fondazione». Per di più finito il periodo di quarantena il personale dell’ospedale di Codogno invece che tornare a lavoro nel nosocomio cittadino sarebbe stato invece inviato presso gli ospedali di Lodi, Casalpuistetlengo e Sant’Angelo Lodigiano, lasciando ulteriormente sguarnito quello di Codogno.

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Tanto più, si legge in un’altra denuncia, dopo la chiusura per sanificazione e disinfezione dei locali del Pronto Soccorso dell’ospedale (in seguito all’emergenza coronavirus) invece che riaprire il reparto ne è stato aperto uno “provvisorio” presso l’ex reparto di pediatria dove è stato aperto il triage (l’accettazione del PS dove un infermiere adeguatamente formato valuta le condizioni cliniche e di urgenza del paziente assegnando poi i vari codici per la definizione del livello di urgenza). Secondo FISI in questo triage la Direzione Sanitaria avrebbe messo personale non addestrato, che potrebbe non essere in grado di valutare i fattori di rischio per i pazienti. Ciliegina sulla torta: «nella notte tra domenica e lunedì hanno svuotato il Pronto Soccorso di Codogno di 20 letti e 10 barelle, e di tutta l’attrezzatura e medicinali portandoli all’Ospedale di Lodi». In questo modo però il PS non è in grado di svolgere le sue funzioni e potrebbe essere costretto a limitarsi alla gestione dei casi di coronavirus. La domanda a questo punto è cosa succederà una volta finita l’emergenza. Si provvederà a ripristinare il corretto funzionamento della struttura ospedaliera oppure si deciderà per l’ennesimo taglio e l’ennesima chiusura, costringendo gli abitanti di Codogno a recarsi in strutture ospedaliere anche molto distanti per ricevere assistenza medica?

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